Posted on 29 gennaio 2016 by admin
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Posted on 24 gennaio 2016 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Gli ambiti naturali paralleli e i sistemi urbani diffusi, ricercati prima per essere poi edificati dagli esuli albanesi nelle colline dell’Italia meridionale, sono espressione del Genius Loci Arbëreshë.
La disamina degli ambiti attraversati segnati e vissuti dagli arbëreshë, non deve prescindere da aspetti fondamentali, senza i quali non è possibile fornire alcun tipo di certezza .
Per questo è bene ribadire che, oltre ad avere titoli ed esperienza adeguata ventennale, bisogna essere nati all’interno dei paesi albanofoni, cresciuti avendo come idioma primario l’arbëreshë e conoscere il consuetudinario ad esso riferibile negli aspetti più intimi e radicali.
Altrimenti, il ruolo cui si può ambire diventa marginale o complementare, inteso come contributo di mera segreteria, atta a recuperare materiale di archivi o bibliografico, senza avere consapevolezza del ruolo o la collocazione dell’essenza fornita.
Un altro aspetto fondamentale è conoscere il concetto di agglomerati diffuso o policentrico e i due termini, che con molta facilità sono usati in maniera inappropriata: il significato di“rione” e di “quartiere”; essi appartengono a scenari distinti che identificano rispettivamente: ambiti urbani, quindi aree che assumono configurazione diversa nel corso del tempo, mentre il secondo indica generalmente presidi militari rigidi, con i confini ermeticamente definiti.
In funzione di ciò il “rione” rientra negli assetti urbanistici dei modelli urbani diffusi, mentre il “quartiere” è da ritenere estraneo ai sistemi storici del costruito arbëreshë.
Gli aspetti tecnici sono un elemento imprescindibile nell’analisi urbana dei componimenti nati a seguito delle migrazioni del XV secolo, allo scopo, occorre avere ben chiaro ogni piccolo aspetto che si va ad analizzare, evitando di associarli o ritenerli simili a quelli nati durante il medio evo o di altre epoche più remote.
Gli agglomerati urbani espressione del consuetudinario arbëreshë, realizzati sul territorio della provincia citeriore calabrese, sono depositati lungo una fascia, identificata come: “Isoglossa Sanseverinense”.
Essa è il risultato cui si è giunto sovrapponendo un insieme di layer cartografici, con l’ausilio di planimetrie storiche, uso del suolo, individuazione degli agglomerati urbani, percorsi viari, percorsi fluviali, traccia delle aree di salubrità ambientale.
Gli elementi opportunamente messi a confronto, consentono di ottenere certezze per le quali i siti d’insediamento furono individuati seguendo un rigido disciplinare, il cui risultato garantiva parametri abitativi e strategici; connubio ideale tra uomo, ambiti naturali e clima.
Caratteristiche che si ritrovano anche nelle note storiche delle cartografie Aragonesi, risalenti al VX secolo, nelle quali esiste un’approfondita descrizione per la definizione degli ambiti costruiti e non costruiti.
Il tracciato ideale trova conferma nelle abitudini storiche delle genti che vissero le terre bagnate dall’Adriatico, identificate come preferite anche nel libro settimo di Aristotele.
Queste notizie sono molto utili per comprendere quali siano state le scelte per le quali i paesi di origine albanofona, hanno avuto modo per svilupparsi senza nulla rilevare dagli elevati contigui più antichi e abitati dagli indigeni.
Dopo un periodo di nomadismo protrattosi oltre mezzo secolo, (1470-1535) i miseri esuli, non avevano riconosciuto alcun privilegio, ma a seguito della stipula di regolari atti di sottomissione, s’impegnarono a ripopolare casali disabitati e rassodare i territori di pertinenza.
