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LE PROMESSE PER LA CULTURA DURANTE LA CHIUSURA E ADESSO L'APERTURA?

LE PROMESSE PER LA CULTURA DURANTE LA CHIUSURA E ADESSO L’APERTURA?

Posted on 28 agosto 2021 by admin

Pinocchio3NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – L’anno duemilaventi è trascorso senza alcuna manifestazione culturale, all’interno della “Regione Storica Diffusa Arbëreshë”, tutti i preposti in questo periodo erano concordi, al chiuso delle proprie abitazioni, ad iniziare con più coerenza le manifestazioni per valorizzare i ricordi consuetudinari della minoranza storica.

Specie nel rapporto mai consolidato con i canali turistici che contano, dove storicamente gli ambiti arbëreshë sono marginalmente contemplati, come episodi orografici, ma non quale eccellenza sociale d’integrazione mediterranea.

Se fosse vero che ogni promessa è debito alla luce dei mille ravvedimenti diffusi, sui social/media durante la pandemia, quanto esposto in questi pochi mesi, di relativa libertà, non lascia dubbio alcuno, sulla fratellanza con il burattino di legno che prometteva, prometteva e prometteva.

A ben vedere “l’arcobaleno” prospettato, realizzato e addirittura vantato, come espressione artistica/culturale, palesa una povertà di valori che non trova eguali, sminuendo sin anche gli ambito maggioritario delle colline Italiane.

Una promessa di ravvedimento non mantenuta che lascia a dir poco sconcertati, viste nuove ricerche o stati di fatto, posti in essere, che avrebbero dovuto fissare più solidamente le caratteristiche della minoranza, non più esclusivamente a temi linguistici, metrici, consuetudinari, religiosi, come unica meta di salvaguardia.

Oggi grazie a temi ambientali, del costruito storico, il Genius Loci espressione di città policentrica, aggiunto al riferimento settecentesco,  ponte tra credenza civile, religiosa e profana, ovvero, “il costume nuziale femminile”, si sarebbe dovuto iniziare ponendo  la minoranza in prima linea, nei canali turistici che contano e portano valore ed economia al territorio.

Ciò nonostante la catastrofe emersa in questi pochi mesi di apertura sociale, lascia a dir poco perplessi; la ragione ha la sua origine nel non aver predisposto un’istituzione centrale di controllo, in grado di delineare trascorsi e principi, redarguendo quando serve il libero arbitrio, specie se, sostenuto senza misura da istituti ed istituzioni, poco attente.

Emerge palese la non conoscenza della storia, il non distinguere centro antico, da centro storico, la toponomastica del passato remoto, quella del ventennio, oltre a quanto modificato dalle ideologie sessantottine che delineano una deriva senza precedenti.

In altre parole, caos sistemico, in cui a perdere, sono gli elementi tangibili e intangibili della minoranza arbëreshë, specie quella che si è insediata tra il sedicesimo e il quarantaduesimo parallelo Italiano.

Se a questo dato si persegue ancora, la la via secondo cui, eccellenze arbëreshë, sono esclusivamente, le figure cimentatesi a grammaticare con l’utilizzo dei numerosi alfabeti, un codice idiomatico antico, tramandato per secoli in forma orale, da la misura del valore culturale in atto.

D’altro canto ritenere e disdegnando figure arbëreshë, in campo culturale, della scienza esatta, della giurisprudenza, la sociologia, dell’ingegneria, dell’architettura, dell’urbanistica, la matematica e nel campo editoriale, si ha la percezione di quale quadro senza prospettiva si preferisce divulgare.

Se a questo aggiungiamo che ancora oggi la credenza popolar/culturale non conosce la storia e tutti attendono il messia che emerga dalle catacombe d’archivio, con il vello in trattato di capitoli, platea e onciari, la prospettiva che  emerge è chiara, limpida e senza ombre di sorta.

Una minoranza che non ha consapevolezza del confronto o dell’unione delle discipline per la ricerca storica, non è in grado di tracciare un percorso univoco solidale e condiviso.

Tutto è svolto secondo il disciplinare che gli altri non hanno documenti, perché quando si recano negli archivi non sanno che quei complessi, qualche figura d’intelletto, prima di loro, li ha progettati per facilitarne l’uso e la consultazione di  atti utili ma non indispensabili a delineare la storia di un identificato territorio.

A tal proposito e per spegnere gli entusiasmi di queste pericolose fiammelle, all’interno dei catasti, è il caso di precisare che l’atto di svolgere una ricerca storca, non termina con l’aver acquisito un generico documento, buono o inutile che sia.

