Archive | ottobre, 2017

TURISMO DI MASSA; QUALI CERTEZZE DIVULGHIAMO?

TURISMO DI MASSA; QUALI CERTEZZE DIVULGHIAMO?

Posted on 31 ottobre 2017 by admin

TURISMO DI MASSA; QUALI CERTEZZE DIVULGHIAMONapoli (di Atanasio Pizzi) – Il patrimonio culturale, ambientale, paesaggistico e religioso della Regione storica Arbëreshë ha assunto e riveste un ruolo innegabile, in tutti i territori del meridione, dove gli esuli arbër s’insediarono, per questo, caratterizzarono i settori produttivi e sociali anche degli ambiti con cui si rapportarono.

Un territorio i cui confini linguistici hanno definito le regioni e non  quelli geografici, storicamente noti, per essere stati ridefiniti nel corso dei secoli per le storie di popoli diversi.

Se a questo si associa la caratterizzazione di religione greco bizantino con un consistente numero di elevati conventuali e di presidi di preghiera, un parallelismo territoriale più idoneo gli arbër non potevano farselo sfuggire, quando gli fu proposto di risollevare l’economia di queste aree in forte difficoltà economico/sociale.

È chiaro che l’opportunità di innestare la propria identità in un territorio più idoneo e riconfermare la consuetudine, la memoria metrica del canto per il popolo arbër non poteva essere persa.

La storia degli esuli arbër assume, per quanto, su citato, un ruolo fondamentale nelle formazioni dei giovani, della Regione storica Arbëreshë e deve diventare una coscienza diffusa, condivisa per concorrere alla formazione dell’identità locale delle nuove generazioni.

Il patrimonio culturale della R.s.A., costituisce un “bene comune”, come l’aria, l’acqua e tutti i beni di prima necessità; per gli addetti deve essere un dovere di partecipazione attiva per la conservazione, la tutela e la valorizzazione di questo patrimonio irripetibile e/o inestimabile.

È verso le nuove generazioni che bisogna puntare e restituire significato all’identità, analizzando prima di tutto quali atteggiamenti si sono assunti e si prevedono nei confronti del patrimonio storico/culturale.

Ciò deve avvenire senza tralasciare l’apporto che le mutazioni tecnologiche nei processi della documentazione, della conoscenza e della narrazione creativa possono fornire al su citato patrimonio; un progetto possibile tra antico è moderno in cui i giovani – nativi digitali arbër – propongano alle generazioni future una versione più solida del proprio patrimonio culturale/identitario.

Può apparire una contraddizione valorizzare il patrimonio culturale mediante i ritrovati digitali moderni, ma non è così, in quando, opportunamente utilizzate la storia antica, è quella moderna, avranno ruoli inscindibili per il trapasso generazionale, dove la linea tra moderno e antico non potrà essere confusa per altra cosa, in quanto, la cultura è il soggetto e il supposto tecnologico, il mezzo di trasporto nelle sue forme originarie.

La gestione del patrimonio culturale dei borghi, gli abitanti, il territorio e la caratterizzazione locale, assume il ruolo di piattaforma culturale in cui sono delegati,  i dipartimenti universitari, le istituzioni d’area esperti d’ambito, ad assumere l’onere di raccolta e catalogazione di dati immagini;  impronte territoriali uniche direttamente connesse alla definiszione dei confini linguistici.

Istituzioni pubbliche, scuole, associazioni che da anni si sono affannate per sviluppare progetti identitari, restituendo un  nulla  concreto, (se non al depauperamento dell’identità locale arbër) dopo il tempo di un’ampia riflessione, su come applicare il nuovo modello identificativo,  potranno recuperare attraverso immagini e registrazioni, le identità poste pericolosamente sul baratro.