Gli atti sottoscritti erano fondamentali per i casati calabresi, i quali nelle vendite dei possedimenti per il valore aggiunto, garantito con la presenza degli esuli, faceva lievitare il costo, questo creò una grande speculazione, che i principi di Bisignano misero in atto visto l’indebitamento nei confronti di finanziatori ispanici, offrendo assieme al possedimento anche l’acquisizione de l titolo nobiliare riferibile a quel territorio, il che rappresentava anche un lasciapassare per accedere a pieno titolo agli appuntamenti della corte Napoletana.
Tutto quanto anzidetto per i poveri esuli si traduceva nel essere sottoposti a insostenibili gabelle che dovevano sostenere la filiera burocratica dell’epoca rinunciando così a ogni benessere, pur se era riconosciuta la possibilità di edificare manufatti in muratura oltre ad avere i privilegi di trasferire alle discendenze quanto di materiale nella loro disposizione.
Il dato produce un duplice effetto all’interno degli ambiti urbani costituiti da albanofoni; da una parte una ribellione diffusa che porta alle regie diffide del 1562 e dall’altra la scissione dei gruppi familiari allargati i quali sono costretti a lavorare presso gli assegnatari di grossi possedimenti.
È così che si crea un nuovo modello sociale che segue due binari paralleli; uno che ricalca gli aspetti economici delle genti autoctone, e l’altro sociale che rimanere abbarbicato alle consuetudini, barricato e difeso dal modello linguistico, consuetudinario e religioso.
È in questo periodo che il modello sociale, importato dalla terra di origine, denominato, Ligjia assume una nuova connotazione, che impropriamente tradotto da esperimenti a dir poco approssimati, frettolosi, acerbi e discutibili, riassunsero nel Vicinato.
Esso impropriamente tradotto in Gjitonia, “dove vedo e dove sento”, assume un significato molto più ampio rispetto al semplice modello materico e di scambio, assegnatogli, in fatti (ku shohg e ku ndienj) se compreso in arbëreshë assume un significato a largo spettro, molto più intimo, perché avvolge dentro di se la magica espansione dei cinque sensi.
Non focalizzata la fondamentale definizione, si è giunto a una rappresentazione impropria del modello social/consuetudinario, legando la gjitonia a una strada o a una piazza, al pari del “vicinato” dei centri abitati indigeni, che in Calabria come in tutto il bacino del mediterraneo è largamente attuato, dalle classi meno abbienti.
La gjitonia assume una valenza sociale che se analizzata con le dovute conoscenze percorrendo un itinerario dissimile dal concetto di vicinato dei paesi indigeni, questi ultimi nascono come punti di unione eterogenea del territorio regionale, attraverso il quale, attivava protocolli di mutua convivenza e soccorso, uno stato di fatto, riconducibile a tutto il bacino del mediterraneo.
Per i profughi albanesi giunti nel meridione italiano dal 1471 al 1534, il processo segue un percorso molto diverso in quanto gli agglomerati urbani diffusi si attuano con l’insediamento di gruppo familiari allargati, fortemente coesi, quindi il processo attua secondo una percorso trasversale o addirittura contrario.
Per circa un secolo, gli albanofoni vivono e si confrontano con le realtà contigue sviluppando i loro centri secondo le città policentriche, avendo come unità abitativa le Kalive, a esclusione di una ristretta cerchia di addetti, perché proprietari di mulini e trappeti che vivevano un modello abitativo più evoluto e a due livelli, ma che avevano già perso il riferimento familiare allargato.
La caratteristica fondamentale degli agglomerati Albanofoni, diversamente da quelli indigeni mediterranei, si distingue proprio per la caratteristica ricerca parentale dall’antico nucleo della famiglia allargata, tendenzialmente accolgono le direttive dell’urbanistica grecanica, identificabile nell’allocare gli accessi delle abitazioni sulle strette vie secondarie, Ruhat e con molta diffidenza nel tardo periodo in quelle principali Uhdat.
Per quanto riferibile al concetto di famiglia, nel periodo che va dal XVII sino al XXI secolo, gli esuli lentamente si dissociano dal modello allargato, per quello urbano e in seguito, in tempi più recenti, vive il modello della multimedialità.
