NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Il governo guidato da Giorgia Meloni, con Matteo Salvini come ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha rilanciato con forza il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, considerandolo una grande opera strategica per il paese.
Secondo l’esecutivo, il ponte rappresenta un’infrastruttura fondamentale per collegare in modo stabile e veloce la Sicilia al resto dell’Italia e dell’Europa, migliorandone la mobilità di persone e merci.
Salvini, in particolare, sostiene che l’opera porterà benefici economici, occupazionali e logistici al Sud Italia, contribuendo a ridurre il divario con il Nord.
Il ponte è inoltre visto come un simbolo di modernizzazione e sviluppo, nonostante le critiche legate ai costi, all’impatto ambientale, superate dalla sua effettiva utilità.
Il progetto prevede un ponte sospeso a campata unica di oltre 3.300 metri, il che lo renderebbe il ponte sospeso più lungo al mondo, giacché, attualmente, nessun altro ponte ha una campata centrale così lunga.
La via sospesa, rappresenta una sfida tecnica molto elevata, considerando la notevole attività sismica dell’area dello Stretto e, i forti venti e le correnti marine generati dalla profondità del fondale, tutte superate dal pianoro sospeso.
L’ingegneria garantisce stabilità, sicurezza e durata nel tempo, tenendo conto di eventi estremi come terremoti e tempeste, tipiche di zona.
Inoltre, va garantita la continuità del traffico navale nello Stretto, quindi non possono essere depositati alcun che di ostacolo nel tratto di mare interessato.
Quindi sì, se realizzato, il ponte sarebbe non solo un’infrastruttura simbolica e strategica, ma anche una delle opere ingegneristiche più ambiziose costruite in età moderna, di questo secolo.
La realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina rappresenta una delle sfide ingegneristiche più ambiziose del nostro tempo.
Questa impresa richiama idealmente un importante precedente storico italiano, ovvero il Ponte sul Garigliano, progettato dall’ingegnere arbëreşë Luigi Giura, che unì le terre del papato con il meridione italiano.
Quest’opera fu un autentico primato mondiale, in quanto divenne il primo ponte sospeso al mondo realizzato su catenarie ancorate a pilastri singoli, interamente immaginato progettato e costruito con maestranze e materiali del meridione italiano.
All’epoca, Giura superò le difficoltà tecniche che ancora frenavano francesi, inglesi e altri stati del globo, segnando un punto di svolta nella storia dell’ingegneria del meridione.
Oggi, come allora, l’Italia pone in essere la propria eccellenza tecnica e innovativa secondo una nuova visione progettuale, affrontando sfide che uniscono e innovano l’orgoglio nazionale.
Il progetto del ponte che dovrà unire l’antico toponimo del faro al di qua e al di là dello stretto, richiama idealmente un’importante pagina della storia del genio italiano, opera dell’ingegno scaturito dal pensiero lucido dell’ingegnere e architetto arbëreşë Luigi Giura.
Dopo un attento confronto con le esperienze francesi e inglesi e dell’Europa in generale, nel tempo di un suo viaggio di studio in Europa, Giura concepì l’innovativo sistema di sospensione, utilizzando materiali all’avanguardia per l’epoca.
A rendere possibile il ponte di Giura, fu anche il supporto tecnologico delle maestranze di Mongiana, in Calabria, cuore industriale del ferro in quell’epoca.
E proprio lì, nella stessa terra dove oggi si progetta elevare e costruire il nuovo ponte di primato sullo Stretto, vennero realizzati i primi acciai trafilati in Italia, con tecnologie innovative per l’epoca.
Le Ferriere, già attive dalla fine del Settecento, rappresentavano un’eccellenza siderurgica capace di competere con Francia, Inghilterra e Germania, che a quel tempo avanzavano ancora senza quell’acciaio e quelle competenze locali, senza le quali l’opera di Giura non avrebbe mai potuto vedere la luce.
A completare questo ciclo virtuoso, venne messa a punto la macchina trafilatrice che consentiva di lavorare l’acciaio prodotto a Mongiana, rendendolo resistente e durevole.
Inoltre, a Napoli fu sviluppato un macchinario specifico per testare e garantire l’effettivo sforzo di trazione dei componenti acciaiosi, assicurando così che ogni componente avesse le caratteristiche ideali per sostenere le sollecitazioni del ponte.
Questo connubio tra produzione, controllo e qualità rappresentò un esempio di eccellenza industriale oltre che tecnologica italiana, elemento imprescindibile per la riuscita dell’opera di L. Giura.
Egli mise a punto e realizzò, il cosiddetto doppio pendolo, un ingegnoso meccanismo che permetteva di scaricare le spinte verticali direttamente sui pilastri e, quelle inclinate sulla catenaria, che a sua volta le trasferiva al suolo, tramite apposito amorsamento, delle forze prodotte del ponte.