Gli obiettivi di una metodologia operativa pedagogica in tal direzione, possono essere sintetizzate nei seguenti punti:

  • riconoscere cosa appartiene al patrimonio culturale e paesaggistico, quale bene comune, tangibile e intangibile, in quanto, eredità ricevuta e da trasmettere;
  • educare alla conoscenza della storia e all’uso consapevole del patrimonio culturale linguistico, consuetudinario, metrico e religioso per l’apprendimento del reale e dell’identità locale o di macroarea;
  • accrescere il senso di appartenenza, elaborando progetti di “avvicinamento emozionale e di apaesamento Gjitoniale” che, attraverso l’esame del territorio e dei suoi elementi costruiti e costitutivi, possano risvegliare istintivamente (grazie al contatto visivo ed emotivo) il cittadino con l’eredità del passato e sollecitino proposte per un futuro sostenibile;
  • dare luogo a reti digitali tra privati, scuola, amministrazioni, istituzioni culturali e territorio, in cui quali ciascuno fornisce le sue eccellenze, all’interno di un progetto di una R.s.A. digitale;
  • elaborare “percorsi” di riflessione ed esperienza per la conoscenza e comprensione del territorio come “bene culturale diffuso e condiviso”, in modo che i (giovani) cittadini interagiscano con le istituzioni, i soggetti produttivi e quelli culturali per l’individuazione di azioni conoscitive e formative che seguano un itinerario unico, fornito da esperti d’ambito con titoli e meriti guadagnati sul campo;

La scelta di tema e l’esame delle “opere” in campo dell’arte sartoriale, delle tecniche costruttive, dell’uso del territorio, della metrica, la necessità di avvalersi di diverse competenze e contribuire da un lato alla conoscenza della storia, dell’arte, dell’architettura, del paesaggio del proprio territorio e alla formazione – soprattutto nei giovani – del senso di appartenenza e di responsabilità verso un patrimonio culturale visto troppo spesso come estraneo alla propria esperienza quotidiana;

Tutti questi elementi, se idoneamente esposti o messi nelle disposizioni delle nuove generazioni, possono diventare elementi di orientamento alla professione e al proseguimento degli studi delle nuove generazioni;

Sicuramente fare educazione al patrimonio culturale in un territorio disastrato dovrebbe essere l’interesse principale anche dei beni culturali rispetto alle attese dei giovani per il futuro, e non si possono attendere le critiche dei componenti, delle visite guidate per avere consapevolezza che tutto è stato cancellato non dal tempo e dall’incuria ma esclusivamente dal’inconsapevolezza di quello che si possiede.

Il patrimonio culturale non va considerato come un’opportunità formativa per la costruzione delle competenze chiave del curricolo o per salire su un palco e strimpellare senza senso frasi, racconti storici a ritmo di tarante e suoni che diventano gelide ventate di levante.

Quando si avrà consapevolezza che il patrimonio culturale non è un affare in denaro, ma un fattore d’identità e d’intercultura, sicuramente gli ambiti della R.s.A. avranno la giusta sistemazione negli scenari della politica e della società, che decide i domani di tutti noi.

Oggi non rimane che la comunicazione didattica del tangibile e intangibile degli arbër, l’ambiente storico e territoriale del bene, la sua lettura, le osservazioni fatte o che possono essere fatte, il commento critico costruttivo condiviso, la ricerca sul territorio come occasione di attività tecnico-pratiche:

Consolidare tutto ciò attraverso le conoscenze e di verifica, la consultazione delle fonti (musei, archivi) innanzitutto diretta e quindi analisi e comparazione con gli ambiti costruiti e non del territorio, educano le nuove generazioni allo studio di cose che sentono e non avevano gli elementi o gli strumenti idonei per metterli in luce; un percorso esperienziale: non può “accontentarsi” dello studio teorico, più o meno ben fatto o meramente illustrato ma esso necessita di una conferma sul territorio:

