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LA STORIA SECONDO LA DISPOSIZIONE DELLE PIETRE ARBËRESHË

LA STORIA SECONDO LA DISPOSIZIONE DELLE PIETRE ARBËRESHË

Posted on 16 ottobre 2016 by admin

la-storia-secondo-la-disposizione-delle-pietre-arberesheNAPOLI (di Atanasio Pizzi) – La storia dell’edificato “detto minore”, se osservato attraverso le trame degli elevati murari (benetë) racconta dei riti e le consuetudini degli uomini che li hanno elevati per fare famiglia.

Diversi studiosi hanno scrutato la genesi e gli aspetti socio/culturali che accompagnano le trame edificatorie dal XV secolo, riferendo esclusivamente di medi e grandi sistemi urbani, tralasciando quelli minori perché quantitativi e non qualitativi, anche se proprio la quantità in questi modelli abitativi è stata fondamentale per la crescita economica, in quanto, ha contribuito a rendere meno dure le vicissitudini di ben identificati intervalli della storia meridionale.

Tutti i centri detti minori, sono accumunati da una costante che ritiene pressoché sconosciute le arti e soprattutto l’architettura che diversamente ha come guida la consuetudine per tessere trame murarie urbane e campestri dettate dalla ricerca dell’antico gruppo familiare allargato.

L’edilizia del XV secolo, non ha come punto di forza la qualità o robustezza degli elevati murari, anzi nella maggior parte dei casi difettava anche nelle costruzioni più solide come torri, palazzi nobiliari o le chiese.

Alla fragilità degli edifici in oltre va associato anche la natura geologica del suolo, quest’ultima dava origine a instabilità per la permanenza in un determinato luogo,

Per questo molte popolazioni furono costrette a rivedere gli ambiti di stazionamento e crescita, come ad esempio l’abbandono di Pedalati da parte dei suoi abitanti che nel 1535 che si unirono ai fratelli di Santa Sofia Terra per l’instabilità della faglia che si estende in quel luogo; questo caso come in molti altri odierni centri urbani, si possono ritenere come “luoghi della focalizzazione territoriale”.

Il terremoto del 1638 per la lettura degli elevati murari traccia un confine ben preciso, in quanto, si possono distinguere chiaramente le murature realizzate prima e dopo questa data.

Gli effetti del disastroso sisma del 1638 suggerivano soluzioni più sicure in aperta campagna, per questa ragione che, dal XVII secolo, l’arte del costruire inizia a essere patrimonio culturale più diffuso, fino al punto che, si moltiplicano gli edifici con più di un piano e muri in comunione, che nei centri abitati minori si traduce concretamente nel fare economia di materiali e nel contempo, consolidare le unioni interfamiliari.

Nella costruzione o l’allargamento di una nuova casa i materiali è opera della famiglia che fornisce ai mastri muratori calce, mattoni, legnami e Kiaramide oltre il materiale lapideo proveniente dalle le cave di pietra e la sabbia dalle cave naturali di sabbia “parereth” la famiglia è interamente coinvolta, sino a quando la fabbrica è terminata..

L’interazione tra manualità e architettura conduce a unità di misura in cui il corpo umano nella sua essenza strutturale, oltre che l’esperienza, assume il ruolo di guida essenziale.

La totale assenza di macchinari per costruire induce a unità di misura come i “palmi”e le“dita” infatti, i maestri muratori realizzavano muri che si sviluppava nel suo elevato con tre palmi nella parte delle fondazioni e due palmi e mezzo, meno due dita nella parte più estrema.

Le parti edilizie strutturali riportano al corpo umano, l’apparato fondale sono indicati come pedamento significando con ciò una visione semplificata del mondo esterno, che si specchia nelle forme rudimentali delle case.

Ma anche il prospetto principale delle dimore con la posta, le finestre, i balconi e i lucernai del sottotetto assumono forme che riportano a sembianze umane

Le costruzioni sono il prodotto della capacità di adattarsi sul territorio delle maestranze, per questo l’arte edilizia minore racchiude un misto, di legno, di mattoni interi, blocchetti squadrati, sassi informi, ma anche di frammenti di mattoni, tegole e pietre di risulta, questi materiali creano un ambiente urbano anomalo la cui regola è la non regola.

Solo dopo il terremoto del 1783, in questi ambiti giunsero le prime imposizioni costruttive che imponevano una serie di regole strutturali e urbanistiche.

Nel terremoto del 1783 nonostante le gravi distruzioni, a Roggiano Gravina, le abitazioni, una affiancata all’altra, rimasero illese e i danni più gravi si ebbero nei piccoli edifici in muratura, vecchi, mal costruiti e privi di fondazioni.

La tecnica dei paramenti murari “the civuet”, caratterizzerà buona parte della produzione architettonica dopo il terremoto del 1638 calabrese sino alla prima metà del XIX secolo,

Il modulo abitativo ha generalmente forma quadrangolare allungata e l’articolazione delle famiglie, che si amplia di generazione in generazione, nonostante la crescita del nucleo edilizio originario  non eccedere dal modulo originario di base.