Commenti disabilitati su GJITONIA È UN COSTUME, IL VICINATO UN VESTITO “Ku Shohg e Ku Ndienj i veshësur Karnival”
Posted on 21 gennaio 2016 by admin
BARILE (di Lorenzo Zolfo) -Il 50° anniversario della Fondazione della Pro Loco di Barile, sarà festeggiato con un ambito premio, da ritirarein campidoglio per conto dall’UNPLI (Unione Nazionale delle pro-loco d’Italia), con menzione speciale, “Salva la tua lingua locale”.
Soddisfatti i circa 60 soci della pro-loco barilese:” per l’importante progetto messo in campo per la salvaguardia del patrimonio immateriale!”.
Questo premio verrà ritirato il prossimo 22 gennaio al Campidoglio in Roma, riconoscimento che fa onore al centro arbëreshë, noto la cultura e per lae caratteristiche uniche del suo vino, il centro dove si parla ancora l’albanese e vivono tanti emigrati dall’Albania, pienamente inseriti come tradizione vuole.
Un centro noto anche perche fu il teatro a cielo aperto utilizzato nel 1964 del noto regista Pier Paolo Pasolini per le riprese più salienti del suo film: “Il Vangelo secondo Matteo”.
Per questo ed altri aspetti caratteristici alcuni mesi or sono, la pro-loco ha deciso di pubblicare una nuova Brochure Turistico-Culturale intitolata ” Barile, Storia, Tradizioni e Culture”.
Una raccolta di notizie della storia del paese in cui si evidenziano le note caratteristiche delle tradizioni etno-linguistiche arbëreshë, fondata da colonie di greci-albanesi giunte dal 1477 al 1675, immagini e trafiletti delle Chiese, dei Monumenti, la Fontana dello Steccato costruita nel 1713 da un nobile albanese, i Portali, i numerosi Palazzi, oltre alle tipiche Kalive oggi utilizzate come cantine dalle quali e per le quali si riesce a caratterizzare il buon vino Vulturese.
In oltre un’ampia pagina della Via Crucis del venerdì santo, la più antica manifestazione del Sud Italia, le cui origini risalgono al 1600.
Commenti disabilitati su CAMPIDOGLIO PREMIO “SALVA LA TUA LINGUA LOCALE”ALLA PRO-LOCO DEL CENTRO ARBERESHE DI BARILE (PZ).
Posted on 20 gennaio 2016 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – I centri abitati in origine identificati come borghi, terre e casali di pertinenza arbëreshë, innalzati dal XVI secolo, sono ritenuti simili al costruito storico di quelli più antichi dalle genti indigene.
Questo è un errore di valutazione cui bisogna dare una risposta esatta, in quanto, l’ERRORE DI ANALISI è un frutto acerbo prodotto da una pianta anomala, le cui radici non sono state innestate nelle fonti storiche riferite al territorio, al sociale, all’economia e alla politica strettamente riferita alle epoche d’insediamento e sviluppo degli esuli.
I percorsi qui di seguito trattati vogliono fornire una traccia degli agglomerati costruiti secondo uno “schema architettonico” riconducibile a uomini, luoghi e tempo.
La differenza, tra i diversi ambiti è sostanziale, in quanto, pur se simili negli aspetti generali, hanno caratteristiche intrinseche, innestate nella consuetudine e nei riti della terra d’origine Balcana.
Le note più evidenti sono riassunte nelle direttive che trovano rilevante caratterizzazione negli aspetti idiomatici, sociali, nella religione, nella salubrità e la difesa territoriale, qui di seguito esposti per grandi linee:
Questi elementi caratterizzano in maniera indelebile il percorso urbanistico e architettonico dei centri edificati dagli albanofoni.
Essi rappresentano l’espressione materiale e immateriale di un modello consuetudinario che produsse il costruito urbano, schemi apparentemente articolati in cui trovano dimora, per una continuità storica senza eguali, riti e consuetudini difesi dall’inflessione idiomatica del gruppo familiare, che poi coralmente si ritrova al cospetto ideologico religioso.