  • del contattato diretto con il bene culturale o paesaggistico, supportato da una narrazione esperta;
  • di essere replicata, anche riesaminando uno steso bene o paesaggio, per procedere all’individuazione di nuovi stati di fatto inesplorati o non intercettati per una comprensione, più approfondite ma anche interiorizzata;
  • rielaborazione di gruppo, per coglierne appunto la dimensione di bene “comune” nelle sue parti più intime e recondite;
  • di valutazione, cioè di assegnare e/o riconoscere il valore (non economico) del bene culturale ma quello che esso rappresenta all’interno della comunità o degli eredi dell’antica Gjitonia;
  • di analizzare le tappe della storia attraverso la consistenza degli apparati murari, per riscontrare la “fatica e i patimenti” per riconoscere le capacità e competenze implicite nella produzione del bene;

Dopo quanto esposto, ritengo che urge sedersi attorno a un fuoco avendo bene in mente che non basta esprimersi con l’antico idioma del codice, in quanto, quelle parole e quelle scelte faranno la differenza per la vita di uomini, donne, e bambini, che attendono il loro momento per tutelare un’identità culturale, che purtroppo negli ultimi tempi è stata messa nelle disponibilità degli elementi che non hanno né cuore, ne testa, né braccia per sostenerlo, senza dimenticare il dato inconfutabile, ovvero, non hanno mezzi per camminare sulla strada che tracciarono sei secoli or sono gli irriducibili arbër del codice.

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I DEVOTI SILENZIOSI DELLE PROCESSIONI

I DEVOTI SILENZIOSI DELLE PROCESSIONI

Posted on 11 ottobre 2017 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – L’arberia relativamente agli aspetti sociali e religiosi si sostiene  attraverso i valori identitari, riportati oralmente, essi mirano al rispetto degli elementi che caratterizzano la vita di tutti gli addetti della Regione storica Arbëreshë.

Molto sentite per gli arbër, sono le ricorrenze religiose, queste,  raggiungono il massimo del coinvolgimento dei fedeli, che condividono il credo religioso, nel tempo dello snodarsi delle processioni; tuttavia da un po’ di tempo, l’atto del pellegrinaggio d’ambito, pur coinvolgendo un gran numero dei persone credenti e no,  mirara verso  una  deriva pericolosa e degenerativa.

Nonostante sia il momento più sentito e condiviso, in quando, lega la credenza popolare, luogo e Santo, molti addetti, durante l’articolarsi del percorso smarriscono per fame e per sete, il senso della ragione di questo atto di penitenza, seguendo itinerari a dir poco irriverenti.

Il pellegrinare con il santo in spalla per le vie del borgo o verso luoghi ameni, non fanno altro che ricordare le tappe salienti della storia del borgo, giacché, la credenza popolare associa avvenimenti e leggende a quei luoghi, oltre l’atto di dolore manifesto.

Questi percorsi di preghiera, tortuosi, che impegnano fisicamente tutti i partecipanti hanno avuto e detengono a tutt’oggi seguiti rilevanti, cui in silenzio e senza troppo apparire si accodano i devoti che chiedono o hanno ricevuto grazia; una richiesta di devozione, il cui gesto si configura come omaggio attraverso atti che chiedono un sacrificio fisico, per chi non ha altro da offrire, durante il tempo dell’uscita e lell’entrata del santo dalla chiesa.

Le devozione rivolete a Santi Protettori/ci, sono molteplici e il più delle volte, spaziano in manifestazioni che possono spaziano dal raccogliersi in preghiera, camminare scalzi, digiunare, camminare per chi ha problemi di deambulazione con stampelle o sedia a rotelle, per tutta la durata della processione.

Questi, chiaramente gli atti più evidenti, cui quasi tutti fanno caso, in quando per i manifesti atteggiamenti pongono in evidenza “la sacra promessa”, intimamente stretta con il Santo,

Va rilevato, che esiste una categoria detti “silenziosi”, anime in pena che portano in processione al cospetto del santo, non con atteggiamenti materiali, ma esclusivamente, con il credo religioso fatto di cuore e di testa, perché “intima”, comunque sono anime in pena che in quel momento vivono una un atto di dolore che supera le naturali tappe di questo mondo terreno.

