Archive | agosto, 2020

LE MINORANZE STORICHE APPRODI AVVANTAGGIATI RISPETTO LA MAGGIORANZA LOCALE

LE MINORANZE STORICHE APPRODI AVVANTAGGIATI RISPETTO LA MAGGIORANZA LOCALE

Posted on 27 agosto 2020 by admin

PesteNAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – La pandemia non sconfitta, si è insinuata nella nostra vita e per certi versi ne fa parte, tracciando, per questo scenari nuovi, secondo cui le attività sociali vanno riviste a nuova misura secondo un ipotetico, e non ben definito distanziamento fisico, igienico con le cose, riconfigurato nel rapporti tra ambiente naturale e ambiente costruito.

Ciò ha penalizzato a dismisura gli agglomerati in senso di metropoli, città e paesi di varia caratura, in ogni dove, ponendo tutti nella stessa linea di partenza, dal punto di vista economico, dei servizi e della partecipazione sociale.

Degli ultimi fanno parte i noti agglomerati storici detti minori come i Katundë arbëreshë dell’Italia meridionale.

Tutti ancora fermi sulla linea di partenza, a misurare distanze, paure ed economia, immaginando che ciò non estenda la pandemia anche in senso economico.

Certamente dei modelli costruiti delle urbe moderne quelli che hanno più possibilità di ripartire velocemente e che dovrebbero avere una corsia preferenziale sono proprio i centri detti minori, di cui fanno parte i Katundë Arbëreshë.

Potrebbero diventare proprio questi i modelli ideali, dove provare strategie future di convivenza sociale, senza impegnare somme esose, che se distribuite in anfratti metropolitani dove il controllo sfugge e non si comprende l’efficacia, con costi di altra misura economica.

Chi si dovesse trovare a dirigere questi piccoli centro, oggi o tra qualche settimana per il rinnovamento elettorale previsto, se idoneamente coadiuvato, potrebbero predisporre strategie di confronto secondo protocolli di facile attuazione, in quanto, veri e propri laboratori di ricerca.

Sia dal punto di vista degli uffici pubblico, sia dei presidi scolastici, oltre a tutte le attività commerciali e ogni genere che diversamente dalle metropoli, dalle città e i gran centri urbani non possono essere sottoposte a controllo.  

Nello specifico i paesi di origine arbëreshë potrebbero diventare laboratori a cielo aperto e attuare prove di del distanziamento sociale più opportuno secondo se si tratti di accoglienza, spettacolo all’aperto o al chiuso e ogni attività di promozione e divulgazione secondo il consuetudinario storico che ha superato, pestilenze carestie e ogni sorta di emergenza, senza mai modificare il rapporto, nel corso della storia, tra ambiente naturale, ambiente costruito e uomini.

Il razionalismo mai sfarzoso al chiuso, comunque sempre ventilato e temperato; strade strette, il cui rapporto con il costruito manteneva con espedienti naturali il valore di salubrità all’aperto.

Scelte strategiche che utilizzavano valori calibrati della forza eolica, solare e idrica; una sorta di labirinto in apparenza casuale, ma in realtà nato secondo canoni atti ad assicurare la vita di quanti all’interno di questi sheshi, continuavano a superare avversità di confronto, sia naturale e sia indotti.

Luoghi di convivenza che non sono stati mai abbandonati, sempre vivi per condividere gioie e dolori prospettando futuri di rivalsa sempre migliori.

Aggi si cerca il distanziamento sia fisico e materiale, si vorrebbero allargare strade case e palazzi, su quale base scientifica non è dato a sapersi, o meglio chi lo dice sicuramente non ha letto di storia o conosce gli avvenimenti del passato.

Quel passato che conferma con stati di fatto che nonostante la peste nera, la spagnola e ogni sorta di emergenza sanitaria vissuta, a nessuno è venuto mai in mete di abbattere il centro storico con pala e piccone, di Napoli, Firenze, Roma, Venezia o ogni capitale che di questi avvenimenti è stato teatro.

Dopo sei mesi di blocco, nessuno ha avuto il buon senso di alzare la bandierina per la ripartenza, sicuramente lo potrebbero fare per i piccoli Katundë arbëreshë come da seicento anni fanno e forniscono un nuovo modo di integrarsi e convivere con la nuova emergenza sanitaria, così come fecero con le genti indigene e i territori paralleli ritrovati riconoscendone da subiti limiti e potenzialità.