Ragion per cui i paesi albanofoni si svilupparono esclusivamente nelle immediate vicinanze di chiese o conventi, allocati ad altitudini superiori a trecento metri sul livello del mare; miseri sistemi abitativi composti da tuguri e capanne, dei quali non rimanevano che pochi resti, in quanto, abbandonati dagli indigeni a causa di eventi tellurici, pestilenze e carestie .
Questo dato facilitò la messa in atto secondo le disposizioni sopra indicate dei modelli abitativi, perché i territori assegnati agli esuli, oltre il costruito dei plessi religiosi, non aveva alcun altro elevato murario se non i pochi resti consumati dal tempo, di quelle che erano state le antiche dimore .
Certamente uno scenario desolante, ma nello stesso tempo un piano di insediamento svuotato da ogni regola, una tavolozza su cui incominciare ad incidere le esigenze organizzative degli esuli, perché, territori incontaminata dai segni di altre civiltà.
Sono gli ambiti ad essere fondamentali, mentre il costruito (chiesa e le resti dei tuguri) segnano il luogo, riconosciuto dagli albanofoni come l’elemento orografico e climatico parallelo alla loro terra di origine, è per questo che essi hanno avuto modo di imprimere i tratti organizzativi dei sistemi urbani diffusi, dai quali e per i quali ha avuto inizio la scalata per l’integrazione di una civile convivenza ancora oggi stesa alla luce del sole.
Dopo un lungo periodo di confronto e scontro con le genti indigene, questa si attenua a iniziare dal 1562 data del primo richiamo ufficiale fatto agli esuli, per disposizioni regie, è per questo che si avvia un confronto costruttivo in cui la difesa dei beni materiali e quelli immateriale racchiusa nella consuetudine e nella religione divennero fondamentali per gli esuli albanofoni.
Le conseguenze derivanti da scelte politiche, oltre i terremoti, le pestilenze e le carestie che dal 1636 sino al 1783, avviano una serie di eventi che cambiano il volto ai piccoli centri albanofoni, che comunque proteggono riti consuetudine dietro il forte radicamento, all’idioma e alla religione greco bizantino.
Essi trovano altra linfa nel 1742 con la costituzione del plesso per la formazione civile e clericale in San Benedetto Ullano; istituzione fondamentale sia per gli albanofoni ma anche per l’intera provincia citeriore, giacché nel 1792, Pasquale Baffi riconoscendo il ruolo strategico che avrebbe assunto la cultura dell’itera provincia Citeriore, si adopero assieme a Mons. Francesco Bugliari, entrambi con l’appoggio della rinascita culturale europea, perché l’istituto fosse trasferito nel complesso monastico di Sant’Adriano, struttura economicamente più ricca che offriva nuovi presupposti a un gran numero di allievi di quella Provincia e non solo.
L’evoluzione edilizia ha quindi inizio con la trasformazione delle capanne o tuguri in piccole e più confortevoli Kalive, avendo come dato inconfutabile le capitolazioni che furono sottoscritte con i regnanti locali a iniziare dal 1535/40 con le quali erano poste nella disposizione degli esuli l’assegnare porzioni di terreno a singoli per produzioni mirate al mero sostentamento.
Il periodo su citato corrisponde però anche allo stesso in cui in maniera diffusa in tutto il meridione vede protagonisti i grandi mezzadri che ricevono dei principi e baroni la totalità del territorio ad esclusione di quelle ecclesiali.
Ciò sulla base del fatto che poi riscuotere tante piccole somme non era più conveniente da parte dei proprietari inviare continuamente gli esattori per tante piccole somme, (sono tanti i riferiti storici in cui si racconta di capanne bruciate o di genti che si rifugiava in zone impervie per non corrispondere esose gabelle), per questo motivo da allora rilevanti esenzioni sarebbero state corrisposte da persone referenziate secondo accordi che tenevano conto anche di eventuali annate poco produttive.
