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IL SUONO, GLI ODORI, LA CONSISTENZA DELLA PASTA E IL SUGO FATTO IN CASA

Protetto: IL SUONO, GLI ODORI, LA CONSISTENZA DELLA PASTA E IL SUGO FATTO IN CASA

Posted on 31 gennaio 2021 by admin

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TRE PECCATI INCONSAPEVOLMENTE DIFESI DELLA NOSTRA STORIA: BORGHI ARBËRESHË, ARBËRIA E SCANDERBEG

TRE PECCATI INCONSAPEVOLMENTE DIFESI DELLA NOSTRA STORIA: BORGHI ARBËRESHË, ARBËRIA E SCANDERBEG

Posted on 24 gennaio 2021 by admin

AVENDO AVUTO UN INVITO AD ASCOLTARE PER INTERVENIRE, VI INVIO QUANTONAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – Il patrimonio culturale arbëreshë, notoriamente tramandato attraverso la forma orale e la consuetudini d’ambito, dagli anni settanta del secolo scorso è stato scosso dalle nuove generazioni che hanno intrapreso, a loro dire, la via dei discorsi nuovi.

Questa è stata l’epoca che ha prodotto la “nuova alba culturale” dove i pittori pur di vedere al loro seguito, generi che sognano bagliori di luce, ne fanno di tutti i colori, escluso, quelli più opportuni o a tema pittorico.

Le manifestazioni di pigmentazione, così attuate, sono drammaticamente penose e variopinte senza alcun senso per il proseguimento del protocollo identitario; per questo, urgono misure preventive atte ad arginare le soverchianti  folgori.

Ormai viviamo una stagione di confusione totale, basti solo porre l’accento sulle innumerevoli manifestazioni prive di senso e di garbo, generalmente aperte al grido di Borghi Arbëreshë, Arbëria e Scanderbeg e tanta altre diavolerie che è vergogna citare, perché si usa vestirsi a mo variopinto con cui disegnare a terra  ruote, cerchi e ridde, immaginando di stupire gli spettatori che allibiti si danno a gambe.

Tutte manifestazioni che lasciano il tempo che trovano e non interessano a nessuno, se non i comuni praticanti, che nel vedersi abbagliati dai riflettori della ribalta, pensano di aver fatto festa, senza rendersi conto di  bruciare quanto non gli appartiene.

A tal proposito e senza dubbio alcuno, dei tre componimenti: Borghi Arbëreshë, Arbëria e Scanderbeg, è bene rilevare, che nessuno di essi trova allocazione nella storia, neanche in forma di ombra, per la popolazione minoritaria che oggi vive la REGIONE STORICA DIFFUSA ARBËRESHË.

Questa deve ricevere rispetto da tutti, sin anche, chi travestito da pifferaio, saltimbanco e ogni genere d’inadatto alchimista, crede di poter disporre a suo piacimento del patrimonio che non ci appartiene, perché ricevuto per consegnarlo alle nuove generazioni, per questo più rimane puro e intatto dalla sua origine storica e più ha durevolezza nei secoli.

Nello specifico iniziamo a porre l’accento, con forza e senza sorta di dubbio alcuno, che la denominazione “Borgo” non ha alcuna attinenza storica, urbanistica, architettonica, sociale, economica culturale, sia di tempo, sia di luogo, sia di uomini;  i paesi arbëreshë sono Katundë, il parente stretto di Castrum, Paese, Casale e rappresentano storicamente l’inizio dei processi urbanistici delle città aperte, oggi metropolitane.

A proposito del concetto di Arberia, per com’è inteso, vorrebbe essere uno stato, con i suoi abitanti, un proprio governo, una propria autonomia, con proprie leggi e comunque si giri e si osservi il concetto, nulla del genere esiste, in quanto gli arbëreshë sono una minoranza storica italiana, verso la quale lo stato offre tutte le tutele di rispetto dovuto a quanti hanno saputo integrarsi e proteggere il territorio con lo stesso senso degli indigeni, gli stessi che li accolsero sei secoli or sono.

Relativamente all’appellativo con cui viene soprannominato Giorgio Castriota di Giovanni, (volgarmente denominato Scanderbeg) bisogna stare molto attenti nell’utilizzare o il nome o l’alias.

