NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Il tema a titolo è un dato di fatto palesemente inconfutabile, da cui si coglie il valore odierno del focolare domestico, non più amministrato dalla saggezza materna, che disponeva legna e cenere con garbo e passione, per ottimizzare luce e calore, diversamente di fochisti inconsulti odierni, che non rispettano neanche la radice domestica, in essenza di Erica, dei cui rami e germogli igienizzavano casa e ambiente circostante.
Così accade anche per la vestizione dei generi, che non segue in alcun modo, manifestando l’itinerario di colori e rappresentanza all’interno della casa, a iniziare dalla culla e poi lungo la Gjitonia, sino alla chiesa.
Ed era in questo microcosmo, dove le cose di bimba, giovane, sposa, generavano la madre e la scuola, secondo un protocollo di vestizione e movenze, senza altri fini, come oggi si usa fare in musei e lungo le vie dove si portano i Santi, in processione, suggeriti da comuni viandanti distratti o, della breve sosta, che non sanno né parlare e né ascoltare storia in arbëreşë.
Questi sono i principi di parlato, ascolto e di movenze, a cui sono stati sottratti i valori della formazione ormai allo stremo e, da cui si evidenziano le note lagrimose.
Di queste va evidenziata la perdita del ruolo storico, dalla parte bassa e di quella alta di ogni Katundë; la dismissione delle attività del centro antico con l’esigenza di allargare i vicoli di ogni rione per parcheggiare negli storici orti botanici; l’uso dei grani cellulari, che ha compromesso il valore dei cunei agrari; dismesso le fontane storiche; appiattiti i ruoli di credenza e di amministrazione; posto a termine il senato delle donne e, il parlamento degli uomini; le prospettive storiche sostenute dalle briciole di minoranza che rendono questi luoghi privi di ogni giustificato valore o forma unitaria, per essere riconosciuto come pane di tempo e lungo.
L’alimento fondamentale che con olio e vino, sfamava i bisogni del passato, senza che vi fosse bisogno del dualismo centrale delle insalatiere, che emanano essenze in grado di deteriorare il fondamentale alimento di coesione e credenza locale ormai compromesso.
Oggi rimane la memoria offuscata di queste storiche immagini, giacché i Katundë di minoranza arbëreşë, non avendo mai avuto il bisogno di scrivere o appuntare il valore di questi adempimenti sociali di memoria antica, vivevano di memoria e di storia condivisa.
Certamente associare immagini a sgrammaticati sostantivi, che non trovano agio nella pronunzia e nella movenza del corpo, il tutto associato a un alfabeto che non illumina la mente per associare immagini dall’alfabeto, come storicamente è accaduto alle civiltà secoli orsono.
Infatti chi non conosce la storia della scrittura o della memoria di scambio e formazione di segni, non può e non deve avvicinarsi a questa storica evoluzione, immaginando che fermare con scatti le immagini, possa illuminare gli arbëreşë, con quel lampo che acceca mente e occhio e non certo illumina le nuove generazioni, che incuriosite vanno verso il buio del varrone.
Tuttavia quanti siedono negli scanni di gestione civile e di credenza, non creano cose e momenti capaci o in grado di raccogliere e diffondere memoria, ma momenti di breve sosta per i viandanti a cui non serve essere illuminati o formati, come avviene con le generazioni di leva odierna, secondo atti di frenetico affanno, perché orfani del senato delle donne che sono più volte madri, come era uso fare un tempo.
Questi due momenti di tempo lento dei Katundë e la frenesia del moderno agire, ha generato un polverone che invade tutti i piccoli centri antichi arbëreşë, delle colline del meridione, facendo così scomparire per inadeguatezza delle nuove generazioni, il modello della stagione lunga e quello della stagione breve, appiattendo ogni cosa con le più moderne quattro stagioni.
Titoli accademici di comuni istituzioni o inadeguati percorsi di formazione di breve durata, assegnano titoli averne senza un protocollo di frequenza o confronto con la realtà delle cose, come era uso fare nell’antico protocollo gestito dal senato delle donne e, poi affinato e accompagnati del costruito degli uomini, in tutto un traguardo ambito e imitato ad oggi, senza avere misura di questo storico protocollo fatto di tempo lungo e parlato.
A oggi si persegue il fine di fare “icone diffuse” in ogni varco di porta un tempo nobile o “grafitare” le storiche prospettiva dei vernacolari centri antichi.
A tal proposito va specificato che questo genere di opere è fornito e accolto, di quanti non trovano agio nei propri ambiti o chi dice di essersi formato fuori e fa restanza, la stessa che serve solo ad affollare inutilmente gli scanni di un ideale che non si conosce come: “kushëtë i Katundë”, dove si riferisce e si immaginano cose lljtirë; che tradotto in Italiano corrente rappresenta la lettera scarlatta (per chi professa la credenza imperiale d’occidente).
