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VOI LE VOCI ALTRE; IO TESORO METRICO CANTO FAVOLE E GENIO ARBËR

VOI LE VOCI ALTRE; IO TESORO METRICO CANTO FAVOLE E GENIO ARBËR

Posted on 29 novembre 2023 by admin

turisti-napoli-2-5NAPOLI di (Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Considerando che nella legge di tutela delle minoranze storiche, n.482 del 15 dicembre 1999, siano menzionati e applicati solo i temi dell’articolo 3 e 6, della Costituzione Italiana, non è chiaro se deliberatamente o per inesperienza dei delegati, del lungo periodo, di stipula o compilazione dirsi voglia.

Nell’aggiunge il menzionato contenuto nell’art. 9, ovvero la tutela delle cose materiali ed immateriali, oltre l’ambiente naturale, scelto dalle minoranze per insediarsi, lascia più di un dubbio sulla formazione di quanti compilarono quella legge.

Va qui precisato che nell’articolo secondo, di detta legge, si tutela assieme ad altre minoranze in Italia, correttamente specificate,  “l’Albanese” che è una ben identificata e moderna nazione europea, non si comprende come possa essere interessata.

E non certo gli antichi ambiti diffusi del meridione italiano dove si parla l’antica lingua Arbën o Arbër dirsi voglia, ovvero la regione storica diffusa con 109 paesi più Napoli capitale, dove non tutti i Katundë, sono riconosciuti tali, preferendo pero, nella legge indicare, l’Albania moderna intera.

Questo denota la singolare commissione che ne definì le linee generali, immaginando, le minoranze dell’Albania, come una mera rruha, in componimento solitario di pietre calcaree, d’oltre adriatico senza agglomerato cementizio e sabbie drenanti.

La misura terapeutica o dicta diffusi dell’idioma, poi applicato, allertando i provetti pensatori, fu il Decreto del Presidente Repubblica n. 345 art. 1 comma 3 del 2001; che innesca una fiammella di consapevolezza, degli ambiti abitati, tuttavia, in senso generico, generale o addirittura blando dei luoghi, i costumi e le consuetudini che trovarono la culla ideali nel costruito.

Allo scopo e per questo si ritiene indispensabile, urgente e non più prorogabile, esaminare cosa sia utile fare ai fini della conservazione dei centri di lingua minoritaria, per conservare, valorizzare e tutelare anche il costruito storico.

La forma di genio locale diffuso, con particolare attenzione rivolta a tutta la Regione storica Arbëreshë, e non dei pochi paesi parlanti, avendo consapevolezza del fenomeno parallelo, portato nel cuore e nella mente colmi di concetti e valori avvertiti, puntando la detta legge a fenomeni del genio, mai concertati con decenza verso argomenti del costruito.

Poi se si pronunciano discorsi a dir poco pericolosi o ingiuriosi, verso i multi disciplinati, che mirano a tutelare l’intero patrimonio, a cui si prospetta la Furcillense via, in pena decisa dai delegati di inutili e impropri istituti, è la prova evidente che i cultori economici, mirano al fare sterminio culturale di massa.

Delle oltre venti macro aree abitative sparse in tutto il meridione, ad oggi, pochi risultano essere abbandonati, in diversi si rileva la perdita di memoria, altri in via di commercializzazione e la rimanente parte, la più consistente, deturpata perché mai tutelata con dovizia e attenzione storica, dall’articolo 9 della Costituzione Italiana, perché non certificati al pari dei monumenti perché non titolati da nomi eccellenti.

Gli identici ambiti minoritari ripetuti, senza soluzione di continuità che dal dopo guerra, s’incutono gravi danni, all’ambiente naturale e del costruito storico vernacolare.

Onde evitare che si ripetano episodi con enunciazioni simili: Tranquilli vi ricostruiremo un paese Arbëreshë con la Gjitonia dentro; si apre questa diplomatica, affinché, menzogne culturali di bassa levatura, non trovino più una tana dove proliferano ratti, delle questioni culturali e dell’architettura storica dei Katundë.

Ad oggi e ben accolta o accettata l’esistenza di analisi monografiche in temi generi rivolti a questi centri, a dir poco gratuiti, sempre condotta da non titolati, e cosa più grave, da indigeni non parlanti, a questo punto è il caso di iniziare a dare risposte solide e senza labilità, ed avere particolari storico/linguistici, per leggere la sovrapposizione delle cose in relazione all’epoca e ai tempi vernacolari.