Perché l’eroe con intelligente astuzia, per evitare che il suo popolo e le terre di quest’ultimo fossero cancellate dal ricordo degli uomini, realizzo uno degli stratagemmi che la storia ancora stenta a comprendere e valorizzare.

Egli per questo resosi conto che non aveva possibilità di prevalere sui cani turchi, operò la strategia seguente, grazie al patto di mutuo soccorso che il padre Giovanni aveva con Il re di Napoli, Vlad I, i Principi dell’allora Epiro nova e Vecchia, trovando il modo di lasciare un messaggio indelebile, irriconoscibile ai turchi, e unisse quanti vivevano le terre oggi denominate Albania e nel frattempo, salvare lingua consuetudini, metrica e religione nelle terre del meridione allora regno di Napoli.

Alla luce di ciò, quando si fa uso del suo nome, bisogna guardarsi attorno per comprendere cosa pronunziare, per questo se state in terra d’Albania gridate con forza, ai quattro venti, l’appellativo “Skanderbeg”, lo slogan nato per unire e risvegliare antichi legami in senso di confini territoriali.

Tuttavia se vi dovreste trovare, per caso, negli sheshi o ambiti della regione storica, il luogo dove la lingua, le consuetudini, la religione, fa vibrare i cinque sensi Arbëreshë, per non cadere nel banale è d’obbligo usare solo ed esclusivamente Giorgio Castriota il valoroso figlio di Giovanni; null’altro.

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QUANDO L’ARCHITETTURA SENZA ARCHITETTI AVEVA RAGION D’ESSERE

QUANDO L’ARCHITETTURA SENZA ARCHITETTI AVEVA RAGION D’ESSERE

Posted on 16 gennaio 2021 by admin

Kagliva

NAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – È storicamente noto che le migrazioni dai governarati dell’odierna Albania, dopo la morte del condottiero Giorgi Castriota, videro disporsi nelle terre del regno di Napoli, un gran numero di migranti seguiti dalle famiglie, secondo arche predefinite nei territori amministrati dai principi di parte Francofona,.

Gli arbëreshë presero possesso di luogo, seguendo la medesima prassi insediativa in tutti i Katundë, cento paesi della regione storica, da prima vissuti in forma nomade e poi dopo una fase di scontro e confronto con gli indigeni, s’insediarono definitivamente in ritrovate aree orografiche.

A quei tempi, per le loro necessità transitive, furono utilizzate forme abitative, estrattive, in seguito per la scelta definitiva dei luoghi d’insediamento, passarono all’Architettura additiva, quest’ultima in particolare, una volta avviato il processo di conoscenza, fece diventare gli ambiti costruiti, la fucina di questa nuova arte, diventando i piccoli aggregati, il libro a cielo aperto dove attingere esperienze  e arricchire il bagaglio di conoscenza.

Il riedificare sulle stesse ceneri, impegnò notevolmente in tale disciplina i minoritari, i quali affrontarono non poche insidie, per la non conoscenza dei principi della statica, oltre a quella di unire e consolidare materiali dissimili.

A tal fine onde evitare il trascinarsi errori di costruzione, trasferirono la sapienza man mano che veniva acquisita, secondo i protocolli in forma orale, alle nuove generazioni.

Il costruire per necessità e senza esperienza ha coinvolto, esecutori, osservatori e utilizzatori di ogni comunità a condividere i principi secondo cui innalzare modelli abitativi, doveva rispondere alle metodiche acquisite e rese pubbliche, in forma orale, prestando attenzione nell’applicarle, in definitiva diventarono un rigido protocollo, come quelli già in uso per le attività agresti e di bonifica .

Le stesse genti non impegnate nel periodo maturazione dei seminati, diventano muratori, manovali e architetti, maestranze intrise dei valori di modestia e necessità che lentamente disegnarono i centri antichi nelle coline del meridione.

L’architettura all’interno dei perimetri antichi, per la scelta di vivere prevalentemente isolati, ha una storia più articolata rispetto alle genti indigene più coese e vicine tra loro che erano già abituate a confrontarsi con il regno e le sue istituzioni.

