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-IL CICLOPE ARBËR, SORIDE AL COSPETTO DEI SOLITI GIOCOLATORI SUI CAMPANILI -

-IL CICLOPE ARBËR, SORIDE AL COSPETTO DEI SOLITI GIOCOLATORI SUI CAMPANILI –

Posted on 28 maggio 2023 by admin

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NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Gli istituti e le istituzioni preposte alla salvaguardia della regione storica, notoriamente distratte verso la conoscenza delle cose indispensabili, relativamente al sancito di valorizzare e promuovere la storia di cose e uomini, in tutto, le eccellenze locali.

Le stesse “maliziosamente” taciute, per dare valore con men­daci ed ingrate osservazioni, proposte da alcuni stranieri che, non potendo fug­gire dalle nebbie, le miserie, e le turbolenze delle contrade di provenienza, non avendo altrove trovare agio, sanità e quiete, pro­pongono le nostre regole con maliziose cose, invece di  onorarci come fanno gli ospiti buoni quando sono accolti per fame.

E così facendo, compromettono lo stato dignitoso di ogni cosa, dell’equilibrio culturale dei distratti lettori, o di quanti li preposti a deliziarsi di sapere, che tutto potrà essere, men che storia di noi Arbër.

In teoria si crede vi siano sempre più opzioni per fare ricerca, ma nella realtà la soluzione è sempre una sola, nota anche come inconfutabile somma di eventi, l’unica capace di seguire la logica del     sole dal sorge del mattino, quando instancabilmente illuminare tutti i luoghi, disposti in ordinata attea.

Le attività di studio qui condotte, mirano a rendere nota una storia del mattino mediterraneo, colmo di auspici e meritevoli confronti di convivenza civile tra culture e religioni.

Contesti genuini, ancora oggi in svolgimento, i cui luoghi hanno come scena, le terre che si insinuano al centro del mediterraneo; l’Italia meridionale.

Un percorso contornato da valori e avvenimenti, che elevano territorio e le genti, secondo principi di convivenza tra popoli, tutti desiderose di conservare le cose della propria identità, specie se questa è l’identità più antica del vecchio continente.

È stato per questo indispensabile, rivestire ruoli specifici per la continuità culturale in movimento, seguendo le epoche che la volevano mutare e, per evitare questo, si è ritenuto far nascer un nuovo movimento letterario, linguistico, politico, religioso, in tutto un pensiero popolare tramandato in forma completa, priva di favoritismi e campanili di sorta, per questo solo chi è in grado di avvertire e comprendere il messaggio, ha diritto di apparire e diffondere, partecipandovi secondo l’antico patto tipico degli Arbër: “Besa”.

Questo teorema di nuovo pensiero, vale solo per la qualità delle cose tramandate all’interno di un circoscritto gruppo o di ambito parallelo ritrovato, innalzato da più discipline familiari, ovvero, principi di incultura colma di significati riassunti, nelle testimonianze in conformità della filiera generazionale saggia e non di falsi curriculi o curriculati.

Ciò significa che le realtà trasmesse sono verificate e controllate dalla saggezza degli adulti protagonisti, in definitiva il valore che resistite con forza nelle consuetudini, pur nel variare delle circostanze dei portatori acerbi o malsani.

Talvolta capita anche brandelli del protocollo vengano riferiti male, ma a questo punto interviene lo “studioso capace” ad intercettarli, al fine di ricucirli per lavarli e stenderli al sole, restituendo così la visione delle cose, in esempio di modestia, locale.

Lo studioso, a questo punto riveste il ruolo del sarto saggio che ricuce il lume e, risvegliare, dopo un sonno buio oltre misura, della grandiosa saggezza senza termine, la stessa che vaga nelle menti di quanti si ostinano a violentare le cose della nostra tradizione, leggendo e riferendo atti di una storia che nasce e termina nello spazio mentale di perverse figure, pronte ad allungare la coda nel mio archivio.

Ad oggi sono numerosi i facoltosi delle consuetudini locali o di area e, fa impressione l’equilibrio e la saggezza di questi scambiatori di olio usato e capelli tagliati, per sapone.