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ERA AD OVEST DEL PAESE LA DOGANA DEL BENVENUTO

ERA AD OVEST DEL PAESE LA DOGANA DEL BENVENUTO

Posted on 25 agosto 2020 by admin

Costa1NAPOLI ) (di Atanasio Pizzi) -Tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, Lalë Costa, abitualmente  riposava seduto su una panchina posta, in quel largo in ombra, davanti casa sua.

Un luogo di osservazione dove, lui, certamente aveva controllato i materiali e viste crescere le mura e gli orizzontamenti dell’agogniata dimora secondo i dettami più rappresentativi dell’architettura Sofiota.

Con l’ordine delle aperture al primo piano ad impronta dell’antico palazzo Arcivescovile locale e le modanature laterali a rilievo di intonaco a impronta bizantina.

La storica panchina, posta in quel largo, sul fianco orientale del vallone del monaco, dove per rendere più piacevole la quinta, e coprire la depressione naturale era stata piantumato un filare di acacie, che nel corso degli anni aveva realizzato in un’emozionante quinta naturale.

Lalë Costa era generalmente lì a salutare con simpatia chiunque usciva dal paese per recarsi a lavorare le terre e accoglieva quanti, tornavano con le membra stanche e affaticate, ma fieri del proprio operato .

Un luogo ameno noto a tutti, in quanto, ambito di attesa in senso di medicina, per l’attività dei figli e anche dal punto vista sociale, in quanto, luogo  di costruttive riflessioni e confronti.

Lalë Costa non era mai solo, perché essendo, la sua, il primo manufatto di rilievo del paese, era diventata come una sorte di  dogana dell’accoglienza e di benvenuto e lui, con sorrisi e gesta gentili, intratteneva passanti e amici che lì si fermavano o si recavano a discutere vivendo quel benefico anfratto.

La prospettiva principale erano le architetture rinascimentali del suo palazzo, ma non da meno era la vista del paese e delle montagne dell’Appennino citeriore, e i profumi e l’ombra che in tutto il periodo dell’estate Alessandrina offriva il filare di acacie.

Non commetto errore nel dire che non ci fu persona Sofiota che in quella panchina non si sedette almeno una volta sola e non ci sia stato gruppo di amici o gruppi di amiche, che in quel luogo ameno non si sia fermato a sognare futuri condivisi e unioni ideali.

Quel luogo è rimasto sempre vivo anche quando Lalë Costa non c’era più e la panchina era rimasta orfana dello storico personaggio.

Quella dogana di benvenuto termina di essere tale, quando il Dottor Carlo, figlio di Lalë Costa, passò prematuramente a miglior vita, lasciando lo spazio antistante nelle disponibilità pubbliche.

Agli inizi degli anni ottanta, il rinnovamento nel centro antico, in forma di abbellimento, ritenne più opportuno fornire uno spazio verde alla comunità, eliminando quella depressione naturale che faceva parte delle consuetudini locali.

Rigenerarlo e bonificarlo sarebbe stato più idoneo, rispetta al dato che la comunità avesse urgenza di uno spazio verde progettato  per il centro storico, nonostante questo, fosse circondato di boschi, uliveti gelseti e vigneti senza soluzione di continuità; un po come a dire che il mare avesse bisogno di una goccia per sopravvivere.

Oggi rimane solo il ricordo di Lalë Costa, e di quel luogo di accoglienza semplice; le generazioni che hanno avuto la fortuna di vivere quei momenti, specie per il fortunato bambino che accompagnando i suoi genitori, viveva l’atto delle dieci lire e del conseguente corsa verso l’ambito gelato, gesti semplici ancora presenti nelle vive mente di quei bambini diventati adulti.

Comunque sia restano i ricordi e ogni volta che si giunge nel vecchio centro antico, da ovest, nel piegare la nota curva, ti aspetti che da un momento all’altro ti appaiono i gelsi, la panchina e il vecchio Costa, che saluta con la mano e ti da il benvenuto; poi subito la realtà, tutto è cambiato.

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LA MINORANZA STORICA E LE SUE ECCELLENZE

Protetto: LA MINORANZA STORICA E LE SUE ECCELLENZE

Posted on 17 agosto 2020 by admin

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ASPETTANDO CHE IL DIAVOLO SCENDA IN CAMPO

Protetto: ASPETTANDO CHE IL DIAVOLO SCENDA IN CAMPO

Posted on 13 agosto 2020 by admin

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CARTA PENNA E CALAMAIO TENGONO IMPEGNATE LE MANI E LA MENTE DEGLI ARBERESHE

CARTA PENNA E CALAMAIO TENGONO IMPEGNATE LE MANI E LA MENTE DEGLI ARBERESHE

Posted on 08 agosto 2020 by admin

Pinocchio3NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Il percorso di tutela degli elementi caratteristici della regione storica segue l’ideologia del libero pensiero, come lo fu in quei giovani del 1799.

