Archive | marzo, 2012

ARBËRESHË – Italo-albanesi

Posted on 30 marzo 2012 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – L’arberia è nei fatti disunita e senza fini comuni, ha una bandiera che non è la propria, non ha un centro politico comune che abbia rilevanza nelle sedi della Nazione Italiana.

Smembrati in 50 e più comuni, indipendenti l’uno dall’altro, senza alleanze, senza unità di interessi materiali e non, inceppati con il progresso, privi di manifatture che vivono dell’incremento di duecento anni orsono e le attività commerciale non splendono certo della diversità di cui si va tanto fieri.

Eccellenze  territoriali che abbondano in una provincia, difettano in un’altra senza che si sia mai posto un adeguato senso comune per ristabilire un ideale equilibrio.

Trenta o più modelli linguistici ci uniscono in una fratellanza che se da un lato ci fanno dialogare gli uni agli altri dall’altra ci pone alla stessa stregua di  estranei.

E tutti questi paesi, sono governati dispoticamente privi d’intenti comuni, è indubbio che una regione che si potrebbe definire arbëreshë esiste e potrebbe formare un grande gruppo politico economico e sociale unitario, ma allo stato è pura utopia.

Non vi sono cinque, quattro, tre, o più Arberie, esiste una sola, i suoi confini sono delineati nei contesti più suggestivi del sud Italia; il risultano di simboli della loro natura. Continue Reading

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LA CANZONE DEL CANE TURCO

Posted on 29 marzo 2012 by admin

 

 

 

 

 

NAPOLI – (di Atanasio Pizzi) –  Gli usi, i costumi e le tradizioni popolari degli albanesi in Calabria, anche se hanno subito
ingerenza, hanno conservato, in buona parte, la schiettezza della loro terra d’origine.

A Santa Sofia d’Epiro il linguaggio è quasi originale, la si noti nella canzone qui di seguito riportata:

 

Linghirjan di vochiche

Tinghe pe eia pevo u.

Unghe pe da pevoti.

Iscia gna Turca te aio vota.

Ma gna vascia ta liturid,

Liturid pra va sceccia.

Poi me raun te gna erna:

Se, ti zot, e ti gra mastra,

Lascom ta liturid,

Ta Teja gna pica uja.

Ghat goja, chieni Turcu!

Unga dua te cupa Jote,

Se u dua te grusti imma,

Mo pregasti tanazon

Te driggon diza ribara,

Za ribara e za grusara

Za grusara nga ghiacu isaji,

Appena sosi fialzan

Marrivati za ribari,

Za ribari eza grusarì,

Za ribari nga ghiacu i sufi

Turcona ma fundacosan,

Vasciana ma je rumbiena,

Conca viena me sosudidh.


La traduzione italiana è rilevata da una Rivista del 1890, così tradotta:
Discorrevano due fanciulli

 

Tu non vedesti ciò che vidi io

Io non vidi ciò che vedesti tu

C’èra un turco a quella volta,

con una giovane legata,

legata per la treccia per la treccia,

e mani e treccia.

Poi giunsero ad una fontana:

O tu, Signore e gran signore,

allargami la legatura.

Affinchè io beva un po’ d’acqua

Che ti mangino la gola,

cane turco, non ne voglio alla tua coppa,

perché voglio al mio pugno

Poi pregò il Signore di mandarle alcuni difensori,

alcuni difensori e parenti,

difensori del sangue suo.

Appena che ebbe finita la preghiera,

arrivarono i difensori,

alcuni di­fensori e parenti,

difensori del sangue suo. I

l turco stran­golarono,

la fanciulla gli tolsero.

La canzone è terminata.

Un argomento, come si vede, che si riporta al secolare odio verso i turchi, invasori della terra d’Albania, violenti e selvaggi, che, per le efferatezze commesse avevano co­stretto i vinti a fuggire in cerca di una patria adottiva.

Ma la cosa che ha più rilevanza, sta nel fatto, che la poesia è scritta con l’alfabeto delle magiche 21 lettere.

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MILANO 1-9 APRILE 2012 – LA PASSIONE DI CRISTO NELLA TRADIZIONE POPOLARE ARBËRESHË.