Il processo di ricerca richiede la capacità di saper leggere e confrontare  gli eventi della storia che altri detengono, poi di contestualizzarli con il territorio, le memorie locali, le modificazioni naturali e del costruito, che nello scorrere del tempo è passato dalla forma estrattiva in quella additiva per essere poi frazionata e in seguito migliorata nei secoli successivi.

Realizzare una ricerca storica che sia condivisa all’interno della “Regione Storica Diffusa Arbëreshë”non è un tema di facile attuazione.

Chi è riuscito nell’impresa, ha raggiunto l’intento, perché, coadiuvato da figure opportunamente  formate, oltre a istituti universitari specifici, con una dose di sapienza che non ha mai eccede negli elementi distintivi.

Solo seguendo questa diplomatica è stato possibile creare l’ intreccio arboreo ideale, in grado di raffigurare gli oltre cento Katundë, suddivisi in ventuno rami di macro aree in grado di raffigurare e dare forma alla regione storica.

Comporre l’albero genealogico in cui le radici alimentano e sostengono, solo ed esclusivamente le sei caratteristiche fondamentali che distinguono gli Arbëreshë dagli altri popoli del mediterraneo, è il risultato a cui si è addivenuti e da cui partire per diffondere certezze.

Si è definito da dove inizia la storia degli arbëreshë, senza andare troppo indietro nel tempo e perdere il filo del tempo; quali siano stati gli elementi fondanti; cosa ha determinato la volontà di migrare, tra il 1469 e il 1502 , e tracciare  con sacrificio le basi della odierna regione storica diffusa arbëreshë.

In oltre è stato definito, cosa ha permesso di sostenere le macro aree,  diffuse nel meridione Italiano e senza collegamenti brevi e diretti sia stato possibile resistere e rispondere alle diverse epoche con la stessa misura identitaria; quali siano stati gli elementi tangibili e intangibili che sostenuti questa metrica identitaria e cosa fondamentale, perché nella valle del Crati nella alle falde della Sila sia nato il costume tipico, che racchiude tutta la credenza di fratellanza civile religiosa e profana della storica regione .

Solo grazie agli studi realizzati a seguito di un preciso progetto di indagine archivistica, sul territorio e di confronto con le memorie storiche, grazie alla conoscenza delle parlate tipiche e il saper interpretare usi e costumi si è potuto approdare alla definizione che gli Arbëreshë, rappresentano il modello d’integrazione tra i più longevi, il più riuscito solido e vivo del bacino del mediterraneo.

Considerando fatti avvenimenti e paure, che diffusamente si diffondono attraverso i media nell’epoca che viviamo, parlare della storia degli arbëreshë, servirebbe utile diffondere tranquillità a tutta la popolazione europea in ansia, per le costanti ed innumerevoli migrazioni, immaginate tutte come eversive.

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L’ARTICOLO 3 - 6 - 9  DELLA COSTITUZIONE NON SONO PER IL PARLARE SOLTANTO

Protetto: L’ARTICOLO 3 – 6 – 9 DELLA COSTITUZIONE NON SONO PER IL PARLARE SOLTANTO

Posted on 29 luglio 2021 by admin

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PARLATE, PARLANTI, COMMEDIE E COMMEDIANTI: IL POCO RISPETTO PER SE STESSI

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Posted on 13 giugno 2020 by admin

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Mostra "l'oro arbëreschë a Napoli

Protetto: Mostra “l’oro arbëreschë a Napoli

Posted on 28 febbraio 2020 by admin

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Dita Jote

Dita Jote

Posted on 24 aprile 2017 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Atanasio detto il Grande (in greco: θανάσιος, in latino: Athanasius; Alessandria d’Egitto, 295 circa – 2 maggio 373) fu patriarca di Alessandria d’Egitto. Il suo nome è legato alla Scuola teologica di Alessandria, assieme a Clemente e Origene; le chiese ortodossa, copta, e cattolica lo venerano come santo, quest’ultima lo annovera tra i 33 dottori della Chiesa.

È ricordato inoltre nel calendario dei santi anglicano e luterano, la sua festa è celebrata concordemente da tutte le Chiese il 2 maggio.

Santa Sofia d’Epiro anche quest’anno è in fermento per realizzare la festa che rappresenta l’apice di coesione e di credenza di tutta la comunità.

