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KATUNDË: LE FIAMMELLE DI SAGGEZZA NELLA BUIA GALASSIA COMUNE

Posted on 16 ottobre 2025 by admin

Katund

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – In un tempo in cui la memoria collettiva sembra dissolversi nella velocità di un presente globale e anonimo, i Katundë arbëreşe si ergono come fiammelle di saggezza nella vasta e spesso oscura galassia comune delle culture contemporanee.

Non si tratta solo di luoghi fisici, ma di spazi della mente e della storia, dove l’identità non è un concetto astratto, bensì un respiro quotidiano, un gesto antico, un canto che attraversa i secoli.

In questi impianti urbani, la sapienza non si insegna sui banchi, ma si trasmette nel calore delle cucine, nelle soglie levigate delle case, nelle rughe dei volti che hanno ascoltato e raccontato.

Sono fiammelle tenaci che si riflettono dai camini delle case, illuminano con misura e resistono i percorsi dimenticati dell’omologazione globale, conservando una lingua, un ritmo, una visione del mondo che sfugge al comune viandante.

Parlare di Katundë oggi significa interrogare il senso più profondo della convivenza e della memoria condivisa.

Significa comprendere che la storia non è solo scritta nei manuali o conservata negli archivi, ma vive nelle persone, nelle loro scelte, nei loro silenzi e nelle loro narrazioni.

Queste fiammelle, se ascoltate con rispetto e lentezza, diventano fari capaci di guidare un’umanità smarrita verso un futuro in cui la diversità culturale non è ostacolo, ma forza viva e generativa.

Ascoltare la pletora di chi, con leggerezza o ignoranza, si ostina ad appellare impropriamente i Katundë o ad associare queste realtà a episodi frammentari della storia, recente o passata, senza alcuna regola né consapevolezza, significa contribuire a sminuirne il valore autentico.

Ciò che oggi molti uomini cercano, senza trovarlo, non è assente, ma troppo luminoso per essere visto con le menti abituate al buio.

È la luce sottile e antica dei Katundë a disorientare chi non sa ascoltare, chi riduce la complessità a slogan, chi trasforma la memoria in folklore.

I Katundë, invece, non appartengono a narrazioni superficiali, ma a un tempo profondo, intessuto di cultura, identità e memoria collettiva.

Capirli richiede rispetto, silenzio, ascolto lento e occhi capaci di abituarsi alla luce della loro verità.

Specie chi non ha trovato agio nelle proprie regioni natie, quando giunge qui per osservare, spesso non possiede la misura, la cognizione né il rispetto necessari per ascoltare il lento camminare della storia che, in questi luoghi, si è sedimentata con pazienza e profondità.

Ignora che ogni pietra, ogni vicolo, ogni nome antico è una parola pronunciata da secoli di vita condivisa, una traccia viva di memoria collettiva.

Senza questa consapevolezza, il visitatore rischia di guardare ma non vedere, di ascoltare ma non capire, confondendo la superficie con l’essenza.

Non si rende conto che qui non esistono strade larghe, ma stretti vicoli lenti, custodi silenziosi di una vita antica fatta di sacrifici, di passi misurati e conquiste quotidiane.

Questi vicoli non sono semplici percorsi, sono sentieri di memoria che raccontano di comunità abituate ad avanzare a piedi, senza agi né scorciatoie, affidandosi al ritmo naturale del vivere.

È proprio quel lento camminare che concede il tempo di riflettere, ascoltare e diventare uomini migliori, radicati nella propria storia e più consapevoli della direzione verso cui andare.

Nessun vicolo, qui, è interrotto da murazioni: ogni passaggio è guidato dalle case della Gjitonia

, che accompagnano chi cammina come maestre silenziose di saggezza antica. Non si tratta di scritture o graffiti improvvisati, ma di segni concreti lasciati dal tempo e dal lavoro, impronte di mani e di spalle che hanno sorretto pietre, travi e vite intere.

È su quei segni che chi fatica trova riparo e forza, un appoggio invisibile ma reale che permette di riprendere il cammino del lavoro e della vita comune. In queste vie strette non ci sono barriere: ci sono comunità che si tengono insieme, sostenute da gesti tramandati e silenziosa solidarietà.

Quando visitate un Katundë, chiamatelo per ciò che è stato, non cercate di appiccicargli nomi estranei, perché così facendo la vostra mente smarrisce l’orientamento e finisce per credere di trovarsi altrove, in un luogo senza radici né memoria.

Un Katundë non si interpreta, ma si ascolta, si attraversa, si riconosce e, chi lo nomina in modo improprio dimostra di vagare ancora nella galassia del buio, quella dove la luce della conoscenza non ha ancora trovato spazio per illuminare la storia, i segni e l’anima dei luoghi.

Per concludere va sottolineato che ogni vicolo ogni porta, ogni arco, orto botanico o vallië, qui disposti con saggezza lenta per fare Katundë è come una sorgente che disseta, non porta soltanto passi, ma custodisce memorie, voci e respiro.

Chi attraversa questi spazi sente l’acqua scorrere silenziosa sotto le pietre deve sapere che quella acqua non appartiene a nessuno, perché nutre tutti.

Eppure c’è chi, accecato dall’avidità o dall’ignoranza, crede che questa ricchezza sia opera del male, confondendo ciò che è dono con ciò che è minaccia.

Ma questo segno è lì, limpido e ostinato, nessuno ha ancora imparato ad ascoltare davvero cosa è acqua, vita, memoria, condivisione, e cosa è fuoco, distruzione, avidità, potere.

E così, qui è passato l’eroe Giorgio, non per riposare né per tornare alla sua nazione in pericolo, ma per suggellare un patto antico, capace di generare un modello europeo silenzioso, conosciuto da pochi, perché illuminati solo dal calore dei camini delle nostre sagge madri.

Per concludere, va sottolineato che le nostre madri riponevano grandi speranze nella scuola, ma tuttavia, chi avrebbe dovuto sostenerla vive ancora nel buio del sapere e crede che quelle madri, in quei vicoli, possano continuare a parlare come un tempo, si è vero, ancora lo fanno, ma purtroppo oggi nessuno sa più ascoltarle.

 

Atanasio Pizzi Architetto Olivetano                                                                                 Napoli 2025-10-16

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