Archive | gennaio, 2014

QUALE RECUPERO DELLA TRADIZIONE?

Posted on 25 gennaio 2014 by admin

ConseguenzaNAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Conseguentemente ai palesi, ma non ancora del tutto redenti, errori nell’utilizzare in modo improprio il patrimonio minoritario, si cerca di rime­diare ripiegando l’interesse verso proposte all’insegna del recupero della tradizione.

Due termini antitetici di cui a ben vedere: il Recuperare, esprime le gesta del rivitalizzare, rimettere in funzione o semplicemente rispolverare ciò che è stato dismesso; la Tradizione invece è il filo ininterrotto che unisce le conoscenze al passato, senza soluzioni di continuità.

Come si può recuperare la continuità storica, se coloro che la devono salvaguardare, non sanno riconoscere le azioni delle esperienze tramandate dissociandole dalle aliene contaminazioni?

Il recupero, segna il cambio di tendenza e di gusto individuabili nel:

–          Determinarsi di una nuova etnia che è interessata non più a sé stessa, ma al fenomeno;

–          Deter­minarsi di un nuovo concetto di storia distaccata dal passato e che traccia il trapasso da storia-racconto a storia-problema;

–          svilupparsi dei nuovi processi sociali legati alle innovazioni tecnologiche.

Ora, mentre l’ultimo punto è senz’altro chiaro, molti più dettagli occorrono per comprendere gli altri due.

Il termine tradizione deriva dal latino e significa consegna di una cosa ad altri, e quindi anche trasmissione attraverso il tempo di nozio­ni e ricordi, in forma raccontata e vissuta, come avviene per le minoranze nel meridione.

La consegna di un’eredità consuetudinaria, come nel caso degli arbëreshë, implica, la contemporanea pre­senza di chi riceve e chi da; il racconto orale, non può avveni­re altrimenti, che con la partecipazione all’azione vivendola e raccogliendone tutti gli aspetti caratterizzanti.

Chi narra è sullo stesso piano di chi ascolta: entrambi usano lo stesso linguaggio, entrambi partecipano al fatto, entrambi possono provare e riprovare ciò che hanno appreso perché i mezzi, le gesta e il fine a loro disposizione è comune.

Questo indica palesemente quali siano stati i precursori principali, del secolo scorso, che hanno dato avvio al processo di degrado del modello sociale legato alla consuetudine.

La tradizione, allora, implica contatto diretto tra chi tramanda e chi apprende il processo, affinché vada a buon fine, richiede che le due sfere coinvolte appartengano all’etnia, parlino la stessa lingua e abbiano cognizione dei dettami di patrimonio.

La tradizione non è altro che la trasmissione dell’espe­rienza, vincolata a regole ferree, per cui l’attendibilità del messag­gio e regolata dall’appartenenza del comunicatore e dell’ascoltatore, il buon fine delle consegne da tramandare, avviene se il maestro che trasmette il messaggio e l’allievo che ascolta si prefiggono comuni intenti.

Appare evidente che il sapere ha una diffusione lineare, da padre in figlio, senza intromissioni o ricerche di conferme è cosa ben diversa lo sperimentare, che per aver valore, ha bisogno di essere condivisa perché non è attendibile.

Stando a queste inconfutabili interpretazioni, la tradizione ha avuto una prima aggressione proprio dalla diffusa sperimentazione, legato, poi, al discorso della divulgazione che è racchiuso nella seconda affermazione; il passaggio da storia-racconto a storia-problema.

Il passaggio dell’esperienza all’esperimento implica anche un largo coinvolgimento di soggetti ammessi a parteci­pare alla narrazione attraverso il racconto scritto, in cui tutti possono prendere parte al  evento di sperimentazione, non come attori, ma come spettatori e quindi l’idea moderna di storia basata sull’oggettività del fatto.

E per rag­giungere tale livello di obiettività è necessario presupporre un distacco dall’evento descritto, una non partecipazione a esso.

La trasmissione di questi saperi sono per lo storico come dei fenomeni, con la nuova idea di storia, non interessano la cose, ma gli effetti.

La storia continua a esser fatta di racconti, ma l’oggetto della narrazione non è più l’evento vissuto in prima persona, piuttosto è il fatto, il documento.

La storia è la forma scientifica di memo­ria collettiva, ciò vuol dire, che una cosa è il dato materiale, un’altra è il racconto che scien­tificamente è redatto per produrre testimonianza imperitura.

Va oltremodo affermato che il passaggio di consegne da una generazione a quella successiva avviene sia per gli ambiti materiali che per quelli immateriali, due aspetti inscindibili e univocamente commessi gli uni dagli altri.

Stando a questo dato fondamentale, infatti, non avrebbe più senso parlare di conservazione del manufatto in senso generale o salvaguardarne il dato documentale o narrativo; tutela fisica del manufatto, ma anche adoperarsi a proteggere il dato, documentale.

Purtroppo riguardo queste condizione si cerca di ottenere molte notizie e riempire gli archivi, le biblioteche, con monumenti di carta, fotografie e incomprensibili prodotti scrittografici, prestando in questo modo il fianco ai restauri moder­ni utilizzando in maniera incauta, metodiche non in linea con le abitudini locali.

A che serve allora conservare il dato narrativo se poi il monumento, la strada o l’anfratto, sono oggetto delle più clamorose e anomale manomissioni?

