Posted on 06 aprile 2023 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: USANO COME LAVAGNE PER SCARABOCCHIARE LE CORTINE EDILIZIE DEI CENTRI ANTICHI E DICONO SIA CULTURA (Quando nella Gjitonia si esagerava con le cose e i giochi, dietro i fiori di una finestra si udiva dire: Ezi e bëni porcaritë ka Gjitonia juei, ndësè e kini, gnë mosë ezni ndë pistë e digjiani)
Posted on 31 luglio 2022 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: I CENTRI ANTICHI NICCHIE STORICHE DI ARCHITETTURA MINORE
Posted on 13 febbraio 2022 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: REGIONE STORICA ARBËRESHË FIGLIA UNICA DELL’IMPERO CON CAPITALE COSTANTINOPOLI
Posted on 11 giugno 2021 by admin
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Posted on 02 febbraio 2021 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: LA NON TUTELA DEL COSTRUITO STORICO ARBËRESHË; ORA È EMIGRATA IN ALBANIA
Posted on 16 gennaio 2021 by admin
NAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – È storicamente noto che le migrazioni dai governarati dell’odierna Albania, dopo la morte del condottiero Giorgi Castriota, videro disporsi nelle terre del regno di Napoli, un gran numero di migranti seguiti dalle famiglie, secondo arche predefinite nei territori amministrati dai principi di parte Francofona,.
Gli arbëreshë presero possesso di luogo, seguendo la medesima prassi insediativa in tutti i Katundë, cento paesi della regione storica, da prima vissuti in forma nomade e poi dopo una fase di scontro e confronto con gli indigeni, s’insediarono definitivamente in ritrovate aree orografiche.
A quei tempi, per le loro necessità transitive, furono utilizzate forme abitative, estrattive, in seguito per la scelta definitiva dei luoghi d’insediamento, passarono all’Architettura additiva, quest’ultima in particolare, una volta avviato il processo di conoscenza, fece diventare gli ambiti costruiti, la fucina di questa nuova arte, diventando i piccoli aggregati, il libro a cielo aperto dove attingere esperienze e arricchire il bagaglio di conoscenza.
Il riedificare sulle stesse ceneri, impegnò notevolmente in tale disciplina i minoritari, i quali affrontarono non poche insidie, per la non conoscenza dei principi della statica, oltre a quella di unire e consolidare materiali dissimili.
A tal fine onde evitare il trascinarsi errori di costruzione, trasferirono la sapienza man mano che veniva acquisita, secondo i protocolli in forma orale, alle nuove generazioni.
Il costruire per necessità e senza esperienza ha coinvolto, esecutori, osservatori e utilizzatori di ogni comunità a condividere i principi secondo cui innalzare modelli abitativi, doveva rispondere alle metodiche acquisite e rese pubbliche, in forma orale, prestando attenzione nell’applicarle, in definitiva diventarono un rigido protocollo, come quelli già in uso per le attività agresti e di bonifica .
Le stesse genti non impegnate nel periodo maturazione dei seminati, diventano muratori, manovali e architetti, maestranze intrise dei valori di modestia e necessità che lentamente disegnarono i centri antichi nelle coline del meridione.
L’architettura all’interno dei perimetri antichi, per la scelta di vivere prevalentemente isolati, ha una storia più articolata rispetto alle genti indigene più coese e vicine tra loro che erano già abituate a confrontarsi con il regno e le sue istituzioni.
Gli arbëreshë avendo preso possesso in macro aree allocate diffusamente, non avendo possibilità di confrontarsi rapidamente, si possono per questo identificare esecutori di un’architettura senza architetti o isole di un’arte in continua ma lenta, evoluzione.
Da prima furono utilizzati semplici tuguri, identificati più come arte estrattiva, mista a compositiva in forma di materiali deperibili, poi per una migliore vivibilità diventate abitazioni in muratura.