Questo è fondamentale per la riorganizzazione sociale degli albanofoni, i quali per il loro sostentamento erano inclini a operare esclusivamente all’interno del gruppo familiare allargato, in quanto rappresentava una vera e propria sorta di stato, che da ora in avanti non ha più l’esclusiva di una colonia territoriale su cui trarre profitto.
La necessità di svolgere attività, non avendo le garanzie per avere assegnato una considerevole porzione di territori con cui poter vivere, crea due eventi fondamentali, da una parte una ribellione diffusa che porta alle regie diffide del 1562 e dall’altra la scissione dei gruppi familiari allargati i quali sono costretti a lavorare presso gli assegnatari dei grandi possedimenti.
è così che si crea un nuovo modello sociale che segue due binari paralleli; uno che ricalca gli aspetti economici a quelli delle genti autoctone, e l’altro sociale che continua a rimanere abbarbicato alle consuetudini, ermeticamente difeso dagli aspetti linguisticonsuetidinari e religiosi.
È in questo periodo che il concetto di Ligjia assume una nuova connotazione che con metodi matematici, freddi e frettolosi, gli studiosi del priodo della guerra fredda riassunsero nella Gjitonia.
Gjitonia, dove vedo e dove sento, assume un significato molto più ampio rispetto al semplice significato che gli fu assegnato, in fatti (ku shohg e ku ndienj) se adeguatamente compreso dall’albanese assume un significato profondo e a largo spettro perché raccoglieva in sostanza l’espressione dei cinque sensi.
Per circa un secolo, gli albanofoni vivono e si confrontano con le realtà contigue sviluppando i loro centri prevalentemente con l’ausilio delle Kalive, escluso una ristretta cerchia di addetti vicini agli organi che gestiscono la produzione e la trasformazione dei prodotti agricoli, come proprietari di mulini e trappeti.
Questi pochi eletti utilizzano, diversamente dagli altri, un nuovo tipo edilizio che si distingue con il tipico ingresso ad arco regolare, posto a piano terra e che da accesso anche ai depositi di frumento e ogni bene derivante dalla produzione agricola, in oltre questo tipo di manufatto diversamente dagli altri, alloca le stanze da letto al primo livello, abbandonando in questo modo l’antico vivere a pian terreno, a contatto con le strette vie.
La configurazione del centro urbano in questo periodo ha una svolta decisiva infatti il sistema diffuso suddiviso in rioni cresce e produce un continuo del costruito secondo due caratteristiche principali.
Gli isolati (Manxsanet) che compongono i vari rioni, (identificabili come i luoghi dove s’insediarono gli originari gruppi familiari) si sviluppano secondo la configurazione orografica e per meno incutere ferite al territorio, secondo due tipologie riassunte in: articolato e lineare, le due parti danno così origine a un sistema complesso che oggi sono difficili da leggere, in quanto si presentano molto confusi, ma se analizzato con perizia, incrociando dati storici e gli elementi costruttivi, si addiviene a un percorso costruttivo semplice che segue comunque le antiche regole di quella consuetudine che non è stata mai dismessa.
Un dato fondamentale che segna appunto la svolta nella crescita edilizia dei piccoli centri, che comunque hanno gia una configurazione planimetrica ben precisa, sono le disposizioni regie del a seguito del terremoto del 1783 e quelle sucessive elaborate nel decennio francese.
L’economia in rilancio diede avvio ad un nuovo modello edilizio che in alcuni casi viene riedificano ex novo, inglobando le mura dell’originario insediamento, utilizzando modelli architettonici largamente in uso nel periodo post napoleonico; in molti casi non avendo i proprietari dei manufatti la forza economica sufficiente, ammodernarono gli immobili aggiungendo elementi architettonici caratteristici alle quinte edilizie e in altri casi inglobando i volumi dei profferli.
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Posted on 03 gennaio 2016 by admin
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