Archive | luglio, 2016

RECUPERATO L’ARCHIVIO DEL COLLEGIO DI SANT’ADRIANO

RECUPERATO L’ARCHIVIO DEL COLLEGIO DI SANT’ADRIANO

Posted on 29 luglio 2016 by admin

Archivio collegioSAN DEMETRIO CORONE (di Adriano Mazziotti) – I lavori di recupero e riqualificazione, che hanno interessato lo storico e secolare Collegio di Sant’Adriano, incluse l’attigua palazzina dell’ex rettore e l’aria rurale circostante trasformata in  “Parco Sant’Adriano”, hanno riguardato anche il notevole patrimonio archivistico dell’ex Convitto.

Il riordino e l’inventario  dei documenti d’archivio, iniziati  e conclusi nel 2015 con fondi  regionali,  sono  stati realizzati da Maria Francesca Solano, (referente del prof. Pietro De Leo, già docente di storia medioevale all’ Unical, coordinatore dei lavori),  Bellucci Maria Carmela, Bua Carmela, Torchia Giovanna, e dai volontari Pignataro Francesco e Rumanò Francesca, scelti dal Comune.

Il materiale inventariato consta di lettere del poeta De Rada e su di lui; quattro tavole paleografiche in greco, decreti regi, documenti storici, elenchi dei collegiali, del personale docente e dei dipendenti, documenti sulle proprietà feudali, registri di contratti e dei censi della badia di Sant’Adriano, antologie, riviste. Il patrimonio archivistico, tra non molto anche in rete, come ha ricordato il presidente del consiglio di amministrazione del collegio, il senatore Cesare Marini, sarà a disposizione di quanti si interessano alla ricerca storica non solo del Collegio di S. Demetrio C.  ma di tutta la regione.

L’antica biblioteca del Collegio, invece, consta di quattromilaseicento testi distinti in due elenchi di catalogazione preesistente: il Fondo antico e il Fondo moderno. Tra essi anche alcune edizioni Aldine, un volume di geografia astronomica del 1400 e altri che risalgono al 1600 e 1700, purtroppo difficili da consultare in quanto danneggiati dall’umidità, mentre alcuni sono privi di copertina o  rilegatura.

Istituita nel 1794 su iniziativa del monsignore Francesco Bugliari, primo vescovo presidente del reale Collegio Italo-greco di Sant’Adriano che subentrò alla antica badia fondata da S. Nilo, la vecchia biblioteca dell’ istituto si sostanziava di testi della ex badia, di libri provenienti dalla biblioteca privata del Bugliari, del collegio Corsini di S. Benedetto Ullano,  sede originaria dell’ istituto, e di volumi provenienti da donazioni private.

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GRECI - KATUNDI  “La Consuetudine Arbëreshë letta attraverso i materiali del Costruito Storico”

GRECI – KATUNDI “La Consuetudine Arbëreshë letta attraverso i materiali del Costruito Storico”

Posted on 16 luglio 2016 by admin

KALJVA1AVELLINO (di Atanasio Pizzi) – Greci è un agglomerato urbano in provincia di Avellino, allocato nei pressi di un antico tratturo che corre lungo la dorsale del fiume Cervaro e a ridosso delle paludi Sipontine con i Monti Dauni e l’Irpinia

Menzionato dopo il 535, come presumibilmente fondato a seguito della spedizione nell’Italia Meridionale dal generale Belisario, per volere dell’imperatore di Costantinopoli, Giustiniano.

Adagiato sul fianco a Nord della valle del Bovino, il centro fu distrutto dai Saraceni nel 908 e riedificato nel 1039 per concessione del principe di Benevento, (sempre con il nome di Greci).

La sua posizione di cerniera tra le regioni di Abruzzo, Puglia e Campania, gli consentì di assumere un ruolo commerciale di rilevanza storica.

Il 14 agosto del 1461, a seguito della battaglia di Orsara, in località Terrastrutta nelle vicinanze di Greci, il condottiero Giorgio Castriota, comunemente appellato Skanderbeg, lasciò una guarnigione di soldati arbanon.

L’insediamento degli albanofoni nel paese di Greci, ebbe modo di coagularsi tra il 1471 e il 1535, ed è in questo intervallo che nuovi profughi si aggiunsero ai primi, dando inizio ai processi di confronto con le genti indigene, instaurando definitivamente il legame con il territorio parallelo ritrovato.