Un’indagine rivolta al costruito storico, la culla del parlato, delle consuetudini del canto e delle favole dove la regina del fuoco, verificava costantemente il calore idoneo per le cose della casa e della chiesa, supportato dalla mitigazione dell’ambito territoriale parallelo, che mira all’analisi di sovrapposizione delle forme e dei materiali.

Gli stessi con cui e su cui si presenta il fenomeno del costruito complesso o articolato, oltre all’operare sulla consistenza materica che compone case, isolati, palazzi, vichi, supportici e piazze, le reali priorità in via di analisi e definizione da un gruppo di lavoro multi tecnico e disciplinare.

La complessità del tema ha richiesto approfondimenti in campo materico, sociologico, economico e legislativo, condotti nella consapevolezza che, nonostante l’intervento sul bene considerato, richiede il contestuale operare di tecnici con competenze specifiche e, solo il possessore di una formazione conservativa può esaminarne con piena coscienza la problematica a seguito della quali sarà proposta una relazione storica dettagliata del manufatto o delle insule.

Quanto esaminato e la comparazione di numerosi centri di simili origini ha consentito di individuare valori e significati del costruito, secondo le modalità importate dalla terra di origine, trasmissione avvenuta per esclusiva forma orale, dopo aver riconosciuto le tracce di una profonda cultura vernacolare nelle orografie, i luoghi, oltre le stratificazioni degli edifici realizzati con tecniche semplici e povertà di materiali.

Dalle analisi è emerso che le tipologie, del primo periodo di insediamento degli esuli, erano una forma rudimentale di rifugio estrattivo e una volta stipulati gli atti di sottomissione, e la possibilità di lasciti alla discendenza, sono seguiti le attività additive degli elevati abitativi, come in molti casi ancora appaiono.

Allo scopo in primo luogo è stato identificato, con un approccio deduttivo, individuare l’oggetto di studio: partendo da analisi a carattere generale sui centri storici si è gradualmente ristretto il campo sul centro antico, primo componimento additivo e individuato quest’ultimo, si è gradualmente allargato il campo alla definizione dei rioni diffusi o lineari tipici di questi ambiti.

Le cose emerse in senso sociale, materiale e immateriale, comparate con i centri indigeni di eguale epoca, ancora abitati, oltre a quelli delocalizzati, per eventi naturali o indotti dall’uomo, hanno definito un campo d’indagine, da cui sono emerse numerose differenze.

Allo scopo segue l’evoluzione dei concetti di “centro antico e centro storico”, espresso dalla letteratura specialistica, dai temi in Documenti, Convenzioni e sin anche forme compilate in Raccomandazioni Congressuali.

Consapevoli dei rischi insiti, nello schema di rigidi assiomi, si è proceduto, sia per i centri minori che per quelli abbandonati, al fine di privilegiare, una definizione unica, ritenendo opportuno far emergere quelle caratteristiche che concorrono con maggiore obiettività l’identificato storico, lo stesso che continua ad essere ignorato da diverse istituzioni preposte, ma che non possono essere recepite da non addetti ai lavori, che minacciano Furcillense.

È emerso che un centro minore si sviluppa attraverso coordinate qualitative, riferibili ad ambiti economici, socio-culturali, funzionali e di Iunctura vernacolare, secondo precorsi caratteri dimensionali, e sociali come nei casi sottoposti ad analisi.

Le seconde, di più immediata lettura, sono la soglia numerica, che, come si vedrà, può risultare estremamente variabile.

L’individuazione di un “centro minore abbandonato” deve invece essere estremamente precisa per la molteplice manifestazione del fenomeno e pertanto, ispirata a parametri afferenti alla sfera percettiva, che in alcuni casi espone solo frammenti, senza forma senso e garbo.

Parallelamente all’operazione di identificazione dell’oggetto di studio si è provveduto, in coerenza al percorso deduttivo premesso, ad approfondire la conoscenza della legislazione nazionale e regionale, mettendone in luce positività e carenze, delineate in altro capitolo dal titolo “Aspetti legislativi”.

Un’attenzione particolare è stata qui riservata alla legge della Regione Campania n. 26 del 18/10/2002, in quanto essa, sebbene non pienamente pertinente, per questo oggetto di sperimentazione applicativa in alcuni centri abbandonati, come riscontrabile nella descrizione dei progetti in corso nei quattro centri campione esaminati, dove non appare mai l’involucro abitati co come primo, ma accennato in diverse forme, come di genio diffuso senza tempo.

