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L’ARCHITETTURA DEL BISOGNO DELLA DONNA E IL COSTRUITO DELL’ UOMO IN ABBONDANZA (Jëmë e jatràtë satë bëgnenë thë ngruituratë tònà)

Posted on 01 giugno 2025 by admin

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NAPOLI (Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Il confronto quotidiano tra generi e, vissuto negli ambiti della regione storica diffusa in Italia degli Arbëreşë si sosteneva seguendo le linee consuetudinarie con finalità del progredire dei generi e, il ruolo delle donne aveva spazio in autonomia dal focolare della casa sino allo spazio ideale denominato Gjitonia, con ruolo di regina del fuoco e della casa.

Mentre l’uomo aveva spazio di competenza e reggenza, dal confine ideale Gjitonia, dove erano le botteghe artigiane, oltre le terre dell’agro, avendo competenza specifica dei cunei agrari di produzione e trasformazione dove erano i limiti più estremi del territorio comunale.

 Questi due sistemi paralleli di genere donna e uomo, assumeva e svolgeva, ruoli specifici in forma di radice e di fioritura sostenibile, per il modello di Iunctura familiare, della minoranza arbëreşë.

Due sistemi paralleli e coesi, in cui le due parti raffiguranti il matriarcato e il patriarcato, assumevano ruoli specifici, senza mai sovrapporsi o creare attriti, rimanendo per questo efficienti senza soluzione di continuità per secoli, in tutto lo stesso modello che oggi la società moderna cerca di imitare, ma purtroppo senza alcun successo per la sovrapposizione incontrollata dei due generi.

Casa e Gjitonia era il luogo dove la donna progettava e architettava ogni cosa, per poi affidare all’impresa degli uomini l’eseguire e materializzarle il richiesto, diversamente negli ambiti estremi della Gjitonia sino ai confini comunali, di pertinenza de Patriarcato preposto ad architettare, sotto la consulenza e la rifinitura collaborativa con protagoniste il Matriarcato.

Quando oggi si cerca di esporre o presentare un elemento di architettura si usa riferirlo a epoche illuminate al genio del proprio momento a cui fa più comodo riferire, di un solo ed esclusivo genere.

Tuttavia esiste un tempo in cui il bisogno degli uomini compilava edificati vernacolari, in funzione del bisogno progettato dalle donne, non certo per forme di abbondanza, ma esigenza allo stato puro.

Questi due modi distinti di edificare hanno alla base l’assenza e la presenza della figura che oggi valorizza o demolisce una struttura di rilievo, ovvero l’architetto.

Analizzare le due modalità opposte per concepire, progettare e innalzare manufatti per vivere i sistemi del bisogno o economici, sociali e culturali, pone l’esigenza, di sottolineare e distinguere in chiaro, i momenti di donne e uomini che fanno architettura.

Se gli Arbëreshë vivono Katundë sostenuti da valori condivisi dalla donna e dall’uomo, secondo una prospettiva di vita familiare, in regola comune, che prende forma ideale nella Gjitonia, perché capace di razionalizzare valori materiali ed immateriali, alla pari dei complessi monastici dove vigeva il principio della Llighjia.

A tal proposito si potrebbe ipotizzare che la nascita del razionalismo architettonico, si ispira al governo delle donne sostenuto dal senato degli uomini.

E se San Leucio in Campania come altri complessi in Francia e Inghilterra nascevano su principi di uguaglianza sociale, lavoro collettivo e progresso civile, senza tralasciare o sminuire gli esempi più recenti come i Sassi di Matera e il complesso di Le Mortelle, dove il razionalismo moderno non ricevette l’approvazione del governo delle donne, che minacciava di ritornare a vivere nelle grotte, cosi come in tutti gli esempi di edilizia popolare progettati dagli uomini e, nel corso del vissuto delle donne, subirono modifiche e cambiamenti distributivi in forma di superfetazione migliorativa.