L’elemento pregnante per gli esuli in cerca di una nuova terra divenne il modulo abitativo, Kaljva, realizzato con materiali reperiti in loco, garantendosi così, un rifugio/sostegno logistico per le attività agro silvo pastorali di cui gli esuli arbanon avevano una consolidata esperienza.

All’interno del perimetro storico, oggi si elevano con tanta caparbietà strutturale, validi esempi nella forma originaria, anche se contaminate dall’utilizzo di materiali alloctoni, conservano l’antico sistema distributivo e la volumetria originaria.

Gli arbëreshë  non avendo mai avuto alcuna forma scritta, importarono sotto forma di memoria, un ricco patrimonio consuetudinario, le solide regole del Kanun, il rito greco-ortodosso , l’idioma e la metrica canora.

Questi ultimi rappresentava il mezzo con cui tramandare la propria identità storica, per questo motivo, si trincerava in maniera indelebile il rigido protocollo arbëreshë, così posto esclusivamente nelle disposizioni dei parlanti.

Questa è la ragione per la quale si commette errore nel porre nelle disponibilità d’inconsapevoli e ignari studiosi alloctoni le caratteristiche sociali, storiche e linguistiche, della minoranza;oltretutto per i ricorsi storici degli ultimi sei secoli, si sono dissociate dalla china presa nella madre patria, che ha seguito cadenze di latitudini e culture diametralmente opposte.

La cittadina di Greci nata all’interno di una macro area albanofona, extra-regionale, rimane l’unico agglomerato a detenere l’antico modello sociale/linguistico Arbëreshë in Campania; il modello urbanistico e architettonico va tutelato con garbo e intelligenza, affinché il tesoro vivo all’interno del suo costruito storico non vada perso nell’inconsapevolezza generale.

A tal proposito, è bene rilevare che è fondamentale salvaguardare non solo l’idioma, i riti della consuetudine, la religione, greco bizantina, ma sopratutto i luoghi fisici attraversati, gli spazi vissuti e quelli costruiti dal popolo Albanofono.

Il legislatore europeo e quello italiano, a tal proposito individuano queste macro aree, come luoghi di beni materiali ed immateriali, irripetibili e per questo intervengono con leggi e normative maturate in decenni di esperienze.

Lo scrivente avendo come obiettivo lo studio di tutta l’area del meridione, dove hanno trovato dimora gli Arbëreshë, ha suddiviso i comprensori dove ricadono i paesi di origine albanofona in macro aree e tutte assieme sono state identificate come “Regione storica Arbëreshë”, quella riferita a Greci rientra nella Provincia di Avellino e Benevento.

Un altro dato interessante si può estrapolare analizzando le dinamiche urbanistico abitative attraverso le quali lgli albanofoni prima ricercavano e poi organizzavano gli spazi d’insediamento.

La lettura planimetrica di greci, conferma la regola che caratterizza tutti i centri del meridione d’Italia nati tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo.

I centri abitati arbëreshë, innalzati in questo intervallo storico, sono stati ritenuti simili o identici al costruito di quelli abitati e vissuti dalle genti indigene, questo è “un gravissimo errore d’analisi” che non tiene conto di un dato fondamentale, ovvero, se una lingua antica come quella arbëreshë dopo oltre cinque secoli si riverbera identicamente in queste latitudini, un contenitore fisico, che ha dato linfa alle caratteristiche sociali, al credo religioso e alla  consuetudine, esiste e va individuato.

Per quanto detto qui di seguito si vogliono fornire elementi a questo stato di fatto, fornendo caratteristiche secondo uno “schema” riconducibile a uomini, luoghi e tempo.

Le note più evidenti sono riassunte nelle direttive che trovano caratterizzazione nel Sociale, nella Religioe, l’Orografia, la Salubrità, la Difesa, la Toponomastica.

Gli agglomerati urbani delle due province cinquecentesche Avellino e Benevento del principato ultra, (oggi sono tre, Avellino, Benevento, Foggia), applicano le stesse regole, nei Comuni di arbëreshë di altre macro aree.

Il percorso per la definizione degli spazi urbani, avviene sempre secondo consolidati protocolli di attuazione; assicurata la salubrità dei luoghi di residenza, confermate le costanti dei sistemi urbani, comparati gli ambiti paralleli e di difesa, gli arbëreshë pongono a dimora le tipologie urbane ancora presenti su tutto il territorio della R.s.A..