Relativamente ai, “centri storici minori abbandonati”, è stato approfondito il tema dell’abbandono, nei suoi caratteri generali, non tralasciando valutazioni di tipo economico e sociologico inerenti alla possibile rinascita dei luoghi, nella consapevolezza, di un non proprio progetto.

Ritenuto che l’operazione di restauro non è da sola in grado di assicurarne la piena riuscita, per questo essa deve essere inserita in una strategia complessa e coordinata, possibilmente concordata per essere comprensoriale e continuativa nel tempo e, non mera parentesi di superfetazioni aggiunte per leggi e trame di capitoli economici.

La complessità del tema ha richiesto, per una più ampia definizione, l’analisi delle tipologie abbandonate, le cause e le reazioni, in conformità della poca dedizione allo spopolamento, operando confronti metodologici e procedurali tra realtà regionali, nazionali ed internazionali.

Sulla base di valutazioni teoriche interessanti i processi di nascita, trasformazione e morte di un centro urbano, si è proceduto a selezionare e studiare alcuni casi di rivitalizzazione attuati nel contesto internazionale.

La lettura delle connotazioni positive e delle ricadute negative riscontrate in queste esperienze è risultata utile per delineare possibili strategie operative di recupero, unitamente ad alcune riflessioni suscitate dalla complessa realtà e dal fascino

dell’abbandono in operatori di differenti settori. Gli aspetti geografici, sociologici, filosofici, economici, urbanistici, geologici ed ambientali risultano di fatto complementari a quelli architettonici e restaurativi. Pertanto si è ritenuto opportuno non trascurare il colloquio interdisciplinare nella conduzione del cammino percorso, indirizzato al perseguimento di un effettivo ed efficace recupero socio-culturale dei centri abbandonati, da attuare con gli strumenti del restauro conservativo.

Queste premesse hanno guidato lo studio del caso campano, argomento centrale del lavoro, illustrato nel quarto capitolo “I centri storici minori abbandonati della Campania”.

Il confronto con una precisa realtà territoriale ha consentito la verifica della varietà tipologica con cui si manifesta il fenomeno indagato, facendo emergere così paralleli di lume della presenza di tanti piccoli nuclei caratterizzati da rilevante ricchezza storica, artistica, architettonica, ambientale, urbanistica e culturale.

Per il censimento dei centri ci si è avvalsi nuovamente di una metodologia deduttiva, esplicitata attraverso progressivi restringimenti del campo di indagine, operati con l’ausilio di fonti statistiche, bibliografiche e cartografiche e facendo ricorso ad interviste telefoniche indirizzate ai responsabili degli uffici tecnici; tutte le informazioni sono state successivamente verificate nel corso di numerosi sopralluoghi.

I trenta nuclei individuati, localizzati anche nelle province di Napoli Capitale, Caserta, Benevento, Avellino e Salerno, sono stati classificati in categorie di studio derivate dai caratteri eterogenei riscontrati e, tutti mirano non solo ad esplorare e mettere in dialettico confronto le singole realtà insediative ma anche ad agevolare il controllo dei risultati sia in fase di studio che di presentazione finale della ricerca.

Le caratteristiche di ciascun nucleo sono state brevemente illustrate in schede monografiche nelle quali si è preso in esame l’origine del toponimo, le caratteristiche storiche, geografiche e socio-economiche, gli assetti tipologici nel loro storico determinarsi, le modalità ed i tempi di abbandono, lo stato di persistenza dell’abitato e, dove sono stati predisposti, progetti di recupero, in atto o in corso di elaborazione.

Nella presentazione dei casi di studio, oltre a descrivere le caratteristiche orografiche, paesaggistiche ed urbanistiche dell’abitato, una particolare attenzione è stata indirizzata ai materiali ed alle tecniche impiegate, alle vicende costruttive, alle opere di consolidamento ed allo stato di degrado in cui attualmente versano.