Sono queste persone, cui bisognerebbe volgere il pensiero, quando si scavalcano le staccionate della rotta sacra, è in quel momento che rito della processione, diventa un’altra cosa che offende i patti sacri portai in processione, che non anno ne taralli o damigiane di vino da spartire con il Santo.

Chi ha l’onere di vigilare e riportare il gregge dentro la rotta del sacrificio storico, deve porre fine a questa irriverente e degenerativa allegoria; urge per questo inviare una “Circolare Pastorale” che impedisca di banchettare, brindare e lo strimpellare in quei momenti sacri, che per i “Silenziosi” sono una speranza di luce e di vita.

Sono le figure Ecclesiali, i Comitati, le Istituzioni tutte cui mi rivolgo per invitarle a difendere e rispettare il piccolo drappello di silenziosi, “con voto da assolvere”, mescolati tra i fedeli fortunati.

Il mio pensiero è rivolto a loro ed è auspicabile che tutti si ricordino, senza mai dimenticarlo, che in quei momenti solo loro vivono un dolore intimo, che non grida, non fa rumore e non vuole ascoltare, vedere e odorare, allegorie senza senso, in quanto, vivono probabilmente l’ultima processione di questa vita terrena.

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-DA CONDOTTIERI A POVERI INFERMI SULLA SEDIA AROTELLE-

-DA CONDOTTIERI A POVERI INFERMI SULLA SEDIA AROTELLE-

Posted on 07 ottobre 2017 by admin

Arberia oggiNAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Certo che studiare a largo spettro, la storia della R.s.A., ti fa rendere conto di quanto siano decadute le caratteristiche che hanno distinto le eccellenze arbër in Europa.

All’alba dell’illuminismo, mentre le genti di tutta Europa rimanevano relegati dietro le cinte murarie monocentriche, avendo persino timore di aprire le porte di accesso, gli albanesi circoscrivevano i perimetri dei presidi urbani policentrici.

Addentrandoci ancora negli ambiti della storia sociale e architettonica va sottolineato il valore che veniva dato al nucleo fondamentale della società, ovvero il gruppo familiare allargato, esso aveva un suo direttivo e un responsabile, che non era il più vecchio o il più saggio, ma la persona più dinamica e pronta rispondere a tutte le esigenze del gruppo; questo mi sembra sia i prototipo di un gruppo imprenditoriale moderno.

Se poi analizziamo il pensiero e le note storiche che hanno visto protagonisti: Pasquale Baffi, Luigi Giura, Pasquale Scura, Mons. Francesco e Giuseppe Bugliari, Cav. Vincenzo Torelli, Giorgio Ferriolo, non faremo altro che rievocare la storia degli ultimi tre decenni della Repubblica Italiana; sarebbe come rievocare le stesse vicende e gli identici eventi degli uomini che hanno contribuito con il loro sapere per non stallare allo stato di fatto che ha preso la rotta odierna.

Dopo questi uomini nulla è stato fatto per tenere alta la bandiere delle eccellenze della R.s.A., dando avvio a uno stato di fatto degenerativo senza eguali.

Ormai all’interno della R.s.A., non si fa altro che andare allo sbaraglio inventando e ponendo in essere, avvenimenti senza senso; sicuramente a tutti voi non sarà passato inosservato, che negli anni ottanta quando la tendenza generale, di tutta Europa, mirava alla valorizzazione e al ripristino degli elementi caratterizzanti i centri antichi, pedonalizzando queste aree di inestimabile valore.

Ebbene come per incanto in tutta la cinta Sanseverinense, e anche oltre, si sono avviati i processi di devastazione dei centri antichi, per il fine di veicolare l’interno di ogni, paese, borgo e frazione.

Il senso della ragione ormai è smarrito e se non ci si ferma a ragionare davanti alla scesa, il dinamismo crescente  impedirà una  lettura completa delle anomale identità, stese al sole.

Se a ciò aggiungiamo il dato che si è smarrito il senso anche all’interno dei presidi religiosi, greco bizantino che fino agli anni ottanta era saldamente protetta dalla iconostasi; occorre ridare senso alle cose e ognuno di noi deve fare la sua parte sia chi siede  davanti e chi deve saper stare dietro le iconostasi, altrimenti vale la regola che abbiamo perso una grade porzione della nostra identità.