Pertanto, la semplicità dell’architettura popolare si complica in una sorta di casba della necessità; volumi sovrapposti per successione ereditaria, divisa in unità abitative, da avvio all’utilizzo delle scale indipendenti, “balaturj” elemento architettonico diffusissimo dalla fine del XVII secolo.

Nascono le cosiddette gjitonie in cui si ricercano i legami dell’antico gruppo familiare, regola consuetudinaria per la quale si tengono uniti, attraverso la contiguità edilizia dell’abitare, i nuclei familiari e le ramificazioni sul modello della famiglia allargata di cultura Balcana.

Si risiede the rhueth, le stradine urbane, riproponendo le particolari condizioni orografiche e morfologiche delle colline albanesi.

Le origini dei paesi detti minori hanno come analogie i sassi materani, in quanto, gli operosi agricoltori, ricavarono le loro dimore primordiali in grotte o anfratti naturali, i quali davanti all’uscio trovano lo spazio in comune con le altre famiglie che seguono la stessa scalata senza prevaricazioni o scale sociali.

Edificati che nascono avendo come riferimento spirituale la chiesa, un convento oltre agli aspetti materiali/climatici, fonti naturali, corsi torrentizi e una posizione altimetrica idonea a difendersi dalle insidie delle paludi di valle.

I moduli abitativi si succedono e coesistono, scavati e costruiti prima nella roccia, in origine un luogo più che una casa, il cui naturale adeguamento inizia con “pedamendeth” che partono dal pianoro realizzato nel corso della permanenza luogo, che poi diviene certezza elevato murario tetto e quindi, abitazione/casa.

Case realizzate, come le chiese, i conventi, i trappeti e i mulini, con pietre alettate una all’altra con calce e sabbia, senza mai allontanarsi da “pòshëti”, l’antico pianoro, che contribuisce a formare la tipologia edilizia; i muri confini comuni, segnano il territorio e confermano la solidità del posto e da luogo di passaggio divengono luogo di case, il luogo della permanenza; case.

Non si fa errore riferire che il condizionamento dei materiali locali, gli atteggiamenti consuetudinari hanno come prodotto finale il volume abitativo tipico.

Se si tiene conto che “shpia”, ha il significato di costruire famiglia, si può ben immaginare quale sia l’importanza di un tetto stabile dal punto di vista sociale piuttosto che da quello meramente architettonico.

La qualità costruttiva della casa è strettamente connessa al bisogno, di produrre economia e cultura, che si traduce nelle equazioni che lega il nomadismo al legno e la stanzialità alla pietra, comunque entrambi, legno e pietra legano in maniera diversa il rimanere stabile dell’uomo in relazione a un luogo.

Sino al XIII secolo si registra un grande utilizzo di materiali deperibili, fragili, scarsamente resistenti, in primo luogo il legno e i pisé, dopo di che i materiali e le tecniche dell’architettura rurale iniziano a cambiare progressivamente affermandosi la tendenza a utilizzare componenti più resistenti all’azione del tempo, come la pietra e il laterizio, di origine bizantina.

Ma è solo dopo la parentesi sveva, che piccoli centri abitati si sviluppano intorno ad originarie presenze basiliane, minuscoli agglomerati di case sorgono in prossimità di sorgive, chiesa o conventi; la forma dell’abitato corrisponde ai legami sociali e alla consuetudine di origine.

I rioni che si sviluppano non hanno vere è proprie piazze che vengono compensate dalla compenetrazione tra spazi pubblici e spazi privati, di cui “valj” rappresenta la corte a gruppi di edifici, una vera e propria piazza circoscritta, abbracciata da corpi di fabbrica.

È certo che queste forme di aggregazione urbana, sono una derivazione di tipologie insediative divulgate secondo le esigenze dell’epoca e per questo realizzate dalle stesse maestranze che nella stagione di attesa per le attività agropastorali vede trasformare gli stessi contadini e pastori in manovali e muratori.

Le opportunità che offrono i rioni sono due: il primo riguarda la possibilità, offerta dagli spazi aperti propri della campagna, di realizzare forme libere senza la necessità di adattamenti alla geomorfologia digradante degli angusti ambiti urbani; il secondo è determinato dalla funzione essenzialmente produttiva dell’edificio costruito nei fondi rustici e dalla conseguente necessità di adottare speciali misure di protezione, che hanno come esito formale murature esterne più regolari.

“Il luogo delle case da certezze alla famiglia che per gli albanofoni è l’elemento fondamentale a cui affidare il proseguimento della specie, continuità di riti consuetudini e religione trincerata non nella scrittura di capitoli segreti ma nella promessa fatta in una forma orale che è esclusivamente nelle disponibilità dei soli addetti”

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