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CORMORANI E MAYA, CANTO NUOVO GERMOGLIO DI SAN DEMETRIO

CORMORANI E MAYA, CANTO NUOVO GERMOGLIO DI SAN DEMETRIO

Posted on 29 aprile 2022 by admin

Cormorani 1966 2

Tra Napoli e San Demetrio Corone (di Atanasio Pizzi Basile) – Correva la seconda meta degli anni sessanta del secolo scorso e da San Demetrio si elevavano armonie e un canto nuovo grazie ad alcuni giovani lungimiranti, i quali, pur rispettandole, lasciavano le antiche melodrammatiche canzoni di radice in amore, per prospettive più luminose e propositive.

Il gruppo dei Cormorani nel 1966 era composto da Torchia Gennaro (chitarra basso) – Antonio Loricchio (batteria) – Demetrio Loricchio (chitarra solista) – Aldo  Strigari (sax) – Angelo Luzzi (cantante). Questi giovani intrepidi, con la loro passione per la musica e l’arte canora in senso più passionale del temine, riempivano di sonorità nuove i vicoli stretti di San Demetrio.

Seminavano così i primi germogli per ascoltare canti e ambientazione musicale anche nei paesi Arbëreshë della Calabria Citeriore, che sino ad allora era rimasta  relegata alla memoria della terra natia abbandonata.

Per ascoltarli diffusamente e riconoscerli come noti, non dovette scorrere molta acqua nei torrenti che descrivevano il promontorio detto “Murmurica”, in quanto valicarono il centro antico , negli anni settanta del secolo scorso, cambiando appellativo, ormai maturi per cavalcare palchi e dare spunto a noi giovani per  ascoltarli e ballare .

Sì sono proprio loro, “I Maya” .

Per molti ragazzi che iniziavano a respirare il vento nuovo degli anni settanta, Demetrio Loricchio – Gennaro Torchia – Mario Torchia – Antonio Loricchio – Gianni Loricchio –  Adriano Gallo – Angelo Luzzi – Aldo Strigari – Cenzino Santo – Pina Luzzi; dal 1972 aprendo le vie dell’accoglienza, anche con il cantante di colore Justin, atto che rese la generazione dell’epoca più ricca di valori.

In altre parole costituirono un gruppo di scintille che si univa per fare il fuoco nuovo  attorno al quale si ascoltava  musica e canto, la luce pulsante per un’alternativa di ascolto, a impronta di quanto proveniva dalla capitale londinese e dilagava nel mondo delle nuove generazioni, segnandole con indelebili valori di fratellanza.

Sfido chiunque abbia vissuto negli ambiti della nostra Presila, a non riconoscersi o ricordare balli accompagnati dalle lieti note e il bel canto dei Maya. Esso non era più dello storico ricorso Arbëreshe, di melodiche storie d’amore o di cuori infranti di inflessione Romana, Napoletana, Siciliana,Genovese, Bolognese o Barese.

Loro, i Maya, cantavano secondo la metrica di quanti attraversavano fieri e sorridenti, la strada, “sulle strisce pedonali”, sicuri, eseguendo canzoni come “Senza Luce”, e seguire la retta via, fatta di tanti amori nati tra quelle generazioni, che si andavano formando e cercavano un modo nuovo di fare storia e cultura.

La loro metrica sperimentale aprì un’epoca nuova di pensiero, specie nel canto, con l’idioma  importato da altri paralleli terrestri,  libera da stereotipi, la stessa che consente allora come oggi, il dialogo tra le culture più diversificate del pianeta.

Dopo un periodo che durò oltre un decennio, ogni elemento del gruppo ebbe famiglia e intraprese la propria via.

Ciò nonostante, ancora oggi, ogni volta che si ode una canzone degli anni sessanta e settanta del secolo scorso, a chi di noi  non tornano in mente “I Maya”?