In ultimo ma non per importanza, in questi giorni è rimbalzata la notizia della costituzione, di un consorzio di eccellenze, Civili, Istituzionali, Dipartimentali, Associativi e Religiosi che dovrebbe dare avvio alla svolta per una campagna di recupero del tempo e delle cose perdute.

Il mio auspicio è che si possa arrivare a brillanti risultati, tuttavia ritengo che non andrà così, in quanto l’elenco dei partecipanti “alla competizione” lasciano presagire  un nulla di fatto epocale.

Questa è una mia personale punto di vista e in cuor mio mi auguro di aver frainteso tutto; tuttavia gli addetti che si preparano a partecipare alla “manifestazione di interesse”, hanno già ispezionato i percorsi, le asperità territoriali e gli avversari; essi  indossato già pantaloncini, scarpe da corsa, magliette, con numero, logo raffigurante l’aquila bicipite, questa  mi auguro che assieme a loro ci sia una sostanziale novità, ovvero, lasciar partecipare alla competizione anche chi è munito di sedia a rotelle, quelli che oggi appelliamo con grande rispetto diversamente abili, almeno si garantirà quel vantaggio, che non lascerà scampo ai tanti rinnovatori, senza arte, parte e titolo acquisito sul campo.

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CANTANDO E BALLANDO AL RITMO DI VALIE CHE NON APPARTENGONO AL CONDOTTIERO

CANTANDO E BALLANDO AL RITMO DI VALIE CHE NON APPARTENGONO AL CONDOTTIERO

Posted on 01 ottobre 2017 by admin

Albania

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Al giorno d’oggi, ogni inesattezza o manifestazione, per avere più forza e credibilità storica, si dice che sia appartenuta al consuetudinario arbëreshë, che è corso dal 6 Maggio del 1405 al 17 Gennaio del 1468, come se l’arberia sia nata e si sia dissolta nel tempo di una generazione.

Fortunatamente non è così, essa è molto più antica, anzi proprio alla fine dell’intervallo su citato, ha esternato la sua solidità storica, utilizzando il cuore e la mente; la sua parte migliore per difendersi.

Cercare di avere ragione di questo dato di fatto è complicato, specie se il confronto avviene con quanti non conoscono la consuetudine; non hanno dimestichezza della metrica del canto (escluse poche formiche bianche oltremodo ignorate e considerate, addirittura, diversamente abili); non rispettano il disciplinare religioso al di la e al di qua dell’Iconostasi; non sanno parlare l’idioma arbër; tuttavia proprio per questo in questi ultimi tempi si sono attivati processi di auto tutela che se ben accolti dovrebbero recuperare il maltolto.

Chi ha competenza e titoli per questo si devono attivare e assumere il ruolo di Iatrua” e predisporre le metodiche più idonee e debellare un virus antico, che dopo “circa seicento anni” è diventato virulento anche all’interno della Regione storica Arbëreshë e va assolutamente debellato.

Specie quando coinvolge i giovani che frequentano le scuole dell’obbligo, proprio questi , sono costretti a scimmiottare un modello che non ha senso, proprio perché  presidi atti a formare e non piegare alle volontà fuori dai programmi ministeriali della Repubblica Italiana.

Alla fine degli anni quaranta del secolo scorso si chiamava analfabetismo, quando fu avviata la procedura per sconfiggerla, appariva un’impresa titanica, ma poi la buona volontà e tanti accorgimenti, attuati dalla sapienza degli uomini, già negli anni settanta del secolo scorso portarono alla meta prefissata, è la totalità della popolazione riusciva a firmare senza utilizzare il segno della croce.