In tutto episodi utili al degrado sociale, realizzato con incoscienza da quanti, mirano a scambiare il costume e le coperte in ricami armonici antichi, con vestizioni volgari, oltremodo private dei minimali espedienti che dovrebbero generare famiglia.

Spesso si odono regole sui diritti religiosi e civili, su base di tradizioni, o documenti, gelosamente conservati nell’archivio o imprecisi anfratti, comunque realizzati da scriba d’occasione e nessuno sa ne leggere e ne applicare, banalissime sottrazioni matematiche, per capire che sono falsi, come se la consuetudine e l’idioma più antico del globo, possa essere depositato non si sa da chi e come nei fascicoli di uno scriba che non poteva esistere, perché mai nato.

Diffusamente si insiste nel ritenere che alcune Colonie siano di radice militare e presentano anche argomenti a sostegno tale stranissima e curiose tesi, come per essere accolti come ospiti a casa di altri è bene presentarsi brandendo armati.

Ma quello che si racconta di veramente anomala è la leggenda secondo cui ripetere ogni anno le stesse noiosissime manifestazioni, elevare ad eccellenze vili cultori, che di fronte alle proprie responsabilità, prendevano la via di casa e si nascondevano sotto il letto o salivano nella soffitta di casa, immaginando di fare battaglie con il fucile senza animo di coerenza umana di valori per i propri simili locali, ostruendo sin anche le feritoie di areazione dei sottotetti.

Basta con gli stessi noti, o locali di turno, è il tempo di parlare ed elevare le figure buone, perché sempre illuminate e, mi riferisco a quanti hanno primeggiati nel costruire ponti, dialogando e aiutano sin anche Giacomo Leopardi, a vivere qui a Napoli la sua stagione migliore.

Questi sono intellettuali di spessore Arbër, in campo della comunicazione e, del rilancio sociale, quelli veramente capaci di essere esempio di terminazione del seme dell’ignoranza in ogni dove, valorizzando con il loro ingegni l’intera Europa, per comunicare, produrre e affermare cose nuove.

Intanto il Ciclope resta sempre vigile pur se ancora deluso e stupito da quanti dicono di sapere e poi per dare misura della loro forza pubblica, leggono e rileggono i postulati di cui non hanno padronanza o misura.

No ha mai convinto e mai avuto gloria il teorema secondo cui solo chi si cimentava a compilare alfabetari e componimenti scritti in Arbër, era da ritenere eccellenza, mentre quanti avevano dato la vita, costruito ponti, compilato teoremi per l’istruzione di massa, fossero ritenuti senza gloria.

La storia moderna degli Arber va compilata con dovizia di particolari, senza mai dimenticare che se una lingua rimane il riferimento primo di una determinata popolazione, un motivo ci deve essere e certamente non va fissata nei campanili di conventi o nelle polveri delle macine dei mugnai, che senza dignità non distinguevano, crusca per i suini, con il cose per fare frese e pane buono; a Napoli è stata inventata la pizza, dopo secoli che gli Arbër si cibavano con “Bukvallje per misurare il forno prima e dopo fatto il pane”, nel mentre allestivano, cunei agrari, per cibare e rendere più lucide le menti comuni di tutto il regno.

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Z., TEBE E AGNOIA (Zëtònàtë)

Z., TEBE E AGNOIA (Zëtònàtë)

Posted on 20 maggio 2023 by admin

Laffresco-in-cui-è-rappresentato-il-mito-di-EdipoNAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – È facile immaginare una scena pittorica realizzata, tra due episodi emblematici della vita di “Terra”, secondo la volontà del tempo breve (dove raffigurare la nascita ad Est, e il Termine a Ovest); concretizzando così, il tutto, in tre momenti distinti: Z., la Ricerca dell’inesistente; Tebe, la città di Edipo ed Agnoia, la capacità di trascurare il sapere.

Zètema è per Socrate, Zëtònàtë per la R.s.d.A. sono la ricerca certa e rigorosa di ogni nozione, di ogni valore utile a delineare la storia vera e, noi potemmo aggiungere, privata di ogni sorta di gàllinarë.