Erano i primi anni degli anni sessanta e in un Katundë Arbëreshë della Presila greca, venivano assegnate quattro unità abitative ad opera dell’Ina Casa e, Carmela accompagnata dal figlio, orgoglioso della nuova casa assegnatagli, si senti spegnere l’entusiasmo dalla madre, con la frase: chi ha potuto concepire e realizzare una casa priva di un camino per fare focolare? 

Considerando che l’Architettura del bisogno o vernacolare, si fonda su scarsità, necessità, funzionalità essenziale, guidata dal principio del “quanto essenziale”, spiega anche il perché ogni rione quartiere nato per sodisfare un bisogno sociale non viene considerato alla pari delle architetture dette maggiori.

A tal fine va rilevato che ogni elemento ha una funzione chiara e indispensabile, seguendo il principio di minimizzare gli sprechi e, avendo cura dell’uso oculato delle poche cose poste in essere.

Il tutto come avveniva nelle case dove le risorse e i materiali diventavano fondamento del vivere dignitoso e ogni cosa era incline alla durabilità e alla manutenzione ordinaria.

Essa nasce spesso in contesti di emergenza, crisi, o marginalità e, l’estetica diventa subordine della funzione.

Diversamente avviene con l’Architettura dell’Abbondanza, la quale si basa su opulenza, esuberanza, disponibilità di risorse, le cui finalità sono di natura rappresentativa o simbolica.

E per questo le caratteristiche formali estetiche e dell’uso risultano essere ridondanza e decorazione più del necessario, con finalità estetiche o simboliche finalizzate all’apparire.

Poi se a questo associamo l’uso di materiali pregiati in ampio e largo uso, così come sono esose le risorse e le lavorazioni complesse degli elementi formali ed estetici.

Da ciò, l’architettura dell’abbondanza, nasce quasi sempre sulla base di progetti che hanno il fine di stupire o celebrare, affidandosi all’uso di tecnologie avanzate o sperimentali, generalmente mirano a valorizzare le prospettive dei contesti di benessere, potere, o consumo.

Il principio su cui si basano i progetti hanno finalità che preferiscono l’estetica, la forma che poi diventano predominante sulla funzione e, rendere il manufatto espressione inconsulta del mondo che dispone le cose secondo una visione verticale, ruotando sin anche la tipologia di bosco naturale di collina.

Le espressioni “architettura del bisogno” e “architettura dell’abbondanza” sono di solito utilizzate in modo concettuale per descrivere due approcci opposti nella progettazione architettonica e urbanistica, riferendoli in sostanza al contesto socioeconomico, culturale e ambientale.

Con una certa tradizione nella critica culturale di genere, la quale mira a sottovalutare con finezza i due paralleli di genere, anche se la storia non contraddice il teorema secondo cui “l’architettura del bisogno” è delle donne e quella dell’abbondanza è degli uomini.

Giacche si evidenzia una metafora politica e sociale, che qui si vuole esporre con cautela storica, per evidenziare la regola assoluta dal dualismo di genere, politico e di credenza vissuto.

A tal scopo va rilevato che storicamente, le donne sono associate alla cura, alla casa, al quotidiano e, alla gestione del necessario.

E per questo il progetto che parte “dal basso”, finalizza e sodisfa bisogni indispensabili, relazionali e comunitari, che avvicina a un modo di pensare più relazionale e meno egocentrico, lo stesso riconosciuto da alcune teorie delle prospettive femminili.

Altra forma assume l’architettura dell’abbondanza, quasi sempre espressa attraverso gestualità o espressioni grandiose, monumentali, autoriali, se non talvolta narcisiste, legate a logiche di potere, in visibilità e dominio dello spazio storicamente associati ai modelli patriarcali.

Da ciò si può sintetizzare che mentre l’architettura del bisogno diventa essenziale e rispettosa delle cose naturali che accoglie dispone il necessario che diventa tema prioritario.

L’architettura dell’abbondanza diventa un riassunto che accavalla e richiede sempre un compromesso naturale o effetti collaterali necessari.

Tuttavia bisogna rimanere cauti ed attenti, perché non si tratta di una distinzione biologica, né tantomeno essenziale o generica, perché non tutte le donne progettano nel primo modo, né tutti gli uomini nel secondo.