Gli arbëreshë avendo preso possesso in macro aree allocate diffusamente, non avendo possibilità di confrontarsi rapidamente, si possono per questo identificare esecutori di un’architettura senza architetti o isole di un’arte in continua ma lenta, evoluzione.

Da prima furono utilizzati semplici tuguri, identificati più come arte estrattiva, mista a compositiva in forma di materiali deperibili, poi per una migliore vivibilità diventate abitazioni in muratura.

Pietre naturali o di fiume, il cui legante, sabbia e calce consentiva in sicurezza di elevare case, poi in epoca più tarda con l’utilizzo di mattoni, e materiali di spogliatura, provenienti da errori di esperienze precedenti.

I contadini, non ancora architetti, avevano una grande esperienza in campo di conoscenza degli equilibri naturali, per questo innestarono le loro case in luoghi sicuri e senza forze anomale in attesa.

Solo dopo le prime esperienze edificatorie si resero conto degli effetti dei paramenti inclinati causa di numerosi crolli, a cui diedero risposte.

Unici elementi costruiti da cui trarre spunto o ispirazione, furono i presidi religiosi a essi sempre prossimi; è da questi presero spunto  e  consapevolezza delle altezze murarie, calibrarono lo sviluppo in base ai materiali e le sezioni d’inviluppo dell’opera.

Molto probabilmente lo spunto del modello base, se analizzato con attenzione, spiega i numerosi spunti distributivi comuni, in quanto non si discostano molto dalle celle monastiche e i relativi orti botanici annessi.

Cosi come le lamie di copertura, prima fatte con strutture in legno completate con rami intrecciati foglie e conglomerati in argilla, hanno preso forma completa con i noti di coppi e contro coppia, completando così quello che diventerà il modulo abitati, utilizzato per i sistemi aggregativi, prima spontanei, o detti articolati e in seguito più razionali in forma lineare.

Sono numerosi i temi da trattare, su questi aspetti di evoluzione architettonica senza architetti, la cui alba sorge  all’indomani del loro insediamento, si sviluppa sino alla fine del XVII secolo per articolarsi in altezza sino al 1783.

L’alba dello storico terremoto, in cui diventa fondamentale l’intervento degli organismi preposti dal regno con imposizioni di carattere preventivo, precise regole preventive sia per la larghezza delle strade e sia per la consistenza muraria o per il numero dei piani.

È questa l’epoca degli insediamenti arbëreshë con l’architettura degli architetti, questi lasciando nel contempo  immutati quelle pertinenze che per opera intelligente, hanno continuato a resistere agli eventi naturali; oggi traccia o misura nelle micro aree dove erano stati evidenti i crolli.

Dal dopo guerra del secolo scorso, gli anni della ricostruzione postbellica, vede incunearsi una confusione endemica negli ambiti costruiti della minoranza arbëreshë.

Qui troppo spesso, invece di affidare il valore architettonico a competenze specifiche, si è preferito affidare a comuni tecnici l’antica professione senza architetti.

Questo, non per porre l’accento verso l’incarico della progettazione del singolo manufatto pubblico o privato in senso di esclusivo abbellimento, ma che diano lustro a un’arte antica che da spazio al genius loci professionisti con competenza d’ambito tramandata oralmente per passione.

Quello che servirebbe deve essere rispettoso di un protocollo riferibile alle macro aree di minoranza, specialmente quando si trattava di operare all’interno del centro antico e di architettura spontanea.

Il rammarico più grande che molti studiosi portano in seno, consiste nel non aver allora come oggi, predisposto misure d’indagine adeguate, per la definizione di un protocollo di tutela, una “carta del restauro della regione storica”,  ancora oggi evasa e attende, istituzioni, uomini e misure  per  tutelare il valore storico dell’Architettura senza Architetti, ancora pulsante in ogni edificio della regione storica diffusa arbëreshë.

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SHËPIA E GJITONIA

Protetto: SHËPIA E GJITONIA

Posted on 11 gennaio 2021 by admin

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APPELLO AI SINDACI E ALLE ASSOCIAZIONI DELLA REGIONE STORICA ARBËRESHË

Protetto: APPELLO AI SINDACI E ALLE ASSOCIAZIONI DELLA REGIONE STORICA ARBËRESHË

Posted on 01 gennaio 2021 by admin

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