Pietre naturali o di fiume, il cui legante, sabbia e calce consentiva in sicurezza di elevare case, poi in epoca più tarda con l’utilizzo di mattoni, e materiali di spogliatura, provenienti da errori di esperienze precedenti.
I contadini, non ancora architetti, avevano una grande esperienza in campo di conoscenza degli equilibri naturali, per questo innestarono le loro case in luoghi sicuri e senza forze anomale in attesa.
Solo dopo le prime esperienze edificatorie si resero conto degli effetti dei paramenti inclinati causa di numerosi crolli, a cui diedero risposte.
Unici elementi costruiti da cui trarre spunto o ispirazione, furono i presidi religiosi a essi sempre prossimi; è da questi presero spunto e consapevolezza delle altezze murarie, calibrarono lo sviluppo in base ai materiali e le sezioni d’inviluppo dell’opera.
Molto probabilmente lo spunto del modello base, se analizzato con attenzione, spiega i numerosi spunti distributivi comuni, in quanto non si discostano molto dalle celle monastiche e i relativi orti botanici annessi.
Cosi come le lamie di copertura, prima fatte con strutture in legno completate con rami intrecciati foglie e conglomerati in argilla, hanno preso forma completa con i noti di coppi e contro coppia, completando così quello che diventerà il modulo abitati, utilizzato per i sistemi aggregativi, prima spontanei, o detti articolati e in seguito più razionali in forma lineare.
Sono numerosi i temi da trattare, su questi aspetti di evoluzione architettonica senza architetti, la cui alba sorge all’indomani del loro insediamento, si sviluppa sino alla fine del XVII secolo per articolarsi in altezza sino al 1783.
L’alba dello storico terremoto, in cui diventa fondamentale l’intervento degli organismi preposti dal regno con imposizioni di carattere preventivo, precise regole preventive sia per la larghezza delle strade e sia per la consistenza muraria o per il numero dei piani.
È questa l’epoca degli insediamenti arbëreshë con l’architettura degli architetti, questi lasciando nel contempo immutati quelle pertinenze che per opera intelligente, hanno continuato a resistere agli eventi naturali; oggi traccia o misura nelle micro aree dove erano stati evidenti i crolli.
Dal dopo guerra del secolo scorso, gli anni della ricostruzione postbellica, vede incunearsi una confusione endemica negli ambiti costruiti della minoranza arbëreshë.
Qui troppo spesso, invece di affidare il valore architettonico a competenze specifiche, si è preferito affidare a comuni tecnici l’antica professione senza architetti.
Questo, non per porre l’accento verso l’incarico della progettazione del singolo manufatto pubblico o privato in senso di esclusivo abbellimento, ma che diano lustro a un’arte antica che da spazio al genius loci professionisti con competenza d’ambito tramandata oralmente per passione.
Quello che servirebbe deve essere rispettoso di un protocollo riferibile alle macro aree di minoranza, specialmente quando si trattava di operare all’interno del centro antico e di architettura spontanea.
Il rammarico più grande che molti studiosi portano in seno, consiste nel non aver allora come oggi, predisposto misure d’indagine adeguate, per la definizione di un protocollo di tutela, una “carta del restauro della regione storica”, ancora oggi evasa e attende, istituzioni, uomini e misure per tutelare il valore storico dell’Architettura senza Architetti, ancora pulsante in ogni edificio della regione storica diffusa arbëreshë.
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Posted on 06 agosto 2020 by admin
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Posted on 18 maggio 2020 by admin
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Posted on 30 giugno 2019 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: MODULI ABITATIVI, SKITE E GJITONIA, QUALI ATTIVITÀ DI TUTELA? (Tue priturë satë dalë diali)
Posted on 31 maggio 2019 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Quando gli arbëreshë dovettero abbandonare le proprie terre di origine e sbarcarono lungo le coste dell’Adriatico e dello Jonio, avviarono la procedura di studio e ricerca, per evitare di produrre inutili ferite al territorio, come sancito nel codice identitario tramandato oralmente.