Il tema che ogni proclama deve seguire non può esclusivamente mirare a diventare leggenda o filosofia di mito, ostinandosi a innalzare cose che non fanno altro che arricchire di contenuti i disastrosi percorsi dell’ignoranza.

Quando si affronta un tema per rilevare ed esporre i trascorsi della storia, non si tratta di illustrare o comporre la più suggestiva, conveniente o illusoria leggenda, oltremodo orfana dei minimali principi di confronto, altrimenti si termina con l’alimentare il braciere dell’ignoranza, col la polvere degli errori rubata per innalzare glorie occulte.

Non si opera producendo o disegnando tragedie inventate da altri paralleli o meridiani e, siccome sono del passato dovrebbero essere vere, una favola una leggenda rimane sempre tale, pur se è stata garantita da Z.

Per questo, ad oggi urge spiegare e raffigurare, avvenimenti, luoghi e stipule di archivio, in tutto, una tessitura attenta, confrontata con le cose esistenti, questo e solo questo è il modo per fermare il mitizzare o auto eleggere, sé stessi, per il riconoscimento, con variegati colori della palese non conoscenza.

Questi accenni di cromatica apparizione, della moderna storiografia, sono l’introduzione per risvegliare l’interesse verso, un’emergenza a dir poco epocale, alla quale, per certi versi, non hanno voluto rispondere eccellenze senza eguali, e chi legge e compone le cose della storia, si deve rendere conto che il momento che viviamo ha bisogno, di gruppi di lavoro in molteplici discipline e, non di semplici giullari di corte, sempre meno formati dei cortigiani e falsi regnanti.

Andare alla ricerca di Z. con le inquietudini di Edipo in compagnia di Agnoia, al giorno d’oggi e molto semplice, giacché non tutti studiano leggendo le cose del Baffi, con l’educazione profusa da Teresa Caldora, come ebbe fortuna di avere il figlio Miche.

Essere un esperto in diplomatiche non è certo mestiere che possono fare i comuni giullari/e, in altre parole, tutti quelli/e, allungano la coda in archivio e nel contempo allungare le orecchie, per capire lo strombazzare dei Doria con le navi per il macero.

Non sono più concepibili esposizioni a dir poco inesistenti di fatti uomini cose e luoghi privi di alcuna struttura di ricerca comparata, il cui fine termina sempre con lo svolgersi di fatti e cose banali, se non addirittura inesistenti o attribuite ad altri faccendieri dell’epoca.

Ripetere due giorni di letture e componimenti dell’ultima ora e, quindi senza radice, serve solo ad incantare i comuni viandanti; certamente, non quanti hanno nel cuore, nella mente la storia e, non abbisognano di leggere le cose, perché gli esperti leggono a casa per poi esporre in pubblica conferenza.

Oggi non servono gli scolaretti furbi, i quali non avendo studiato a casa, interrogati alla lavagna, lasciavano il libro aperto, al primo banco per truffare il professore.

Certamente sono bugiardi con se stessi e con il sistema sociale denominato sapere per questo ancora oggi per ricordarsi le menzogne devono scriverle, giacché, figure storiche di poca memoria.

I bugiardi nella storia si dice che siano tutti cresciuti nei pressi dei reflui che dal Trapeso, ai torrenti producevano maleodoranti vitamine per la mente e quanti li respiravano in adolescenza, non certo incameravano lucidi sostanze per la mente.

Solo quanti hanno avuto la fortuna di sviluppare il proprio acume, seguite da madri e nonne speciali, note come Basile Caruso, Guido e Miracco hanno ereditato i principi della decenza, garbo, solennità e del fuoco, perché la formazione della saggezza viene trasmessa con somma di completa grazia, solo da regine, del costume, del conversare, del fuoco e della casa.

Solo chi è stato allevato con questi protocolli, oggi prova dolore immenso nel vedere o sentire compromesso senza misura i quattro principi cardinali del nostro essere minoranza, ovvero, Idioma, Consuetudine, Canto, Costume e Religione.