Si parte dal presupposto che dopo quella stagione il globo intero non ha più avuto una stagione cosi limpida e libera da ogni ideologia di potere politico o religioso.

È per questo che si raggiunse la più alta notorietà nell’intento di creare presupposti di cui avrebbe avuto godimento anche la regione storica, diversamente da come avviene oggi giorno, con sottomissioni riferibili a ideologie di varia natura.

Per questo, la narrazione per essere ben compresa, è fatta da quanti hanno educazione libera da pensieri alloctoni o condizionati, affinché il percorso di investigazione del seminato possa svolgersi, senza alcun precetto locale di arte e storia riversata.

Lo studio della Regione storica diffusa arbëreshë, segue gli avvenimenti di oltre cinque secoli, partendo dal presupposto che il patrimonio, oggi in parte compromesso negli ambiti dell’Epiro nuova e dell’Epiro vecchia, fu trasferito nella Regione storica Arbëreshë, per garantire una nuova via per il giusto apporto vitale del patrimonio in pericolo.

Per questo gli avvenimenti non devono e non possono sintetizzati secondo i limitati intervalli, pur se fondamentali, riferibili alla vita da arbanon di Giorgio Castriota, nelle mere vicende della gjitonia, citata come vicinato indigeno o nelle valje comunemente diffuse come il ballo tondo, per festeggiare stragi, battaglie senza titolo e senza trono.

Ciò nonostante, costatare che nei secoli e in diverse forme, a dir poco elementari, un numero considerevole di figuranti, ha ritenuto indispensabile tutelare il modello culturale per eccellenza di tutto il mediterraneo, tracciando con penna e calamaio, percorsi di alfabetizzazione, indirizzati comunemente verso quanti quest’arte non sapeva cosa farne e dove depositarla nei comò di casa è veramente paradossale.

Ai figuranti dal XVI che sino i giorno nostri si sono alternati in questa avventura, è sfuggito un dato fondamentale facilmente intuibile, ovvero, un modello culturale cosi radicato è protetto da questo popolo non è da ritenersi racchiuso esclusivamente nelle parlata idiomatica di locazione.

È conferma storica che il modello arbëreshë, non è solo un modo di esprimersi e parlare una lingua codice, ma ha anche elementi materiali e immateriali che la solidarizzano attraverso le consuetudini, i sistemi urbani tipici, nello specifico le dimore dove essa si riverbera senza mai perdere senso, perché avvolta e protetta dal luogo.

Sono i luoghi naturali e costruiti che la rafforzano, restituendo il senso linguistico; se esso continua ancora oggi a seguire imperterrito la sua strada, confrontandosi con le ire del tempo e della modernità, lo deve al luogo costruito dove sono stati depositati quei moduli abitativi, scrigno ideale di linfa buona per rigenerare il tesoro durante lo scorrere del tempo.

Sin dai primi esempi di modelli abitativi, furono realizzati secondo consuetudini che consentissero ai suoi abitanti di perseguire il rigenerarsi della specie secondo le proprie necessità, in senso generale e non preservavano esclusivamente uno dei suoi elementi caratteristici e caratterizzanti.

In questo percorso storico, culturale, sociale, urbanistico, architettonico, materico e di credenza arbanon, sono trattati argomenti i cui elementi s’imbibiscono nello scorrere delle letture storico-archivistiche, ambiti locali, trovando conferma nella sovrapposizione  di carte geografiche del meridione(G.I.S.), trovando conforto con le dinamiche politiche/sociali delle epoche riferite.

Va in oltre rilevato che i tomi dalle generazioni del passato pur se colmi del sapere di operanti alfabetari che di arbëreshë non possedevano o meglio non interessava avere una visione completa del patrimonio culturale, ma una regola da riversare per i propri fini.

Ostinandosi in questo modo a seguire una meteora ignota, annotando secondo le consuetudini di altrui genti ciò che intimamente numerosissime generazioni arbëreshë avevano difeso all’interno dell’articolato labirinto identitario.

Sono numerose le figure che comunemente confondono “Storia” con “Racconti”, questi ultimi ormai diventati leggenda, sono arte alchimistica diffusa, il cui fine mira ad adombrare il significato dell’accadimento o evento per fini personali o di casato.