In quanto il teorema è una distinzione culturale e simbolica, che riflette le asimmetrie di potere nella storia dell’architettura di cui la società è intrisa di entusiasmo.

Ci sono architetti uomini che progettano con un’etica del bisogno e donne archistar che fanno architettura spettacolare, sin anche seminando dissuasori nello sviluppo planimetrico delle piazze, immaginando che possa essere anche strada.

Resta un dato fondamentale ovvero, la storia dell’architettura è stata scritta quasi esclusivamente dagli uomini, per uomini, e secondo logiche di potere maschile, ma chi segue e indaga ogni momento della storia sa che l’origine del costruito era una volontà femminile.

Per secoli, le donne erano escluse dalle scuole della ricerca di architettura e dai grandi cantieri dove, le figure dominanti nella disciplina sono state (e in gran parte sono ancora sono) uomini.

L’architettura celebrata, finanziata, pubblicata e premiata tende ad essere spettacolare, firmata e, visibile con caratteristiche legate a un approccio dominante maschile.

Le poche donne archistar hanno dovuto operare dentro logiche maschili per essere accettate, anche se non si escludono casi di spazi pubblici compromessi perché intesi simili al percorso da casa a chiesa.

Tuttavia un dato è incontrovertibile che, l’architettura dell’abbondanza nasce e si afferma in un sistema di valori patriarcale.

E l’architettura e sin anche l’urbanistica del bisogno, e riferisco di quella meno nota, che poi è fatta di concetti scaturita dalla collaborazione finalizzato e attento al quotidiano come storicamente delle donne, è più vicina a un approccio, almeno culturalmente di pratica femminile.

In quanto le donne hanno avuto maggiore spazio in pratiche marginali e, questo dato, evidenzia una disuguaglianza strutturale nella cultura del progetto specie quando diventa pubblico, dove il potere di decidere è stato a lungo in mano a una parte sola della società.

La stessa che ha modellato le città e gli spazi abitati secondo valori spesso non inclusivi, infatti analizzare un progetto o una città da questa prospettiva di genere.

Come parlare delle figure femminili “rimosse” o invisibili nella storia dell’architettura, riflettere su come cambierebbe l’architettura se fosse guidata da altre logiche (di genere, ma anche di classe, etnia, ecc.).

Cosi come la storia del Grand Tour che nasce intorno alla metà del XVII secolo (1600) e rimase in voga fino all’inizio del XIX secolo (1800), particolarmente popolare tra i giovani aristocratici inglesi, ma anche francesi, tedeschi e nordici.

Il valore del Grand Tour per gli uomini, serviva a completare la formazione con lo Studiare arte, storia e cultura classica (soprattutto in Italia e in Grecia), alla ricerca di relazioni utili per la carriera politica, militare e sociale.

Per terminare questo breve, con cognizione di causa va aggiunto il valore del Grand Tour degli uomini di cui l’Italia intera venne interessata, diventando un museo o biblioteca a cielo aperto per la formazione in valori artistici, letterari e sociali per comprendere e apprezzare meglio la vita mondana.

Diversamente è stato il tour delle donne le quali pur avendo mira di accedere a circoli intellettuali europei, esse, usavano confrontarsi in maniera costruttiva con le donne dei Katundë montani e, nelle borgate dei gradi entri antichi, con le pari di sesso, annotando o vivendo momenti molto costruttivi, affinando il ruolo di madri o future madri che avrebbero rinnovato o rivestito al loro ritorno.

Quindi anche in questo caso se per gli uomini, il Grand Tour era educazione, status e preparazione alla vita pubblica.

Per le donne, era pur essendo una esperienza più rara, comunque diventava un’opportunità di emancipazione culturale e personale, di confronto con luoghi che erano palcoscenico di una dimensione ricca di umanità e ideali e non di lumi dorati ottenuto con le pene di quelle realtà di viaggio.

 

Atanasio Architetto Pizzi                                                                                       Napoli 2025-06-01

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