Tra i nuclei censiti sono stati scelti per un’analisi più approfondita i comuni di Santa Sofia D’Epiro e la frazione di Pedalati (CS), Lungro (CS), Cavallerizzo Frazione di Cerzeto (CS) San Demetrio Corone e la frazione Macchia (CS), Civita (CS), Falconara Albanese (CS), San Benedetto Ullano e la frazione Marri (CS), Cerzeto e le sue frazioni(CS), Caraffa di Bruzzano (RC) Caraffa di Catanzaro (CZ) San Nicola dell’Alto (KR), Greci (AV), Ginestra degli Schiavoni (BN), Casalvecchio di Puglia (FG), San Giuseppe (TA), Barile (PZ), Maschito (PZ), Ginestra (PZ), Brindisi Campagna (PZ), Villa Badessa (PG), Campomarino (CB), Ururi (CB), Piana degli Albanesi (PA) e Napoli , in quanto, centri interessati da tipologie simili sia in senso architettonico che di organizzazione urbana tipiche del parallelismo territoriale del mediterraneo storico.

I centri non rappresentano un campione casuale in quanto confermano le tradizioni, nelle diverse macro are regionali di Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Lucania, Calabria e Sicilia, dove è stata approfondita l’evoluzione storico-urbanistica degli insediamenti, analizzando più dettagliatamente lo stato dell’abitare senza murazioni in sicurezza dell’Iunctura.

Va in oltre rilevato che un latente abbandono diffuso senza soluzione di continuità, è in atto dagli anni sessanta del secolo scorso, per questo, il futuro di questi centri non focalizza nulla di positivo in forme di merito alla tutela con le istanze culturali del restauro conservativo.

Le vicende degli alberghi diffusi o dell’ospitalità alberghiera privata in questo momento produce danni irreversibile, un assalto di cavallette impazzite invade i nostri centri antichi e senza tregua,, una forma di accoglienza paragonata a che sino a ieri non aveva letti patti e forchette per mantenere i pochi familiari, oggi invita frotte di curiosi, che terminano con l’imprimere e autografa cose della storia, oltre a portare in pegno intonaci, sabbia e pietre.

In questo discorso si mira a tracciare almeno le linee guida fondamenta della conservazione della parte antica del costruito, con il bandire la libera accoglienza se non negli alberghi, avvalendosi anche del contributo di autorevoli docenti Urbanisti, Storici, Geologi e Antropologi.

L’obbiettivo mira a realizzare progetti, volti alla conservazione del genio locale nel corso dei secoli, avendo come regola prioritaria l’inscindibile legame dell’architetture e la natura, in tutto, il territorio, con i suoi abitanti e con le loro tradizioni culturali storicizzate rivalutate per essere gradualmente e con parsimonia esposte.

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Sila Greca

ABSTRACT “Santa Sofia: i tempi e le cose Vernacolari, Urbane e agresti nel corso della storia” di Atanasio Pizzi Architetto Basile

Posted on 27 novembre 2023 by admin

Sila GrecaSanta Sofia è un comune di minoranza Arbër in provincia di Cosenza (Italia), abitato dal 1471 da esuli provenienti dall’oltre adriatico e accolti dai Principi di Bisignano tra le colline della preSila Greca. Perché luogo in forte calo demografico, dove gli esuli riconosciuti i parallelismi della terra di origine lo preferirono. Lo storico casale era uno dei cinque allocati lungo il confine diocesano di Bisignano e Rossano, dove nel Casale Terra di Sofia, incideva un fenomeno franoso, che ne definì i confini verso est, lo stesso che in epoca moderna, persa la pericolosità in memoria, è stato velato in elevati. Di contro il centro antico sviluppatosi ad, ovest di questo limes, ha da subito assunto le tipologie vernacolari e sociali, importate dalla terra di origine, qui parallele anche alle cose dalla natura, conservando e segnando, grazie alla toponomastica moderna, le tappe evolutive in eredita storica, che non ha eguali o precedenti, dirsi voglia. Rilevanti i principi dell’Iunctura del Katundë, oggi aiutano senza commettere errore a delineare le fasi e lo sviluppo dei noti Sheshi, (confusi per Rioni, Quartieri o semplici Gjitonie). Quindi abitazioni prime in mattoni di “adobe”, poi in pietra, disposti lungo le rrughë, porticati, vichi ciechi e orti botanici, elementi di tessitura urbana a misura che difendevano gli Arbër da bellicosi guerrieri alloctoni, che qui, per questo, non hanno mai scelto di addentrassi perché le dogane delle Kaljve, con porta e finestra gemellata, non avrebbero dato modo di passare per tornare. Lo studio e il progetto qui condotto, mira a creare un manuale per la lettura delle numerose e identiche realtà urbane Albanofone, di tutta la “Regione storica diffusa degli Arbëreshë” le quali, pur se manomesso pesantemente, perché non tutelato dalla legge incompleta 482/99, resistono caparbie, nonostante è stata posta a regime, per la poca esperienza dei preposti alla definizione, non tutela gli Arbër, ma gli Albanesi. La legge oltre ad aver lasciato fuori dai temi di tutela, quanto sancito dall’Art. 9 della “Costituzione Italiana”, ha preferito recintare gli immateriali sanciti del 3 e del 6. Per concludere questo breve, si vuole mirare a fornire lumi, per recuperare i cunei di semina raccolta e lavorazione agraria, oltre a recuperare una Insula del “centro antico”, dove studiare e catalogare le sue trame muraria lasciate intatte e leggere le tappe dell’arte vernacolare. Un complesso articolato con gli spazio tipici delle “Manxzane Articolate” colme di spazi utili per un “cento multidisciplinare di studi storici, delle parlate, del costume, in tutto, del genio Arbëreshë”. Le cose che ad oggi restano ignote ai più e produce danno perenne di memoria locale. In tutto, risvegliare l’antico Sapere Sofiota, arenatosi il 18 agosto del 1806, lo stesso che ancora oggi, attende di essere svelato e, illuminare  gli Arbëreshë di simile radice anche oltre il Galatrella e, sino alle terre parallele, questi ultimi in specie, avrebbero bisogno di più cose, visto che ritengono sia un fatto di mera scrittura e non in figure di genio del fare.