A oggi sostenere che le genti arbëreşë, che approdarono nel meridione fossero i discendenti delle armate di Brancaleone, rileva la misura della poca attenzione che alcuni istituti hanno formato gli addetti che dovrebbero o avrebbero dovuto fare resilienza e formazione per le nuove generazioni
A tal proposito è il caso di precisare che gli arbëreşë, a differenza della moltitudine delle genti che qui venivano per trovare agio, rappresentano l’unico esempio di integrazione mediterranea e, valore riconosciuto sin anche dagli indigeni più elevati,
Questo dà la misura, del valore riconosciuto dalla storia agli arbëreşë e, in ogni secolo a venire dalla nascita di Gesù che sono un popolo dalle mille attitudini di operosità senza rivali, specie nel rispettare la natura e il valore mai violato per la memoria e la storia dei luoghi da essi bonificati perché abbandonati.
Al giorno d’oggi i cultori locali, la cui formazione llitirë, è allevata nei dipartimenti più estremi, per poi subito tornare e fare restanza di labile statica, credendo di conoscere gli “ingredienti” storici senza alcuna conferma se non i derivati dell’Albanistica moderna, e di tutte le sue varianti scrittografiche, inopportunamente inserite nel protocollo storico, di resilienza arbëreşë, lo stesso che intanto producendo un paragone al pari di chi vorrebbe: il Latino come una lingua che nasce e si sviluppa grazie al Moderno Italiano.
L’insieme di quanto sino a qui citato, per grandi line, genera Katundë spogli di ogni dimensione architettonica e urbanistica, come era stato un tempo progettato, sostenuto e suggerito, dal Senato delle donne e terminato dagi anni novanta dalle direttive passate al viandante llitirë che non è cresciuto frequentando le storiche scuole intrise di sensi e passioni che erano riverberate all’interno del modello sociale denominato Gjitonia.
Una memoria resta e segna la storia di ogni Katundë, ovvero, con la dismissione del Senato delle donne che generava Gjitonia e, le libere intuizioni locali senza alcuna radice di genio Arbëreşë sono, la deriva che oggi produce e genera la penosa ascesa a impronta di quartiere metropolitano dismesso.
Resta una via da intraprendere, ovvero quella di dare spazio alle donne, di questi piccoli centri antichi collinari, un tempo definiti Katundë Arbëreşë, secondo un nuovo modello di gestione assegnando funzione fondamentale a donne il ruolo che un tempo era delle madri e nonne sagge, ricreando l’ambiente divulgativo, privo dei minimali protocolli di consuetudini che pochi ricordano o conoscono, ma che tutta la popolazione senza esclusione di alcun genere sogna ancora uno che lei sappia per ritrovare per viverli.
Katundë è un luogo antico che segna la vita dell’uomo da millenni, e qui depositarono i lasciti dei principi di un confronto solidale e movimento fraterno, perché ogni dinastia era unita dalle cose che il tempo e la natura qui stendeva alla luce del sole, facilitando per rendeva possibile il vivere senza patire estremo.
Se noi contiamo gli anelli delle essenze arboree ancora floride in queste riserve naturali, avremo conferma dei millenni trascorsi in solenne equilibrio dall’uomo.
Se questi concetti non sono diffusamente noti trovando velate le ere trascorse, serve conosce chi ha sottratto con metodo questi circolari segni della storia dell’uomo, che garantiscono il corso della storia.
Va in oltre ribadito un dato fondamentale che poi ha determinato il deteriorarsi del valore Katundë, in quanto sino a quanto si tratta di disquisire liberamente dei concetti che sono la radice di questi centri antichi, tutti fan gande uso di valori che indicano chi e restanza perché torna.
Tuttavia poi quando si tratta di fare sul serio e, magari presentarsi davanti a giudici, che devono per legge esprimere un giudizio sulla base di fondamenti storici solidamente dimostrati e, non certo effimeri o ideali su basi di restanza, a presentarsi con fierezza davanti ai magistrati e avere ragione, si distingue solo chi si è formato nei federiciani fondaci Olivetani, continuando a ottimizzare la crescita della pianta del prezioso frutto.
In ragione di tutto ciò si ritiene che ormai i tempi siano idonei a diffondere i principi fondamentali per la minoranza che sostiene i propri valori all’interno dei centri antichi attraversi ideali di iunctura familiare trapassati con il parlato e ascolto.
Tutti questi sostenuti dalla radice del parlato che non è odierno dire Albanistico, in tutto il frutto ancora acerbo, che nessuno riesce a digerire.
Giacché la radice linguistica, inizia dalla individuazione del corpo umano e animale, in fraterna convivenza con l’ambiente natura e quello stella e oltre sino al divino.
Tutto il resto e dogana irregolare passate senza pagare dazio culturale e, poi accreditato agli Arbëreşë; questo un principio che i due grandi fratelli che studiavano il parlato in Europa per unire popoli che si dovevano confrontare con un solo e indivisibile parlato: il cui protocollo, non è da accantonare mai, perché altrimenti si spezza il legame che corre tra mente e bocca, ovvero l’immagine visiva, con le vocali irrequiete del parlato Arbëreşë.
Atanasio arch. Pizzi Napoli 2025-25-29