Basti pensare ai restauri condotti durante tutti gli anni Ottanta con la sostituzione di parti degradate di edifici, con materiali seriali di produzione industriale, impiegati come panacea a qualunque tipo di causa ammalorante, producendo in questo modo la perdita di una moltitudine di soluzioni storiche e quindi anche della perdita del significato materico, architettonico  e strutturale.

Un esempio per tutti, che poi è quello più appariscente, s’individua nell’utilizzo dei nuovi intonaci derivati da sintesi industriale.

La diffusa pratica, ogni volta che si è intervenuto su di un manufatto, ha prodotto lo scarnificare degli strati d’into­naco a calce esistente, sostituiti con intonaci cementizi, con la relativa stesura superiore di tinte al quarzo o ai sili­cati, provocando danni irreparabili alla stessa statica degli edifici, in quanto l’alieno strato di intonaco non ha permesso alla muratura sottostante l’idonea traspirazione, di conseguenza, l’umidità in esso contenuta ha dato avvio al processo di ammaloramento del nuovo intonaco e il distacco della pellicola di pigmento.

Gli esempi messi a frutto negli ultimi decenni sono tanti e molte volte hanno messo a rischio la statica degli stessi edifici che in apparenza possono sembrare in ottimo stato, ma nelle parti più intime della statica e del loro valore storico sono stati gravemente compromessi.

La tendenza delle istituzioni e specialmente nel meridione, cerca di imporre modelli di nuova concezione che diano almeno conforto alla statica degli edifici storici, ma la piaga prodotta è troppo devastante, per cui si preferisce sottacere, augurandosi che non accada mai quello che hanno visto protagoniste le murature d’Abruzzo, nell’evento sismico del 2009 quando le nudità murarie orizzontali e verticali ha messo in evidenza quanta e quale incoscienza era stata operata in quegli ambiti.

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CI HA LASCIATO LO SPECIALISTA DELLA STORIA DELLE STRADE CHE MISE IN LUCE IL VALORE DELL’INGEGNERE ARBËRESHË LUIGI GIURA.

Posted on 20 gennaio 2014 by admin

Aldo Di BiasioNAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Il prof.Aldo Di Biasio ha pubblicato la prima parte del poderoso articolo sull’ultimo numero di “Storie di posta” con il concetto che: La rete stradale resta vincolata alle necessità e alle esigenze dei singoli Stati, ma l’inizio del Risorgimento, che data nel secondo Settecento, pone il problema dell’Unità italiana anche nella cartografia, benché per la verità gli atlanti abbiano sempre presentato l’Italia nei suoi confini naturali, purtroppo lo studio raffinato condotto in maniera esemplare rimarrà incompleto, poiché l’autore è scomparso prematuramente.

Specialista delle dinamiche sociali politiche e di rilancio economico che ha interessato la storia del meridione, con entusiasmo e puntigliosa professionalità, conosceva ogni piccolo dettaglio bibliografico e archivistico delle sue ricerche.

Da poco tempo in pensione, lavorava ininterrottamente al proseguimento, della storia dell’Ottocento, attraverso la questione meridionale, essendo un ottimo conoscitore del periodo napoleonico, studiava e approfondiva, attraverso l’utilizzo del territorio, la realizzazione e la fruibilità delle strade, gli aspetti politici e sociali che questi percorsi producevano allo sviluppo economico dell’Italia.

Orgoglioso di vivere a pochi passi dall’antica via Appia e dalla stazione di posta del Garigliano, oggi è l’area dove il primo il ponte a catenarie continua a collegare l’antico regno di Napoli con in resto dell’Italia e di cui il professore conosceva ogni piccolo dettaglio sia del ponte sia delle zone agricole ad esso adiacenti.

Autore di molti libri e pubblicazioni che riferiscono della storia del Mezzogiorno, attraverso la comunicazione, l’economia, l’amministrazione, l’agricoltura oltre alle dinamiche politiche che portarono alla realizzazione di strade e ferrovie.

In termini di crescita del nostro sapere, restano fondamentali per noi i numerosi riferimenti bibliografici che ci ha lasciato in eredità, un raffinato studioso, capace nei suoi interventi pubblici di ricordare i titoli e gli autori le pagine dei libri da cui elaborava le sue conclusioni, che arricchiva con innumerevoli e inediti aneddoti.

Sapeva essere severo al momento giusto, ma ciò che più lo caratterizzava era la sua innata capacità di analisi e di leale confronto che doveva camminare solamente nella strada della lealtà e del rispetto, sempre pronto ad aiutare e collaborare per la ricerca della verità storica di questa nostra nazione.

Professore associato di Storia moderna nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Napoli L’Orientale ha insegnato Storia d’Europa presso la Seconda Università Partenopea.

Gli studi da me condotti sul Luigi Giura mi hanno dato l’opportunità di conoscerlo nel giugno del 2010, da allora questo luminare senza eguali, mi ha dato la possibilità di reperire e confrontare materiale indispensabile per la storia della comunità albanofona.

Nato a Latina il 29 luglio 1947, ci ha lasciato materialmente la sera del due di gennaio, ma il suo sorriso, l’entusiasmo e la sua passione illumineranno sempre le strade dello sviluppo e della conoscenza, sicuri di averlo sempre al nostro fianco.

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Protetto: L’ARBERIA OGGI: DISCORSO SULLA SOSTENIBILITÀ ETNICA (nëng qëndroi faregjë)

Posted on 12 gennaio 2014 by admin

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Protetto: Le nuove città d’arberia???

Posted on 06 gennaio 2014 by admin

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