 

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LUGLIO 2003 OTTOBRE 2023 LA STAGIONE DI UN FALLIMENTO EPOCALE

LUGLIO 2003 OTTOBRE 2023 LA STAGIONE DI UN FALLIMENTO EPOCALE

Posted on 19 novembre 2023 by admin

36384154-albero-con-radici-isolateNAPOLI (Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Era da poco iniziato quel luglio e passando davanti alla sala consiliare udivo esternazioni con titolo, Gjitonia a dir poco inesatte se non demenziali, e quanti le esternavano millantavano di essere la massima espressione colturale, religiosa, linguistica, amministrativa e di ricerca arbëreshë.

Tornato nella capitale di adozione , che mi alleva e mi sostiene culturalmente dal 17 gennaio del 1977, mi sono recato in diversi innalzati culturali, chiedendo conto di quelle  affermazioni della mia identità e, se da una parte ricevetti lumi irripetibili di cui vado fiero

Ci fu anche chi affermo: architetto questo è quanto abbiamo avuto in eredità dagli studiosi della storia di noi arbëreshë, e gli altri non centrano perché solo quanti hanno scritto in albanese conta,  esclusi gli altri che non sono neanche storia.

Spontanea fu la risposta: e Baffi, Scura, i Bugliari vescovi, Torelli, Gramsci, Crispi e Giura, quest’ultimo che diede vita a Leopardi? Mi fu risposto che non avevano scritto in albanese; la risata che mi venne dal cuore e dalla mente fu strepitosa e scenografica, dopo la quale sottolineai, ma voi siete istituzione antica, come potete fare queste affermazioni, se siete i preposti per la tutela della nostra storia, a servizio e per la tutela delle nuove generazioni.

E, mentre ciò accadeva decisi che una nuova metrica, o stato di fatto doveva nascere e così fu.

Tornato a casa iniziai a rileggere atti e nozioni, bibliografiche e archivistiche, già in mio possesso e, nel breve di meno di cinque anni mi ritrovai nei presidi della protezione civile, in difesa della frazione di Cavallerizzo, un paese storico della minoranza in fase demolizione.

Questa era ed è una frazione che per questioni di carattere idrogeologico, doveva essere delocalizzata, per problemi di faglia, secondo il teorema che fare un paese arbëreshë con le Gjitonia era di semplice di attuazione, infatti, bastava andare al catasto e rimettere le persone o meglio le case di proprietà un vicino all’altra.

Tutto questo, tralasciando sei secoli di storia e patimenti, senza neanche rendersi conto che le colline della mula calabrese, non sono piane desertiche algerine.

La mia china di ricercatore da allora non ha avuto tregua, neanche quando mi è stato chiesto come avessero brillato alcune figure che scrivevano e raccontavano, perché quando riferii delle correzioni, con la matita “BLU” che questi allievi senza titolo accademico e, se anche lo avevano perseguito era stato per anzianità, a lori affidato, per questo non erano proprio di limi nobili o titolati, per essere innalzati, giacche campanili senza campane.