Il ricordo va a tutti quei personaggi che nell’approssimarsi del 2 di Maggio,a Santa Sofia si prodigavano per realizzare la festa più suggestiva e piena di novità, essi sono tanti ma basta il rievocare gli eventi e il ricordo va ad ognuno di loro.

Si sfornavano ceste di taralli per ben accogliere le visite di rito ed offrirli lungo la processione ai fedeli e ai devoti.

Si ordinavano rendendo più idonee le strade, si adornavano le finestre e i balconi con essenze floreali.

Ogni anno si caratterizzava l’evento con una novità pianificata dalla brillante Commissione e messa in atto dalla popolazione in modo univoco ed esemplare.

L’operosità e l’inventiva paesana realizzarono i rudimentali supporti elettrotecnici, che illuminarono tutto il paese la sera dell’evento religioso, attraverso il contributo di ogni famiglia, che dalle proprie case forniva i segmenti energetici atti a produrre la nuova veste illuminotecnica novità esemplare per quei tempi.

Un altro anno si dipinsero, a calce pigmentata a pastello, le quinte delle case dove sarebbe transitata la processione, comprese quelle della piazza, producendo così una nuova prospettiva incantevole ed emozionante.

Altri anni si preferirono addobbare la chiesa madre, con arazzi e tendaggi di colore porpora in modo da renderla calda e sontuosa, poiché la chiesa a quei tempi era priva dai preziosi dipinti della scuola cretese.

I multicolori Palloni aerostatici che da semplici e rudimentali opere, realizzate con carta velina, colla di farina, ferro filato, resti di candele e rappezzi di sacchi, oggi sono divenuti esempi che vanno per la maggiore in tutta la provincia, grazie ai progressi della N.A.S.A.(Nucleo Aerospaziale Sant Atanasio).

Ricordo la funzione religiosa (mèsha llalbit), che Padre Capparelli, la mattina del 23 aprile, primo giorno delle novene, ufficiava nella Kona di Sant’Atanasio.

Sentivo mia madre, Adolina Kongorelit, di buon ora, la mattina del ventitré vestirsi di tutto punto col tipico costume arbëreshë, avviarsi a piedi verso la Kona, in compagnia di un manipolo di devote tra le quali è d’obbligo ricordare: Melina Ngutjt, Anmarja Vukastòrtit, Serafina Kurthvet, Annetta Abelit, Anmaria Pasionatit, Koncetta Miluzith, Rusaria Pixhònit, Martoresa Timbunit, Vittorina e Lilina Zingaronit, capeggiate da suor Melania e le sue consorelle.

Esse si dirigevano verso la Kona ove li attendeva l’indimenticabile Padre Capparelli assieme al fedelissimo Benito Fabbricatore (i bëri Mindìut) e al canto di Djta Jote iniziavano le lodi al santo e la funzione religiosa.

Non so se oggi questa tradizione si ripete o è stata accantonata come tante altre, ma l’entusiasmo e la convinzione che queste donne avevano sono rimaste radicate nei valori e nella credenza che i Sofioti hanno nei confronti di Sant’Atanasio.

Mi auspico che quest’anno rimangano fuori dalla chiesa gli inni e le lodi da stadio che il saggio Archimandrita Giovanni Capparelli ha sempre rifiutato e richiamato la popolazione intera a non esternare all’interno del sacro perimetro, dove esortava tutti a cantare gli inni religiosi e BASTA!

Mi rivolgo alla Commissione, affinché questa FESTA conservi gli opportuni caratteri religiosi, con l’auspicio che gli insegnamenti del saggio Padre Capparelli non vadano calpestati da chi non lo ha adeguatamente conosciuto e probabilmente ignora,  un gioiello  Sofiota irripetibile.

Sicuramente anche quest’anno si snoderanno le consuete processioni verso la Kona e poi all’Ottava per le vie del paese, assieme uniti e rispettosi del nostro grande ed amato Sant’Atanasio, capace di unire tutti i sofioti il giorno del 2 di Maggio nella ideale processione dove o con la presenza fisica, o col cuore o con i ricordi ognuno partecipa a questa corale e antica credenza sofiota.

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STANDARD…….. MA COSA?

Posted on 21 ottobre 2010 by admin

Leggendo questo passo di Norman Douglas, nel volume Vecchia Calabria del 1915 riflettevo su cosa sia cambiato da allora ad oggi, se in meglio o in peggio.

“ La prima impres­sione del visitatore è di un abbandono peggiore di quello che si vede in Oriente. Non c’è soltanto disor­dine alla periferia: è un caos deliberato e sinistro Continue Reading

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