Posted on 29 marzo 2012 by admin

GINESTRA  (di Lorenzo Zolfo) – Le immagini della Via Crucis del Venerdì Santo di
Barile, sacra rappresentazione della Passione di Cristo con personaggi viventi, la più antica della Basilicata e probabilmente del Sud Italia, approdano in Lombardia. Dal prossimo 1 aprile e fino al 9 aprile al Circolino di Crescenzago di Milano si possono ammirare le foto della Via Crucis di Barile, dove Fede, tradizione e storia si tengono per mano. E’ una giornata in cui il paese rivive la sua vicenda umana con orgoglio e passione, conservando una tradizione che costituisce la storia naturale di questo popolo, custode geloso della propria civiltà. L’idea di allestire questa mostra è venuta ad un emigrante di Barile, Giuseppe Carfagno. Romanzi, racconti, poesie, e poi fotografia, pittura,
scultura: Giuseppe Carfagno è l’incarnazione dell’animo poliedrico. L’esperienza di docente, ed il conseguente quotidiano rapporto con generazioni sempre nuove, lo spingono all’incessante ricerca di finalità e metodi espressivi originali, ed alimentano la sua potente vena artistica. Autore di 20 tra romanzi e raccolte narrative, giocoliere impudente di realtà quotidiane come divulgatore infaticabile e poi insaziabile ricercatore e coinvolgente umorista, Carfagno scommette su passato e futuro come farebbe un bambino, senza paure. È l’audacia di chi guarda alla vita con la voglia di stupirsi, che lo porta poi a stupire noi. Contattato, il prof. Carfagno, spiega i motivi di questa mostra: “L’idea nasce quasi due anni fa. Era agosto, avevamo da alcuni giorni inaugurato una grossa mostra fotografica al Palazzo Frusci, dal titolo “Sessant’anni di scatti fotografici a Barile”, con foto di mio padre e mie lungo un arco, appunto, di sessant’anni.  Arrivò un gruppetto di giovani di Firenze, di passaggio per turismo e, vedendo alcune immagini della Via Crucis, mi dissero: – Perché non ne organizzi una anche a Milano? Così saranno in molti a conoscere questa spettacolare rappresentazione e una volta che avranno visto queste foto, vorranno di sicuro vederla anche dal vivo. E’ anche così che si sviluppa il turismo. Mi sembrò un’ottima idea. Ecco, è stato quell’invito, quello stimolo, a far scattare la  molla. Ho trovato la sala: il refettorio di una splendida abbazia medioevale, Santa Maria Rossa; ho trovato persone disponibili, i membri del Circolino, il Cral collegato, ed ecco che, dopo alcuni mesi di impegno collettivo, la mostra è pronta. Vi sono più di cento opere, quasi tutte di medio-grande formato. La più grande rappresenta una panoramica di Barile, mentre sonnecchia alle 6,30 d’un mattino d’estate, di un metro per cinque. Occupa per buona parte la parete di fondo. La mostra è
dedicata a Remigio, mio padre, che a Barile, dal ’55 al ’75, ha scattato tantissime foto, specialmente alla Via Crucis. Nel 1960 ha realizzato anche un cortometraggio che verrà proiettato nei giorni della mostra”. La mostra è composta da tre sezioni:il percorso dei personaggi lungo le vie del paese (5km) con alcuni confronti col passato, che mettono in evidenza i cambiamenti nei costumi dei personaggi e la continuità della devozione;il backstage:
i personaggi sono ritratti alla fine della vestizione e prima del percorso;i volti: primi piani di alcuni dei personaggi più caratteristici.

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Protetto: SE IGNORATE I FRATELLI GIURA, COSA FESTEGGIATE: LI, DI FRONTE?

Posted on 24 marzo 2012 by admin

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Protetto: U FIASHE ARBERESHE E SCRUEGHE GLITIR

Posted on 21 marzo 2012 by admin

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Protetto: SHPITH E CATUNDETH ARBHËREHË

Posted on 16 marzo 2012 by admin

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Protetto: CATOI: UN MODELLO DI PROTO ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE MINORITARIA

Posted on 13 marzo 2012 by admin

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Protetto: ASPETTI DI SANTA SOFIA D’EPIRO

Posted on 10 marzo 2012 by admin

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I SEI GIORNI DI SANTA SOFIA PIETRA MILIARE DEL DECENNIO FRANCESE

Posted on 09 marzo 2012 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Nella trattazione storica che hanno avuto come protagonisti gli Albanofoni nel Regno delle due Sicilie si ricorda per tradizione i giorni  prima e dopo il 18 Agosto del 1806.

Fu allora che i briganti (?) scheggiarono Santa Sofia, terminando la vita del Vescovo Bugliari, del medico suo fratelli, il notaio, la guarnigione intera e un numero imprecisato di Sofioti/e, la vicenda, vide soccombere dal 13 a 19 agosto il piccolo Katundë, al punto tale che ogni generazione che seguì a quell’evento, è stata allevata in memoria e ricordo del momento più buio della storia locale e di tutto il regno, un lutto o senza soluzione di continuità dal 18 Agosto del 1806, ciclicamente ricordato da chi è saggio e conosce tutte le pieghe di quella vile vicenda di potere occulto.

La terribile pagina ebbe inizio con il brutale assassinio di Giorgio Ferriolo insieme al suo piccolo stato maggiore, composto dal fratello e da alcuni uomini fidati, continuò con la devastazione del paese intero e si concluse con il vile assassinio del Vescovo Francesco Bugliari, vero e unico bersaglio poco più in basso di dove era allocato il Monte del grano.

L’accento dell’eccidio è stato sempre posto sulla domestica Bertina, ma la complicità di indegni personaggi della stessa comunità Albanofona, fu determinante per portare a buon fine la volontà dei mandanti; alcuni presenti e ripagati con misere suppellettili, mentre i registi assenti, grazie all’eliminazione del prelato, poterono godere e rivestire diversi ruoli di rilievo all’interno del regno, grazie a Dio, solo durante il decennio francese per poi trovare fine, per ironia della sorte “dietro “a un granaio.

Va premesso che il Bugliari aveva avuto solidi contatti con Pasquale Baffi, i due oltre a essere stati gli unici artefici del trasferimento del collegio in Sant’Adriano, si scambiavano ogni tipo di notizia relativa agli eventi che sfociarono con la rivolta del 99.

Una fitta corrispondenza intercorse tra lo studio legale del Baffi, allocato nel centro storico di Napoli e l’abitazione paterna del Bugliari posta a monte del centro abitato di Santa Sofia d’Epiro.

Analizzando con perizia storica gli avvenimenti, apparisce molto strano che negli accadimenti napoletani a pagare sia stato solo il Baffi e che a essere devastata, sia stata sola la sua abitazione nei pressi dell’allora Biblioteca Nazionale e non il suo studio dove si conservavano preziosi manoscritti inediti e lettere di corrispondenza privata. Continue Reading

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