La mia china è diventata più ripida, ma nulla mi spaventa, infatti una delle soddisfazioni che ho ricevuto con la difesa di Cavallerizzo, è stata di essere interpellato o meglio di aver lasciato un segno che ha portato le News Town a non essere più una priorità Italiana, perché la storia dei luoghi che si cela nel cuore e nella mente delle persone non va mai in ramengo.

Nonostante ciò, hanno preso il sopravvento manifestazioni gitane, che siccome organizzate da accademici, pensano che trasferirsi dai loro tuguri bui e senza prospettiva, in luoghi dove la cultura si semina ed è giardino florido si diventa sani.

I mugnai non possono pensare che annusare gli aromi della pizza margherita al forno a legna del golfo di Napoli, si possano illuminare e aprire le menti, niente di più sbagliato e nulla di più dannoso, se non si conosce la provenienza degli elementi che la rendono apparentemente genuina.

Tanti saggi si sono alternati per prendersi cura della minoranza Arbëreshë, al punto tale che ad oggi non esiste una legge che li tuteli, visto e considerato che la tanta esaltata legge del 1999, nume 489 non li contempla, infatti nell’art. 2 di questa specificamente tutela: popolazioni Albanesi, Catalane, Germaniche, Greche, Slovene e Croate e di quelle parlanti il Francese, il Franco-provenzale, il Friulano, il Ladino, l’Occitano e il Sardo.

A ben vedere questa legge non menziona gli Arbëreshë in nessun grado o valore, allo scopo, oggi sarebbe il caso di integrare la minoranza e tuteli anche quanti vivono la regione storica diffusa degli Arbëreshë.

A scopo raggiunto, magari integrando alla suddetta legge, le normative, emanate dall’articolo “Nove della Costituzione Italiana”, visto e considerata, la violenza perpetrata negli ambiti dei centri antichi, ormai presi a secchiate senza misura, non per protesta, ma incoerenza dei trascorsi storici.

Qui si possono osservare, restando a dir poco basiti, cosa si fa contro le cose storiche e nello specifico porte, finestre, intonaci profferli e tetti, come se l’ambiente e le prospettive dei centri antichi, siano luoghi dove indirizzare coloriture di modernità o apporre lapidei componimenti, in tutto, far rivoltare nelle tombe gli uomini illustri; quelli veri e, fermare la digestione di tutti gli altri .

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IL FATUO, FARINA VOLATILE E LA SOLIDA CRUSCA DEGLI ARBËRESHË

IL FATUO, FARINA VOLATILE E LA SOLIDA CRUSCA DEGLI ARBËRESHË

Posted on 05 novembre 2023 by admin

1787 1814NAPOLI (di Atanasio Pizzi Arch. Basile) – Quando si promuove, si scrive o si tutelano le cose degli Albanesi, si tende a mescolare anche la forma parlata arbëreshë considerandola come Arberia.

Il sostantivo storicamente indicherebbe il centro nord, escluso il sud dell’Albania, inglobando però la Regione storica diffusa Arbëreshë, dell’Italia meridionale, che è altra cosa e, potrebbero essere al più ambito, territoriale parallelo ma null’altro per la storia, la politica e il sociale evolutivo degli ultimi sei secoli.

Ambiti o confini culturali, utili a creare confusione o meglio, seminato fatuo nei giardini dei degli elevati preposti, i quali invece di fare il loro dovere, a modo di mulini, dove si valuta il grano  per la sola farina prodotta, mentre la poca crusca una volta depositata in un sacco usato, viene messa da parte senza alcun rispetto per l’opera del ricavato prodotto.

Quest’ultima, invece di essere saggiamente utilizzata, come facevano i nostri avi, per il ciclo della vita e, le cose sane, viene disprezzata perché rude ricavato del candido genuino.

Fatuo e farina bianca sono gli ingredienti, che vogliono la parlata Arbër, vetusta e senza futuro, ritenendo che la crusca locale non sia indispensabile per la genuinità e la cura della memoria e lo spirito.

Tuttavia nonostante fatuo e farina hanno preso la via del vento e sognano tempeste, la crusca rimane vicino ai nativi arbëreshë, gli unici che tutelano e non smetto di sostenere valori antichissimi, del patrimonio identitari delle genti che furono Arbër e Arbën, senza mai stare lontano dal cuore.