Vedere spezzettate queste storiche radici, ritenendole al pari della “nduglja insaccata a gennaio “e, ricevere sin anche l’avvallo delle istituzioni di ogni ordine e grado, è il termine della disciplinare Zetema, dove ad essere protagonista di ogni cosa non è la storia.

Le competenze di ricerca non sono delle istituzioni che hanno solo il compito di formare, un po’ come facevano le quattro nonne; la mono disciplina, fa solo danno e se un dipartimento si illude perché ha avuto esperienze, in discipline specifiche mente e fa danno.

Vero è che riferire di storia, architettura, ambiente e ogni sorta disciplinare non presente nei risicati piani di studio perseguiti, senza riferimento a cose materiali ed immateriali di una ben definita macroarea, è solo auto eleggere i portatori di code e origliatomi delle navi al macero.

E terminato il tempo di appellare le cose o i gruppi di generi secondo termini di “IA” perché chi studia e conosce i processi sociali, sa bene che il temine non ha radice di nobili principi anzi è tutto il contrario di buone cose e nobili principi.

Ormai si va avanti con l’esempio di bambini e dei peggiori che vogliono dare lezioni si ambiente costumi e progetti pei i domani e nel contempo all’uomo accadono le cose più penose che l’uomo comune avrebbe ma immaginato accadessero.

Irriverenze di una tale leggerezza che un tempo si prospettavano per spaventare le nuove generazioni o spaventare le più adulte, oggi si organizzano con una tale incoscienza, che non ha precedenti, come rievocazioni delle peggiori giornate della nostra storia accompagnati da incoscienti suonatori; santi protettori presentati con effigi a dir poco blasfeme, imponendo alla mano benedetta, di dover apparire come quella dei mammasantissima o appiattire il confine tra cosa pubblica e credenza religiosa.

Non è concepibile che sia rimasta la natura l’unica capace di redimere e far riflettere gli omini del continuo poltrire, sicuri che poi gli astanti un giorno possano essere premiati.

Oggi si vorrebbe tutto elettrificato dalla luce del sole, e vagare con e pile cinesi, senza guardare che chi viaggia per cielo, ogni volo di passaggio, inquina più di mille auto che fanno traffico nelle nostre città.

Alle cose della natura che dovrebbero rendere migliore la vita degli uomini, mancano solo picconi, pale, carriole e zappe; ora mi chiedo, invece di fare e raccontare le inesattezze della storia che è cosa raffinata e complicata che altri compilano da decenni.

I tanti addetti, perché non tornano alle cose del passato e, senza migrare come fecero i genitori, i quali vergognosi di fare i contadini a casa propria lo andavano a fare nelle terre di confine.

Oggi nella nostra regione serve rendere l’agro migliore, sotto l’aspetto produttivo dei cunei agrari, senza bisogno di risalire al tempo del Monte del Grano, o magari fare solo attività utili dell’equilibrio idro geologico, senza appesantire cementificando anfratti, che ormai sono pronti per la tragedia.

I bambini devono andare a scuola e studiare, i genitori produrre e confrontarsi tra loro per valorizzare al meglio tutte le consuetudini in eredità in fraterna continuità con l’ambiente naturale buono; i preti benedire e infiorare le chiese, le mamme crescere ed educare i figli, almeno, presentarli con decenza di colori e significati beneauguranti per l’onore della casa, senza esporre i minori, per una irragionevole grazia, con l’incompreso collare di una scellerata attesa materna.

Gli istituti e le istituzioni preposte alla salvaguardia della regione storica, notoriamente, incantate e distratte verso la conoscenza, utile o meglio indispensabile, per la valorizzare e promuovere la storia le cose e gli uomini, in tutto, le eccellenze locali, “maliziosamente”, hanno taciuto o per così dire, con il braccino della mente molto corta o incolta, danno valore con men­daci ed ingrate osservazioni di alcuni stranieri che, non potendo fug­gire dalle nebbie, le miserie, e le turbolenze delle loro contrade, non hanno potuto altrove trovare agio, sanità e quiete, sotto  questo cielo Arbër, proposto con la pro­tezione delle nostre maliziose regole, nate per valorizzare le cose migliori che avrebbero dovuto onorarci con tutta l’umanità.