Questa è una consuetudine che rende gli arbëreshë unici nel loro genere, in quanto, la tradizione di conservare tutelare e vivere nel rispetto del territorio non è trascritta in nessun codice ma riportata oralmente tra generazione.
Nonostante ciò quanti non sono arbëreshë cercano di tutelare secondo disciplinari la pizza perfetta, l’olio di origine territoriale, il migliore vino con essenze irripetibili, il manicaretto locale e per ogni genere di prodotto che segna le tradizioni locali di quel territorio.
Ciò tuttavia, quando si tratta di architetture o si deve incidere segni sul territorio, tutto si dissolve nel nulla e il libero arbitrio, specie di quanti abituati a operare nei deserti africani dove mai nessuno ha dato una traccia da rispettare, viene nei luoghi della storia a seminare avena fatua.
i Greci, infatti, a loro giudizio, facevano ricadere la responsabilità della barbaria ai Persiani, agli Indiani e, ai fortiori (geograficamente), i Cinesi escludendo l’Egitto.
Ho visto “la stazione” nata dove iniziano a defluire i regi lagni campani, nella piana che si estende tra la Reggia di Caserta e la Capitale europea della cultura, il luogo storico dei fortilizi, segnato dall’operosità degli uomini che sono stati eccellenza in Europa.
Dire che il buon segno architettonico ha smarrito la retta via è eufemismo, anzi, è il caso di suggerire alle istituzioni che immaginano un centro commerciale nello storico “Leonardo Bianchi”, di pensare se sia il caso di ripristinarlo.
Sino a poco tempo addietro trovavo indignazione all’innalzato de locativo arbëreshë nella valle del Crati, ma come sperso succede, le cose realizzate dall’uomo non hanno limite nello stupire e nei giorni scorsi la visita “della stazione campana”, ha prodotto una irreparabile ferita culturale nella mia conoscenza professionale; attraversare un irresponsabile e interminabile budello; il prodotto scaturito dalla bontà dell’ottimo vino locale, le cui botti una volta svuotate, a noi architetti locali , non hanno conservato altro che le Lacryme di Cristi, che purtroppo, non sono buone per ripristinare la cultura dismessa del territorio.
Come è possibile che gli uomini si diano tanto da fare per innalzare vittoriosi un disciplinare rigido per la pizza campana, l’olio della Puglia, il vino Abruzzese, che sono beni di consumo e quando si tratta di tutelare le connotazioni ambientali e fisiche del territorio, non si pretende un rigo disciplinare sostenibile delle tre fasi progettuali?
Cosa ci impedisce, prima di attivarci a intaccare il territorio, di realizzare un corposo fascicolo storico su cui studiare prima di incidere segni sul territorio?
Una cospicua relazione d’indagine che ponga in essere le vicende che legano uomini e territorio.
I tecnici moderni specie quelli formati durante l’esplosione economica del petrolio, non sanno e non conoscono, perché archistar, cosa sia il GENIUS LOCI, associato al termine di «etnocentrismo» ingredienti fondamentali per polarizzare l’arte locale e in seguito disegnare la giusta forma che lega ambiente naturale e ambiante costruito.
Ciò non accade per caso ma è un’arte che pochi possiedono, oggi è diventato facile essere protagonisti con i beni di consumo, complicatissimo lo è per ciò che termina e manomette indelebilmente il rapporto tra territorio, natura e uomini.
Il traguardo non deve mirare a riparare “l’errore progettuale”, arricchendolo con i dissociativi centri commerciali o musei di epoca romana, greca o bizantina, giacché l’espressione architettonica deve diventare il valore aggiunto al territorio senza disarmonie con l’ambiente naturale.
Solo il buon progetto, realizzato secondo il disciplinare rispettoso della storia e dell’architettura, nasce forte e gli uomini che vivono il territorio quando lo vedono crescere, lo accolgono e lo fanno proprio.
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