Per quanto attiene l’aspetto sociale, nel periodo che va dal XV/XVI secolo, data di arrivo degli albanofoni, sino al XXI secolo, gli esuli lentamente si dissociano dal modello familiare allargato, per quello urbano, oggi, vive il modello metropolitano o della multimedialità, mantenendo sempre vivo l’attaccamento degli ambiti familiari natii.

Se il primo passaggio avviene in tempi e modalità che durano per quasi cinque secoli, infatti ha tenuto banco sino agli anni cinquanta del secolo scorso

L’evoluzione del modello sociale sub urbano avviene lentamente e rispondere alle esigenze sociali dettate dalla storia; la famiglia allargata si adatta alla connotazione di famiglia urbana, realizza i primi isolati (manxane), seguendo schemi che sono funzione indissolubile dei rapporti sociali e degli ambiti vissuti, generati rigorosamente dai presupposti di parentela che poi sono riconoscibili nei toponimi e nella Gjitonia o Kànà uno spazio non fisico, circoscritto dalla frase “dove vedo e dove sento”.

Uno spazio che ha origine dal tepore del focolare, si espande con cerchi concentrici negli sheshi si estende lungo le ruhat all’interno delle manxane, sino a giungere negli angoli più reconditi delle macroaree.

I profughi albanesi giunti nel meridione italiano, seguono un percorso sociale per la formazione dei centri storici dissimile, anzi oserei dire contrario, a quello dei paesi realizzate dalle genti indigene; gli agglomerati urbani diffusi per la consuetudine dei gruppi familiari allargati, fortemente coesi, si attua attraverso un sistema policentrico diversamente da quello indigeno che è monocentrico.

Per circa sei secoli, gli albanofoni vivono e si confrontano con le realtà contigue rimanendo solidamente abbarbicati al loro idioma e la consuetudine, avendo come unità abitativa prima le Kalive, poi lo sviluppo altimetrico del lotto, con la definizione dei confino segnati con le tipiche rotondità murarie, in seguito dopo circa due secoli più integrati con il territorio utilizzano modelli più evoluto a due livelli.

Esaminando nel dettaglio il borgo di Greci, il centro storico pur se rimaneggiato, conserva l’originario assetto planimetrico, escludendo le aree d’espansione a Nord- Ovest in cui episodi isolati per le dimensioni, possono facilmente essere estrusi.

La toponomastica ha come riferimento Bregù, in albanese promontorio, infatti, proprio qui gli esuli albanesi edificarono le prime Kaljve, anche se il centro nevralgico era quello più prossimo alle due chiese denominato Katundi, che poi è rimasto nella memoria grecese per indicare l’intero paese.

L’abitato di Greci è caratterizzato da toponimi, quali: Bregu, Katundi, Sheshi, Kikutë, Kastiegli, Kisha Bartolomeuth, Pili, Fisha, Ghama Shpotit, Mali, Vreshtë, Shkembi, Rëshkalatat, Shelqi, Proigas.

Questi devono essere legati all’esclusivo utilizzo delle fontane e il ruolo delle chiese che sin dalla sua origine in epoca bizantina è stato fondamentale.

Allo stato per confermare quanto detto va realizzato uno studio d’ambito mirato, attraverso il quale si possa identificare in maniera inequivocabile lo sviluppo di: Rhuat, Hudet Rioni, Sheshi e kroieth attraverso le quali e i quali ricostruire il percorso evolutivo dell’insediamento.

La metodica di analisi parte dall’analisi dei materiali per la messa in opera dei paramenti verticali, orizzontali e inclinati o attraverso, l’utilizzo dei materiali di spogliatura avendo come riferimento temporale, eventi sismici e calamità naturali.

Appare evidente che allo stato valorizzare le Kaljve, e uno dei tanti episodi di emergenza in quanto da difendere è anche l’antica trama urbana, che andrebbe comparata con quelle realizzate in altre macroaree del meridione italiano.

Il fine cui si vuole arrivare è quello di trovare il modulo e il modello del costruito storico in cui l’immateriale arbëreshë è riuscita a vivere nonostante le mille avversità che le hanno soffiato contro; rendere così un servigio alla popolazione di minoranza, (ç‘shohin e gjegjin) e contrastare l’avanzare dell’impetuoso processo noto come globalizzazione, che appiattisce e offusca ogni cosa.

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