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LE MINORANZE STORICHE MERIDIONALI DESCRITTE COME INSIEMI ACRÒLITI

Protetto: LE MINORANZE STORICHE MERIDIONALI DESCRITTE COME INSIEMI ACRÒLITI

Posted on 27 aprile 2022 by admin

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UN MAGISTRATO ARBËRE SENZA OMBRE: ROSARIO GIURA DA MASCHITO (Ngà vith hësth mendë itija)

UN MAGISTRATO ARBËRE SENZA OMBRE: ROSARIO GIURA DA MASCHITO (Ngà vith hësth mendë itija)

Posted on 21 aprile 2022 by admin

Rosario Giura1NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Nell’angusto e breve  corso dedicato alla “Famiglia Giura in Maschito”, sulla facciata dell’ antica dimora, una sbiadita lapide, dettata da Giustino Fortunato ricorda:

i cittadini di Maschito vollero scolpiti i nomi de’ fratelli Rosario e Luigi Giura nati nello scorcio del secolo XVIIII di Francesco Saverio e Vittoria Pascale, il primo valoroso giureconsulto e integro magistrato deputato nel 1848 al parlamento napoletano, morto esule a Nizza 1854; il secondo ingegnere scrittore insegnante per ogni aspetto singolarissimo ministro de’ lavori pubblici nel 1864; perché fossero di civile esempio e di nobile ammaestramento alla terra natale sempre memore delle prime genti qui scampate per amor di libertà dall’oppresso regno d’Albani

XXIII settembre MCMXII

Francesco Saverio Giura, (dottore in utroque, con riferimento a chi professa con laureati in legge la giurisprudenza), unito in matrimonio con la Nobl Donna Vittoria Pascale  nel 1801 diede alla luce Rosario.

Rosario frequentò le « Pie Scuole  di Calasanzio», le quali dettero argine al primo tipo di scuola popolare in Europa, i corsi gratuiti, frequentato da ragazzi di tutti i ceti, ebbe il suo battesimo nel 1597 a Roma, ideata dal grande educatore Giuseppe Calasanzio, canonizzato da Clemente XIII nel 1767, che procurò unanime plauso ed aiuto ad altri religiosi, propagandandosi in quasi tutte le regioni italiane ed all’estero

Il Giura giovanissimo si addotto in giurisprudenza, seguendo la sua vocazione e concorse con brillante esito nella Magistratura raggiungendo i più alti incarichi fino a Procuratore Generale.

Intese il suo ufficio di Magistrato nella pienezza della sovranità e si scrisse di Lui di aver avuto carattere d’acciaio al servizio di un’idea che non lo fece mai piegare.

Chiamato alla Procura generale di Napoli constatò che imperavano per mal costume, soprusi, prepotenze ereditate da chi lo aveva preceduto, impose la giustizia.

Per avere misura dello stato delle cose lasciate da altri procuratori che lo avevano preceduto, bisogna leggere la pregevole pubblicazione del Cotugno, “Tra Reazioni e Rivoluzioni”.

Rosario Giura Magistrato da Maschito, partecipò alla storia dei Borbone di Napoli, esponendone la capitale come la città dove imperava, la non giustizia in un regime di vero terrore, dove vigeva i  l’imprigionare il condannare, secondo una vera e propria tormenta in offesa ad ogni legge umana, contro  il fior fiore dell’intelligenza.

Una delle cure più gravi ed assidue del Governo fu quella di piegare ai suoi voleri la Magistratura e pertanto istituiva nell’ottobre 1849, col pretesto di purgarla da elementi sovversivi, una organizzazione delle Corti Speciali, per l’epurazione dei magistrati, indagando sulla loro condotta politica e morale.

Si era così creato un ambiente chiuso non suscettibile, per le correnti fucinate dal conterraneo del Rosario Giura, come Mario Pagano e da tanti altri.

E ben disse il Croce che quel dissidio tra monarchia e cultura fu la causa fondamentale del crollo del regime borbonico.

Contribuirono ancora a quanto appariva inaccettabile, le famose lettere del valente uomo di Stato della Gran Bretagna, Guglielmo Gladstone, spedite a un suo amico, dopo il soggiorno di quattro mesi a Napoli.

Le lettere che svelavano gli errori che si commettevano dal governo Borbone, con la frase famosa ripetuta in tutta Europa: “a  Napoli la negazione di Dio eretta a sistema di Governo”, aprendo in questo nuovo modo di affrontare le cose, le vie dell’esilio e le galere si schiudevano ai nomi più illustri del Regno.

In un elenco, di mirabile eloquenza dei tempi, fra le vittime inizia ad annoverarsi la figura del Magistrato Rosario Giura, per aver opposto delle osservazioni ad un rescritto del Re, che contro legge, ordinava che un accusato fosse dispensato di costituirsi in carcere.

