Posted on 27 novembre 2013 by admin
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Posted on 26 novembre 2013 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Enrico Cuccia nacque a Roma il 24 novembre 1907 da Pietro Beniamino e da Aurea Ragusa, il nonno paterno, Simone, era un noto avvocato siciliano di origini arbëreshë di Mezzojuso in provincia di Palermo, eletto in Parlamento dal 1882 per quattro successive legislature.
Il padre Beniamino, su consiglio e con l’appoggio influente di Guido Jung, agli inizi del secolo si trasferì a Roma, dove fu assunto al ministero delle Finanze.
Esperto di questioni fiscali e amministrative collaborò anche con, Il Messaggero, noto giornale romano allora controllato dall’Ansaldo dei fratelli Perrone.
Come la sorella, Enrico frequentò le scuole della capitale e terminato il liceo al Tasso e si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, laureandosi col massimo dei voti nell’anno accademico 1929-30 sotto la guida di Cesare Vivanti con una tesi sui listini di Borsa e la speculazione.
È stato un banchiere italiano e rappresenta una delle figure di spicco della storia economico-finanziaria italiana del XX secolo.
Fu sposato con Idea Nuova Socialista Beneduce, figlia di Alberto, da cui ebbe tre figli, Beniamino, Auretta Noemi e Silvia Lucia.
Alla fine degli anni Venti la sua carriera iniziò con un triennio di tirocinio come cronista presso il Messaggero, che gli valse l’iscrizione all’albo dei giornalisti professionisti.
Nel 1930 fu assunto a Parigi nella Banca Sud-Ameris, nel 1931 era passato in Banca d’Italia, presso la rappresentanza di Londra; nel 1934 era stato chiamato all’IRI alla cui testa vi erano due personalità formidabili come Alberto Beneduce e Donato Menichella; nel 1936, fu inviato dal sottosegretariato per gli scambi e per le valute in Africa orientale italiana con l’incarico di creare le delegazioni del sottosegretariato e con quello informale di stroncare un traffico clandestino di valute.
Enrico Cuccia lavorò in Africa orientale italiana insieme al suo collega Giuseppe Ferlesch sotto le direttive di Alberto D’Agostino, capo della direzione generale delle valute e sottosegretariato, al vertice del quale c’era Felice Guarneri.
Il suo lavoro fu accolto favorevolmente in Italia e il 1 luglio 1937, ritornato in patria per qualche giorno, fu ricevuto insieme a Guarneri da Benito Mussolini, quell’incontro venne evidenziato da un articolo apparso sul Corriere della Sera , nel quale si leggeva che: Il Duce elogiava il dottor Cuccia per il lavoro compiuto in circostanze particolarmente difficili.
Si trattava di un segnale, sottinteso ma chiaro, destinato a chi premeditava di attentare all’incolumità di Cuccia e diretto al viceré d’Etiopia Rodolfo Graziani e al suo entourage che non avevano gradito le intromissioni del giovane funzionario in una gestione amministrativa che Cuccia sospettava fosse caratterizzata da gravi irregolarità finanziarie e da un’interessata tolleranza nei confronti dei trafficanti di valuta.
Nonostante la situazione disagiata e pericolosa nella quale visse durante il periodo di permanenza in Africa orientale, nonostante le difficoltà e gli ostacoli, Cuccia operò con grande serietà e severità, stilando relazioni tecniche precise ed esaustive che puntualmente inviava a D’Agostino, ricevendone indicazioni e incoraggiamenti continui.
Le sue capacità innate a questo tipo di lavoro lo portarono ad essere chiamato anche nelle fila, della Comit diretta da Raffaele Mattioli.
Durante la seconda guerra mondiale si recò spesso in Svizzera allo scopo di sostenere la Resistenza, per la quale operò anche da staffetta con la copertura fornitagli dal fatto di essere un funzionario di banca di alto livello.
Fino dal 1944, Enrico Cuccia seguì la vicenda di Mediobanca, quando Mattioli propose un “ente specializzato per i cosiddetti finanziamenti a medio termine, in sostanza, un modo per superare la legge bancaria del 1936.
In un convegno tenutosi nel 1986 Enrico Cuccia descrisse con precisione le difficoltà incontrate nella realizzazione del progetto, che aveva richiesto oltre 18 mesi di laboriose trattative, sia per trovare dei partner che accettassero di entrare nel capitale del nuovo istituto sia per superare le obiezioni di chi, come il governatore della Banca d’Italia Luigi Einaudi, temeva che dietro questo progetto vi fosse di fatto il ritorno della Comit alla struttura della banca mista: ecco perché Cuccia organizzò il lavoro dell’istituto che gli venne affidato da un lato senza fare a meno delle Bin azioniste, ma dall’altro lato tenendo le medesime largamente all’oscuro delle decisioni che la banca stava per prendere, apprendendole generalmente a cose fatte.
Il 3 novembre 1944 fece parte della delegazione italiana, composta tra gli altri da Egidio Ortona e Raffaele Mattioli, che si recò a Washington con l’obiettivo di richiedere al governo statunitense aiuti per la ricostruzione post-bellica italiana.
Nell’aprile 1946, Cuccia divenne il direttore generale della nuova società Mediobanca, posseduta da Credito Italiano, Comit e Banco di Roma. Nel 1949 diviene anche amministratore delegato.
Mediobanca fu costituita il 10 aprile del 1946. Il capitale di 1 miliardo di lire fu sottoscritto per il 35% dalla Banca Commerciale Italiana e dal Credito Italiano e per il restante 30% dal Banco di Roma, divenne in breve tempo il centro del mondo finanziario e politico italiano. Il caso più importante, tra le numerose grandi transazioni economico-finanziarie gestite da Cuccia e da Mediobanca, fu sicuramente la scalata alla Montedison di Giorgio Valerio da parte dell’ENI di Eugeni Cefis.