Ritenere che la lingua Arbëreshë sia un esperimento, in fase di arricchimento Albanese, come si fa con le lingue moderne, è un grave disastro storico, non si trovano parole per definire questo errore, specie se si definisce tutto il panorama linguistico antico europeo, senza future e quindi seguire la via della crusca dopo il mulino.  

Ho assistito in due occasioni distinte, in presenza a tali esternazioni e valutando il livello culturale di quanti, dovevano tutelare, proteggere, saggiare, circoscrive dalle inopportune azioni o forme letterarie, per il parlato del genio Arbëreshë, ritengo che esso sia confusa come semplice crusca, da imbibire con la troppa farina l’Albanese.

Se i predisposti presidi in senso generale, si sono occupati a scrivere, una lingua non scritta da millenni, forse avrebbero dovuto dedicare più tempo e attenzione ad indagare il parlato della stagione lunga dedicata al canto (la Primavera) e della stagione breve (l’Inverno) delle favole raccontate al caldo del camino.

Certamente oggi avremmo avuto più energia o certezze per il passaggio generazionale di questa antica forma parlata denominata Arbë/n.

Nel campo dell’architettura esistono due vie che un allievo può scegliere, quella dell’architettura moderna e del restauro, e ognuna di esse ha campi e luoghi precisi dove esprimerle, perché non si imita questo con la farina e la crusca del parlato Arbëreshë, nessuno oggi si sognerebbe di ammodernare il Colosseo o fare un albergo diffuso a Pompei, e mi fermo qui.

Dicono ed è vero che forme scritte comuni, che uniscano più di tre arbëreshë non esistono, tuttavia sfugge a tutti, i delegati comuni, che esisto le direttive sartoriali non scritte, compositi manuali di costumi, i quali se saputi interpretare in lingua originale, non sono altro, che manuali di consuetudini antiche, indispensabili ad unire il focolare di ogni casa, con l’altare di credenza locale.

In tutto, le cose del passato nascono perché segnano il tempo e, nessuno dico nessuno ha il potere di rimuovere le lancette di questo storico orologio locale.

Al giorno d’oggi la regione storica arbëreshë, vive una confusione di campanili locali senza precedenti, dove si contendono cose uomini e fatti, mai avvenuti, per promuovere puro fatuo, invece di calibrare farina e crusca, con dosi a favore della seconda, che porterebbe al valore assoluto della radice della nostra parlata originaria, in altre parole, lo scudo o meglio l’elmo islamico sormontata dal capretto, magari cancellando nomignoli e impropri soprannomi turcofono, come hanno fatti in Terra di Sofia.

L’arbëreshë lo possono difendere solo quanti si son pregiati del titolo di “Crusca Locale”, indicando nomi e cognomi dei docenti sino alla giovinezza, poi grazie alle scelte di studio arrivare a titoli di studio multi disciplinari nel campo dell’operosità fatta di sudore, mirati alla storia e all’architettura, perché, allievi che non hanno mai smesso di pensare in Arbëreshë.

Se a questo poi si aggiungono le capacità di fare strada nel mondo della cultura, pregiandosi di formazione irripetibile, collaborando con numerosi docenti in campo della storia, della Geologia, del Restauro l’Antropologia, della Scienza Esatta e della Tecnologia, senza allontanarsi dal campo del restauro e dell’indagine di luogo, con le note caratteristiche locali di radice vernacolare.

A questo punto per tutti i comuni addetti, è chiaro la paura dilaga e tutti temono il confronto pubblico, ritenendo più utile fare ballate cantando con il vestito da sposa indossato di fretta, con movenze islamiche, spiegare e illustrare le favole in lingua indigena, depositare eroi che guardano in ogni dove, meno che a casa propria e, con l’elmo dell’ironica appartenenza islamica, assegnare titoli impropri o conversare pubblicamente di fatti luoghi e cose senza averne formazione.

La storia degli Arbëreshë è un componimento unico e raro in tutti i suoi aspetti, siano essi idiomatici, del canto, delle favole, delle consuetudini a primavera e in inverno, espressioni che si possono cogliere nella credenza del costume, che unisce, univocamente, casa e credenza, tutto questo fatto sempre rimanendo il più possibile vicini al proprio cuore e a quanti ti hanno consegnato il protocollo mnemonico in eredità e ti sono sempre vicini per consigliarti.

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