Sono proprio questi ultimi a trasformarsi in veri e propri fiumi in pena, che formalizza e crea la comunità di “borgatari”,che si concretizzano come operatori in forma d’instancabili riversatori di cultura.

Essi si presentano come generici rappresentanti, elevandosi a vere e proprie dogane culturali locali; Bertine, sotto mentite spoglie.

Sono materialmente le vipere delle consuetudini, e per meno di tre danari, per una gloria che non avranno mai, distruggono e separano ogni cosa utile alla minoranza storica, giacché, nati per alimentare il girone degli Ignavi.

Vivono ai margini delle corti, in sottoscale dei potenti mercanti, vendono ogni cosa, persino il sangue culturale dei dotti, per stare più leggeri e rimanere a galla, per l’inopportuna posizione.

Gli appassionati cultori, sono gli unici ad avvertire la loro malefica presenza e infastiditi dalle movenze striscianti, con cui provano a darsi un contegno teatrante, nella sostanza sono “fumo malsano” che inquina perennemente l’ambiente culturale.

La loro missione mira a nascondere dividere e creare presupposti che rallentano la ricerca, non mettono in campo nulla per coinvolgere unire o confrontare l’opera dei dotti; figure nate perdenti, in quanto l’unica capacità innata si concretizza nel male, lo stesso che diventa consuetudine e ragione di vita e qundi ignari del loro operato deciso dal diavolo.

I “non fatti o le cose mai avvenute” sono le uniche azioni inconcludenti in grado di produrre, studi dozzinali, ripetitivi, talvolta fuorvianti, recepiti dalla gente comune con sensazione positiva.

L’attività di questi diavoli in pena, è di creare muri invalicabili contro la culture, cosa che gli riesce bene, perché si dispongono con furbizia vicino alla gente, inventando per nome e per conto di altri, atti e fatti percepibili dalla gente per un loro ipotetico uso o beneficio.

In altre parole sono l’esatto contrario di un ricercatore il quale produce “invece” rilevanti resoconti indispensabili alla gente che vuole capire, comprendere e decidere.

La Società di cui si compone la regione storica, non è ancora purtroppo «Aperta», in quanto, si distingue per gruppi secondo i quali le cose sono giuste se appartengono ad una categoria, le altre saranno da vedere a prescindere se esse siano giuste e finalizzate al benessere diffuso.

Tanti sono i figuranti e tutti accomunati nel principio secondo cui, la vittoria della scienza, la formazione e la cultura, esclude l’insieme chiuso e se ciò avviene, non sarebbero più in grado di porsi alla guida della nostra gente sottomessa culturalmente, per questo la loro battaglia perenne mira a far prevalere la mediocrità sulle capacità intellettuale.

Gente che non ha nessuna remora a minimizzare il lavoro altrui, definendolo qualunquista, oracoleggiante, profetizzante, ecc., quando il qualificato, oscura la loro visibilità o denuncia il loro lento e trasversale modo di fare ed essere.

Anche per tale motivo, questa nota rientra nel ventaglio di lotta contro tutte le dittature che tengono prigioniera la regione storica nonostante sia stata capace di essere la più integrata del mediterraneo.

Questa vuole essere solo un breve accenno di una più vasta ricerca sul Brigantaggio della cultura della regione storica che parte dal 1799 e inizia a scorrere imperterrita dall’agosto del 1806, seguendo una deriva culturale che tutti osservano e nessuno ha lo spirito di fermare, perche si ostinano a tenere le mani impegnate con penna carta e calamaio.

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L’ARCHITETTURA DEI CENTRI STORICI MINORI SI LEGGE NEGLI ANFRATTI NATURALI,  NON SI CERCA NEGLI ARCHIVI PER POI RACCONTARLA CONFORTATI DALLA “CARTA”:  ESSA, L’ARCHITETTURA, NON È ALTRO CHE IL CONNUBIO LOCALE TRA UOMO E AMBIENTE.

Protetto: L’ARCHITETTURA DEI CENTRI STORICI MINORI SI LEGGE NEGLI ANFRATTI NATURALI, NON SI CERCA NEGLI ARCHIVI PER POI RACCONTARLA CONFORTATI DALLA “CARTA”: ESSA, L’ARCHITETTURA, NON È ALTRO CHE IL CONNUBIO LOCALE TRA UOMO E AMBIENTE.

Posted on 06 agosto 2020 by admin

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GLI ARBËRESHË E GLI ALTRI DEL PAESE DI FRONTE

Protetto: GLI ARBËRESHË E GLI ALTRI DEL PAESE DI FRONTE

Posted on 03 agosto 2020 by admin

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