NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Tra una figura di rilievo e una più modesta c’è la stessa differenza che passa tra un chicco d’uva e una ghianda, il primo nasce pronto, dolce, apprezzato subito, colmo di succo e attenzione; l’altra è dura, grezza, passa inosservata, ma se lasciata al tempo giusto può rifiorire ma sempre identica e quercia.
Ad oggi, le figure che si muovono nello scenario culturale di minoranze storiche, sono diffusamente associabili a ghiande mentre, quanti sono e meritano considerazione come si fa con un chicco d’uva, sono identificati come germoglio di un aceto possibile.
Ci sono uomini il cui valore si manifesta con chiarezza, come un chicco d’uva maturo, dolce, pronto, lucente, capace di portare gioia e nutrimento con la sola presenza è, poi ci sono gli altri, che, pur avendo forma, condividono ben poco con quel percorso naturale che fa il vino buono.
Mentre le ghiande, dure, grezze, e utili a scopi ben più modesti, fanno restanza per essere cibo dei suini.
Ora, non si vuole negare che anche la ghianda abbia un ruolo nel ciclo della natura, ma confonderla con un frutto di vigna è un insulto senza precedenti fatto alla ai generi naturali.
Non è superbia riconoscere il proprio valore, è solo lucidità e, se qualcuno si offende sentendosi chiamato per ciò che è veramente, dovrebbe preoccuparsi meno del paragone, e un po’ di più del proprio contenuto o prestanza verso la società.
Tuttavia, va detto che proprio i più modesti, quelli senza spina dorsale, né idee proprie, sono spesso i primi a farsi eleggere.
E non per merito, bensì perché funzionali, innocui, docili e, predisposti ad essere manovrati, sollevati non dal popolo, ma dai poteri forti o, da chi muove i fili nell’ombra e, poi infondo tanto, si sa, non comanderanno mai davvero, perché inclini ad eseguire e obbedire.
E così, il chicco d’uva che avrebbe potuto portare dolcezza si trasforma in aceto, ma non un aceto nobile, da tavola raffinata, no, uno aspro, torbido, che corrode e guasta.
E chi paga il prezzo di questa trasformazione, sempre i soliti, i meno abbienti, gli ultimi, quelli che con fiducia hanno riposto speranza in un frutto che si è rivelato marcio dentro che in apparenza sembrava buono ma il suo animo nasceva per fare aceto.
Il paradosso è crudele, chi non ha il coraggio di decidere, finisce a decidere per tutti, specie chi non sa comandare, governa, non per sé, ma per conto dei terzi è sicuramente il più dannoso.
Come una marionetta lucidata per sembrare statista, in questo gioco, la ghianda non diventa quercia, ma maschera, e il popolo, continua a raccogliere frutti avvelenati, illudendosi che vengano dalla vigna.
Oggi, viviamo in un tempo in cui la forma conta più della sostanza, e l’obbedienza viene premiata più della competenza, in tutto, i modesti, i mediocri, si fanno strada non per visione o capacità, ma perché si rendono utili a chi il potere lo esercita davvero, dietro le quinte.
Sono proprio questi, i più accomodanti, a farsi eleggere con l’appoggio silenzioso dei poteri forti, perché tanto non decideranno nulla in fondo essi non guidano, non pensano, non producono domani, ma eseguono fatuo, ed è proprio per questo che vengono scelti.
Non perché brillano, ma perché non disturbano l’ombra di chi comanda e, così, quello che poteva essere un chicco d’uva, simbolo di dolcezza, speranza e maturità, si trasforma in aceto aspro, che invece di arricchire, rovina l’intero apparato sociale.
E chi ne paga il prezzo, purtroppo sono i cittadini fragili, quelli che da quel chicco aspettavano un nutrimento culturale come fa la fonte lungo la via dopo i tempi del lavoro
Ma purtroppo a rimetterci, come sempre, quanti subiscono le decisioni senza aver mai davvero potuto partecipare o esprimere pareri di tema fondamentali per la nostra cultura.
Oggi deve avere termine la stagione dei giullari travestiti e lucidati per sembrare statisti, siamo stanchi di ghiande travestite da frutti nobili, è giunto il tempo di smettere di premiare l’obbedienza cieca e, iniziare finalmente a scegliere chi ha il coraggio di decidere, chi ha visione aperta delle cose, chi non deve dire ‘sì’ per forza a chi lo ha innalzato in quello scanno che va sol a vento.
La democrazia non può essere una vetrina dove si espongono pupazzi, ma un abbraccio dove fare accoglienza la stessa che fa un luogo di verità, di responsabilità e, soprattutto, di dignità culturale.
È inutile esaltare ciò che, per sua natura, non può evolvere in qualcosa di valido o fruttuoso, proprio come una ghianda, che pur potendo crescere in una quercia, non darà mai un frutto commestibile, non ha senso attribuirle un valore che non le appartiene, né biasimarla come si farebbe con un chicco d’uva diventato aceto.
Le cose vanno giudicate per ciò che sono e per ciò che possono realmente diventare, non per ciò che si vorrebbe che fossero.
Non ha senso esaltare la ghianda ancora verde come se fosse un frutto di pregio, né attribuirle la colpa che si dà a un chicco d’uva diventato aceto: la ghianda, per quanto ci si ostini a volerla nobilitare, resterà sempre ciò che è, incapace di diventare un frutto da cui trarre piacere o nutrimento.
Al contrario, un vero chicco d’uva che parte e, al ritorno non porta restanza, ma trasformazione, non è mai aceto, ma parte viva di un vino che tutti sanno riconoscere come eccellenza.
E se lo stupore locale inizialmente lo rifiuta, dovrà presto ricredersi, perché, appena quella bottiglia verrà stappata e i suoi aromi invaderanno l’aria, ogni dubbio cadrà, lasciando solo il segno di una vite buona, capace di parlare a chi sa ascoltare.
Atanasio Arch. Pizzi Napoli 2025-08-12