Oggi purtroppo l’alfabetizzazione identitaria mira a cose più complicate, per le quali si deve possedere un bagaglio multidisciplinare più completo, motivo per il quale, i risultati finali non mirano ad ottenere la mera firma del proprio nome, ma il riconoscimento di un’identità culturale, che ormai per colpa di quella firma, associato al saper leggere ha portato a intorbidire le acque identitarie della minoranza.

Nonostante gli accademici si ostinino a richiedere capitolazioni e ogni sorta di documento di archivio, (anche se in molti casi sono documenti notarili realizzati nella totale inconsapevolezza dei rappresentanti del tempo), chi va avanti sono le masse di cultori locali (senza alcuna formazione, nel canto, nelle danze di macroarea) e innalzano eventi privi di ogni sostanza identitaria riferibile a tuta la Regione storica Arbëreshë.

È largamente noto che lo “storico” è una sorta d’imprenditore culturale con capacità innate, in grado di mettere in sintonia, archeologi, architetti, antropologi e geologi, che studiano analizzano ed esaminano il territorio oltre al suo costruito, tuttavia queste figure vanno coadiuvate con le ricerche documentarie, scritto grafiche e di analisi sul territorio, a cui va poi aggiunta la selezione delle memorie storiche d’ambito.

Purtroppo sino a oggi in luogo della R.s.A., “storico” è considerato, a torto, chi ha una nonna e ha disponibilità economiche per recarsi a Napoli o addirittura a Barcellona, (a fare cosa non è dato a sapersi) poi, che esso sia un suonatore di flauto (dei topi) o altro, ma comunque senza alcuna formazione, nell’interpretare, documenti, leggere il territori e in alcuni casi eclatanti, neanche  parlante l’arbëreshë, “poco importa” (almeno per i saggi che rimangono sempre muti ad osservare gli eventi ed esternare mosse di sorrisi ironici).

Questo quadro, che purtroppo si trascina dagli anni ottanta del secolo scorso, invade gli ambiti di quasi tutte le macroaree e nonostante i saggi si ostinino a parlare di capitoli e di platee, quello che più appare e lascia il segno sul territorio, sono le manifestazioni estive e i convegni, dove i soliti noti se la cantano e se la ballano secondo una infinita battaglia che lo Scanderbeg ha continuato a fare prima, durante, e dopo la sua morte.

A tal proposito, vorrei precisare che, l’esercito di questo condottiero turco-albanese, prediligeva eliminare fisicamente i nemici e non fare prigionieri, come può essere possibile oggi, ballare al suono di tarantelle, secondo coreografie che emulano accerchiamenti, per fare prigionieri che devono pagare pegno, è la caratteristica del nostro popolo?

Non è più possibile andare avanti in questa direzione, basti pensare che uno dei casali di un noto paese (che vive inconsapevolmente una maledizione culturale dal 1806), non trova la collocazione di uno dei suoi casali; eppure bastava andare nella biblioteca diocesana locale e trovare dove è collocato san Benedetto.

Questo è solo un esempio del percorso storico orfano delle figure fondamentali, come il dato che ritiene simili i paesi minoritari da quelli indigeni, tralasciando e ignorando il “genius loci”, uno dei principi fondamentali su cui si basa la storia dell’architettura e dell’urbanistica.

Lo stato di fatto posto in essere, dalle amministrazioni e dagli istituti di formazione è diventata paradossale non avendo oggi alcun che di nuovo da argomentare, ne mete nuove da perseguire, motivo per il quale urge darsi delle regole in cui la R.s.A. non sia proprietà territoriale di coloro che si ostinano a scrivere una lingua che si avvale esclusivamente della forma parlata, della consuetudine e un poco meno del canto e dei valori religiosi davanti e dietro l’iconostasi.

Occorre un percorso nuovo che distingua albanesi da arbëreshë, in modo netto e ben differenziato; con il  fine di seguire la rotta per la ricerca delle motivazioni che hanno innestato questo disciplinare storico nelle regioni del meridione; oggi diventato il modello di integrazione idoneo a garantire gli eventi migratori in atto, gli stessi che creano identiche instabilità sociali e religiose  sei secoli orsono.

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