L’istituto costituì il perno di un sistema di alleanze, che attraverso partecipazioni incrociate e patti parasociali garantiva stabilità degli assetti proprietari dei maggiori gruppi industriali.
Un altro aspetto importante dell’azione di Cuccia fu l’apertura internazionale che avvenne nel 1955.
Nel suo viaggio statunitense del 1965 Antonio Maccanico ebbe modo di apprezzare la considerazione che si avesse a Wall Street per Enrico Cuccia, il cui nome era all’epoca in Italia quasi del tutto sconosciuto al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori.
Nell’84, raggiunta l’età di 75 anni, l’IRI ne impose le dimissioni dalle cariche in Mediobanca. Ma dall’’88, dopo la privatizzazione dell’Istituto, fu nominato Presidente onorario e nel lungo periodo che va dal 1984 alla sua scomparsa, avvenuta a Milano il 23 giugno del 2000, Cuccia ebbe la fortuna di poter contare su due collaboratori straordinari, Salteri prima e poi Vincenzo Maranghi che erano cresciuti con lui e ne avevano assorbito gli insegnamenti, per cui, pur cessando dalla cura quotidiana di Mediobanca rimase pienamente inserito, fino alla sua morte, nei meccanismi decisionali della banca che aveva modellato con assoluta determinazione e di cui aveva fatto uno perno centrale nella vita economica italiana.
Per quanto riuscì a realizzare ottenne le seguenti onorificenze, il 2 giugno 1957 Grande ufficiale dell’Ordine e il 15 settembre 1966 Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito, entrambe, dalla Repubblica Italiana
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Posted on 23 novembre 2013 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Ha avuto luogo nei giorni scorsi, nella Sala Consiliare della Provincia di Napoli, nel Complesso monumentale di Santa Maria La Nova, una tavola rotonda cui hanno partecipato amministratori Partenopei e Catalani della città di Barcellona, affiancati da eminenti architetti.
Il dibattito verteva sulle esperienze per la valorizzazione del territorio metropolitano, in particolar modo, quello della capitale Catalana che negli ultimi decenni è stata protagonista di uno sviluppo architettonico e urbanistico riconosciuto dalle istituzioni di tutta Europa.
Durante il dibattito, l’analisi fatta da un noto architetto partenopeo, ha messo in luce gli aspetti che hanno contribuito a ottenere risultati così brillanti.
Sono, gli stessi modelli a cui si potrebbe ipotizzare di adottare negli ambiti di quella che s’individua come la regione storica d’arberia, con il fine di dare solidità alle labili scelte che ormai da troppo tempo non offrono più riferimenti agli agglomerati urbani dalla minoranza.
I risultati ottenuti dai tecnici e dagli amministratori barcellonesi, fondano le proprie radici sul presupposto che non esistono ambiti di maggiore o minore interesse e che il progetto non è prerogativa di una sola parte della popolazione, giacché, solamente se essa viene da tutti condivisa attraverso manifestazioni ed eventi nel corso dell’iter dall’idea, al progetto, sino alla sua messa in opera, verrà accolta e farà parte dell’intero sistema sociale.
Quando in fine l’opera in senso lato è realizzata, non diventa un elemento ignoto con cui nessuno sa riconoscersi, infatti, le manifestazioni e gli eventi durante il corso della messa in atto servono a convivere e fare in modo l’evento diventa il momento dell’accoglienza.
Diversamente nei territori della regione d’arberia, non aleggia nemmeno la teoria idiota secondo cui esiste solo l’ambiente, naturale, che almeno avrebbe prodotto inconsapevolmente conservazione, ma si promuovono programmi e progetti egocentrici che producono danni irreparabili, affievolendo l’immenso patrimonio linguistico consuetudinario caratteristica della minoranza.
L’unica cosa che tutta la popolazione minoritaria condivide è la vergogna del personalismo politico clientelare, volontà perversa che ha come riferimento prioritario “l’idiota capacità storica circoscritta” nel mettere in atto manifestazioni, eventi e progetti senza alcun rapporto e condivisione con i fruitori, innescando il processo che confonde le memorie storiche rimescolando inconsapevolmente quelli che una volta erano ritenuti solidi riferimenti.
La città di Barcellona e la sua provincia hanno raggiunto risultati in pochi decenni che nessuna città europea ha avuto eguali, si è giunto a tale risultato nonostante la Spagna intera per decenni ha vissuto un regime che non gli consentiva di poter emerger in alcuna disciplina, ma i Catalani, un popolo caparbio, questa rinascita l’ha preparata in silenzio e con tanta dignità mandando i propri figli a frequentare le Università più rinomate di tutta Europa e quando il regime ha avuto il suo corso naturale, i Catalani non hanno dovuto fare altro che mettere a frutto le capacità acquisite dai propri figli.
Queste considerazioni raccontate dal presidente della provincia della Catalogna mi hanno fatto molto riflettere e immaginarle riversate negli ambiti in cui ho avuto i miei natali.
Personalmente mi auspicio che la prossima estate anche per il piccolo paese della Sila Greca, possa ripetersi quella svolta che ha portato i catalani a essere ritenuta l’etnia più moderna d’Europa, non solo per i risultati acquisiti nella vivibilità dei propri ambiti, ma anche per la capacità di valorizzare la propria identità.
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Posted on 10 novembre 2013 by admin
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