Purtroppo così non avviene, perché siccome i preposti, furono scelti tutti di piccola statura, una volta saliti in cattedra hanno scambiato il ruolo, immaginandolo campanile.

P.S. Figure testi e conclusioni non sono liberamente interpretabili o diffuse se non con il consenso di liberatoria dell’autore che ne detiene il significato e il valore culturale fruibile in sola lettura.

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I PORTICATI IN TERRA DI SOFIA (Deretë Thë Valljtë)

I PORTICATI IN TERRA DI SOFIA (Deretë Thë Valljtë)

Posted on 07 maggio 2023 by admin

CatturaNapoli AdrianoNAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – L’abitato del casale Terra di Sofia, specie la parte antica e, antecedente al secolo XVIII, si articolava lungo vie, incrociate da vichi e spazi circoscritti, da cui si accedeva anche da porticati generalmente Arcuati a tutto sesto, con orizzontamento in legno nello sviluppo lineare.

Il sistema consentiva di accedere al tessuto urbano dove ruderi, fondaci, botteghe e case, disegnavano un labirinto, privo di edificati di rappresentanza, complessi monastici, se non la chiesa matrice.

Un insieme costruito di rudimentali elevati o componimento caotico di chiara ispirazione orientale/bizantina, influenza trasportata nel cuore e nella mente, di quanti giungevano dall’Oriente Mediterraneo, per unirsi, previo confrontarsi, con gli indigeni in sofferenza.

All’interno della maglia edilizia della Iunctura così organizzata, i vicoli ciechi, anticipavano, la ‘privatizzazione’ o ‘semi privatizzazione’ di un ben identificato contesto di famiglie, legate da vincoli di parentela allargata, e per questo in contiguità; i fondaci relativi di primo insediamento, per tanto, erano comparti abitativi con Giardino e Orto Botanico annesso.

I porticati rappresentano la misura o meglio il metro di afflusso e deflusso di un a ben identificata porzione dell’abitato gli sheshi, oggi noti come Rione di pertinenza, la cui radice si può identificare nella toponomastica consuetudinaria o ancora se presente e non violata, in quella di primo approdo della legge 1188/1927.

I porticati ancora presenti o meglio che resistono alle innovazioni di recupero, non secondo la scuola del restauro, restituiscono ancora oggi un piano strategico secondo il quale, chi veniva e volesse confrontarsi con i residenti, non aveva un accesso all’interno del centro antico, sormontando cavalli o animali da soma, ma procedere al seguito o o anticipando il transito del quadrupede.

Sono tre che delimitano il rione di “Ka Rìnë Relletë”; quattro, il Rione Spizj; due sono quelli che delimitano l’antico Trapeso; e tutti allestiti lungo il confine del centro antico di radice bizantina.

Tutti i supportici, uniscono i primi livelli di abitazioni in sicurezza dagli estranei in osservazione, essi sono realizzati tra abitazioni nobiliari o comunque famiglie e casati, legati da patti o vincoli di parentela, per gestire in sicurezza abitazioni e nel contempo, circoscrivere vanelle di pertinenza, corti, giardini, orti botanici comuni o privati, in tutto, spazi di scambio e confronto, denominate in Arbër “Vallj”.

Sicuramente l’abitato in Terra di Sofia, aveva altri supportici, ma le vicende storiche del costruito, sottoposto alle prove degli eventi tellurici, che non hanno mai smesso di mettere alla prova il genio degli elevati, lasciano presupporre, un antico costruito storico, con altri passaggi di inchino a completare la parte esposta a sud e sud-ovest.

Fare un resoconto del sistema urbanistico dell’epoca e una impresa non semplice ma con le dovute cautele, magari confrontando altri impiantì urbani limitrofi o di macro area, si potrebbero estrapolare misure parallele, se non simili e, definire teoremi, storicamente provati, da affidare come memoria delle generazioni a venire per componimenti più complessi.

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