L’energico atto fu accolto come una sfida alla Maestà di Ferdinando II e costo al Giura l’immediato trasferimento in Calabria.

Lo screzio all’uomo dalla toga incontaminata suscitò non pochi fremiti d’indigna­zione e disprezzo del popolo, che apprezzando la sua fermezza e rettitudine lo mando al Parlamento.

Il Parlamento Borbonico poggiava su tre malfermi cardini: ignoranza delle masse, il tiranneggiare della nobiltà ed un esercito in funzione di polizia

Ogni deputato evitava di esporsi in Parlamento, per timore di rappresaglie, ma il Giura, tempra Arbër approdata in Lucania, terminò il suo mandato, con un discorso pieno di fermezza e indignazione, pensiero che gli apri le porte delle carceri e che per fortuna eluse, trovando scampo in esilio, e dopo aver viaggiato in vari stati dell’Europa si fermò a Nizza Marittima.

Dalle “Memorie del Duca Sandonato” si evince che nell’albergo “le ville in Genova” dove fu realizzato il famoso banchetto, servito a tutti i profughi napoletani, organizzato dal Deputato e giureconsulto Giardino di Aquila, ove, una schiera dei più eletti nomi sedettero a pianificare cose nuove, come: Giovanni Nicotera, P. E. Imbriani, Raffaele Corti, Girolamo Ulloa, Salvatore Tommasi, Giacomo Coppola e tanti altri, leggonsi anche i nomi dei nostri illustri lucani: del Deputato Nicola D’Errico, di Pasquale Scura, integerrimo magistrato in Basilicata, che dovette esulare in occasione del processo del famigerato Canonico Peluso, per l’assassinio del Carducci, colon­nello della Guardia Nazionale, trucidato dalla reazione capitanata dal Peluso e del nostro Rosario Giura.

Di questa rara natura d’uomo, spiccata personalità, inconcepibile oggi, spe­sero i suoi contemporanei, le frasi più acconce per sublimarne la figura morale non disgiunta dalle grandi doti d’animo.

Siamo portati ad ammirare questi luminari esaminandoli e seguendoli nel loro aspro cammino, crescendo la nostra ammirazione secondo la varietà delle circostanze e del modo come si dipartirono.

La verità il più delle volte è frutto di dispiaceri, di patiboli, di strazi.

La verità ci viene dall’apoteosi del Golgota e ben l’apostolo Paolo impresse: “ Sine sanguinis effusio non sit remissio”.

La fortezza d’animo, la rassegnazione cristiana con la quale il Giura affrontò le avversità in terra straniera ingigantisce la figura e ci sollecita a dire l’Imbriani : Uomo sempre incorrotto ed incorruttibile.

Il Giura spese le sue tristi giornate d’esilio col preparare dotte pubblicazioni; Scritti politici e sociali e Saggi di filosofia del diritto.

Da Nizza, divenuta francese, nel 1360 il fratello Luigi si premurò di far trasportare la salma nel camposanto di Napoli, ove s’erge un monumento nel recinto degli uomini illustri con l’iscrizione dettata da Filippo Abignente:

QUI RIPOSA IL FRALE DI

ROSARIO GIURA IL CUI SPIRITO MANDATO DA DIO IN MASCHITO

DI BASILICATA IL 1 ANNO DEL SECOLO

RICCO DI MERITI DEL MAGISTRATO DEL LEGISLATORE,

DELL’ESULE RITORNÒ A LUI IL III SETTEMBRE MDCCCLIII

IN NIZZA DIVENUTA FRANCESE

IL MDCCCLX FREMEVANO AMOR DI PATRIA QUESTE OSSA

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ARCHITETTURA: INDICATORE STORICO DIFFUSO DELLA GUERRA

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Posted on 20 aprile 2022 by admin

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ARCHIVI ARBËR IN PATINA DI CALCE, SULLA FUMIGINE DEI KATOJ DEL TEMPO CORTO (Këlkera te shëpiat me kamënua dimëri)

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Posted on 16 aprile 2022 by admin

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UN MILLENNIO TRASCORSO IN FAVOLE SENZA DESCRIVERE IL CORPO CHE UNISCE

Protetto: UN MILLENNIO TRASCORSO IN FAVOLE SENZA DESCRIVERE IL CORPO CHE UNISCE

Posted on 12 aprile 2022 by admin

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