Grazie a questa soluzione, fu possibile realizzare il primo ponte sospeso al mondo, su catenarie ancorate a pilastri singoli, segnando un primato assoluto nell’ingegneria civile.
Nel febbraio del 1828 Giura venne incaricato di realizzare il ponte ed il 14 aprile 1828 era già in grado di presentare il suo elaborato completo e dettagliato in tutte le sue parti.
Il 20 maggio 1828 furono iniziati lavori e il giornale inglese The Illustrated London News espresse “perplessità sulle capacità progettuali e costruttive dei napoletani e le sue vive preoccupazioni sulla sorte dei poveri sudditi, sicure vittime di questo vano esperimento di sprovveduti dettato solo dalla voglia di primeggiare”.
In effetti a quella data i ponti sospesi in ferro avevano tutti un grosso problema legato alla flessibilità a Parigi, a causa del vento, crollò il ponte sospeso in ferro progettato dall’accademico Navier; a Londra venne chiuso il ponte Driburgh sul Twed e la stessa cosa avvenne in Austria.
Fatto sta che i lavori proseguirono e il 4 maggio del 1832 il solito giornale inglese ipotizzava che il ponte fosse pronto, ma non fosse stato ancora collaudato per “timore del suo sicuro crollo”.
Ma il 10 maggio 1832 il re, si presentò davanti alle torri di sostegno del ponte alla testa di due squadroni di lancieri a cavallo seguito da 16 carri pesanti di artiglieria, colmi di materiali e munizioni transitando più volte.
Oggi, come allora, l’Italia si confronta con una sfida tecnica di portata mondiale, cercando di coniugare innovazione, funzionalità e identità nazionale in una grande opera che guarda al futuro, ma affonda le sue radici nella migliore tradizione ingegneristica del passato.
Nei giorni precedenti, tecnici scettici, nobili conservatori e giornalisti si riversarono nei pressi del ponte, convinti che l’opera non avrebbe retto.
Circolava addirittura l’ironia secondo cui, durante la cerimonia, il re sarebbe finito “con il sedere in acqua”, in napoletano “e pacchè intà l’acqua” e travolto dal crollo del ponte.
L’opera di Luigi Giura si impose, non solo come un primato tecnico, ma anche come simbolo di affidabilità e innovazione, superando le incertezze e i limiti delle esperienze europee dell’epoca.
Fondamentali per il successo dell’opera furono il supporto tecnologico disponibile all’epoca e, soprattutto, la lucida conoscenza della cosiddetta “scienza esatta”, che l’ingegnere arbëresh Luigi Giura applicò con rigore, senza esitazioni né patimenti di sorta.
In un tempo in cui l’ingegneria moderna muoveva ancora i primi passi, Giura riuscì a fondere teoria e pratica con una visione avanzata per il suo tempo, dimostrando che la matematica, la fisica e la meccanica applicata potevano governare opere complesse con assoluta precisione.
La sua fiducia nel calcolo e nell’analisi strutturale, ben oltre la semplice intuizione empirica, fu ciò che gli permise di portare a compimento un’impresa che molti consideravano impossibile.
Oggi, con il progetto del Ponte sullo Stretto, la storia sembra ripetersi, perché allo stato delle cose non basta essere ingegneri, architetti o matematici.
La tecnica da sola non è sufficiente, come ebbi modo di dire al professor Aldo Di Biasio all’Università L’Orientale, in quanto, queste sfide si vincono solo se affrontate con il pensiero e con il parlato primo, quello nato nella lingua arbëreshë, che non è solo mezzo di comunicazione, ma strumento di visione, di costruzione dell’anima e del sapere.
È da lì che nasce il coraggio di osare, la lucidità dell’intuizione e la forza di superare l’impossibile, come fece Luigi Giura ai tempi della scuola di ponti e strade e, come tutti noi ci auspichiamo oggi si può fare con la presenza di un tecnico arbëreşë che sa come vanno e come si fanno queste opere.
Perché il Ponte sullo Stretto di Messina possa avere un buon inizio, uno svolgimento efficiente, un allestimento solido e un collaudo impeccabili, e una lunga vita utile, ha bisogno di avere al suo fianco un lucido ingegnere/architetto arbëreshë come fu a suo tempo per il Garigliano.
Solo con una guida tecnica di eccellenza, unita a un governo determinato e lungimirante come quello di oggi, il progetto potrà trionfare glorioso, diventando il simbolo della rinascita e del progresso del Meridione italiano, così come avvenne quasi due secoli fa.
Atanasio Arch, Pizzi Napoli 2025-08-09