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KATUNDI (borghi, terre e casali)

Posted on 20 gennaio 2016 by admin

KatundiNAPOLI (di Atanasio Pizzi) – I centri abitati in origine identificati come borghi, terre e casali di pertinenza arbëreshë, innalzati dal XVI secolo, sono ritenuti simili al costruito storico di quelli più antichi dalle genti indigene.

Questo è un errore di valutazione cui bisogna dare una risposta esatta, in quanto, l’ERRORE DI ANALISI è un frutto acerbo prodotto da una pianta anomala, le cui radici non sono state innestate nelle fonti storiche riferite al territorio, al sociale, all’economia e alla politica strettamente riferita alle epoche d’insediamento e sviluppo degli esuli.

I percorsi qui di seguito trattati vogliono fornire una traccia degli agglomerati costruiti secondo uno “schema architettonico” riconducibile a uomini, luoghi e tempo.

La differenza, tra i diversi ambiti  è sostanziale, in quanto, pur se simili negli aspetti generali, hanno caratteristiche intrinseche, innestate nella consuetudine e nei riti della terra d’origine Balcana.

Le note più evidenti sono riassunte nelle direttive che trovano rilevante caratterizzazione negli aspetti idiomatici, sociali, nella religione, nella salubrità e la difesa territoriale, qui di seguito esposti per grandi linee:

  • Sociale: organizzati secondo un disciplinare consuetudinario tramandato oralmente, indispensabile a blindare la sua divulgazione  entro gli ambiti della Famiglia tradizionale Allargata, tale che, pur venendo a mancare uno dei cardini identificativi la comunità riusciva a sostenersi in maniera indelebile;
  • Religioso: ogni serie di gruppi familiari aveva come accompagnatore ecclesiasti, greco-ortodosso, che presumibilmente predispose le nuove dimore secondo l’antico rito della “Skita” (piccole celle nei pressi di un presidio religioso, a uso dei gruppi di preghiera).
  • Orografico: ricercavano ambiti paralleli o simili alla terra d’origine per attivare i protocolli di sostentamento preservando il territorio senza incutere ferite indelebili;
  • Salubrità: gli esuli avendo conoscenza dei pericoli provenienti delle zone paludose si stabilivano ben distanti altimetricamente, collocati al disopra di tale soglia limite.
  • Difesa: è noto che gli ambiti facilmente raggiungibili dalle costa erano territorio di cacca di pirati e banditi, i quali, consapevoli di non incontrare alcuna opposizione spaziavano in lungo e in largo le coste e le zone ad esse facile menta raggiungibili dello ioni motivo per cui i paesi albanofoni sono disposti secondo uno schema che garantiva di intervenire per troncare nel nascere ogni tipo di incursione.

Questi elementi caratterizzano in maniera indelebile il percorso urbanistico e architettonico dei centri edificati dagli albanofoni.

Essi rappresentano l’espressione materiale e immateriale di un modello consuetudinario che produsse il costruito urbano, schemi apparentemente articolati in cui trovano dimora, per una continuità storica senza eguali, riti e consuetudini difesi dall’inflessione idiomatica del gruppo familiare, che poi coralmente si ritrova al cospetto ideologico religioso.

Ragion per cui i paesi albanofoni si svilupparono esclusivamente nelle immediate vicinanze di chiese o conventi, allocati ad altitudini superiori a trecento metri sul livello del mare; miseri sistemi abitativi composti da tuguri e capanne, dei quali non rimanevano che pochi resti, in quanto, abbandonati dagli indigeni a causa di eventi tellurici, pestilenze e carestie .

Questo dato facilitò la messa in atto secondo le disposizioni sopra indicate dei modelli abitativi, perché i territori assegnati agli esuli, oltre il costruito dei plessi religiosi, non aveva alcun altro elevato murario se non i pochi resti consumati  dal tempo, di quelle che erano state le antiche dimore .

Certamente uno scenario desolante, ma nello stesso tempo un piano di insediamento svuotato da ogni regola, una tavolozza su cui incominciare ad incidere le esigenze organizzative degli esuli, perché, territori incontaminata dai segni di altre civiltà.

Sono  gli ambiti ad essere fondamentali, mentre il costruito (chiesa e le resti dei tuguri) segnano il luogo, riconosciuto dagli albanofoni come l’elemento orografico e climatico parallelo alla loro terra di origine, è per questo che essi hanno avuto modo di imprimere i tratti organizzativi dei sistemi urbani diffusi, dai quali e per i quali ha avuto inizio la scalata per l’integrazione di una civile convivenza ancora oggi stesa alla luce del sole.

Dopo un lungo periodo di confronto e scontro con le genti indigene, questa si attenua a iniziare dal 1562 data del primo richiamo ufficiale fatto agli esuli, per disposizioni regie, è per questo che si avvia un confronto costruttivo in cui la difesa dei beni materiali e quelli immateriale racchiusa nella consuetudine e nella religione divennero fondamentali per gli esuli albanofoni.

Le conseguenze derivanti da scelte politiche, oltre i terremoti, le pestilenze e le carestie che dal 1636 sino al 1783,  avviano una serie di eventi che  cambiano il volto ai piccoli centri albanofoni, che comunque proteggono riti consuetudine dietro il forte radicamento, all’idioma e alla religione greco bizantino.

Essi trovano altra linfa nel 1742 con la costituzione del plesso per la formazione civile e clericale in San Benedetto Ullano; istituzione fondamentale sia per gli albanofoni ma anche per l’intera provincia citeriore, giacché nel 1792, Pasquale Baffi riconoscendo il ruolo strategico che avrebbe assunto la cultura dell’itera provincia Citeriore, si adopero assieme a Mons. Francesco Bugliari, entrambi con l’appoggio della rinascita culturale europea, perché l’istituto fosse trasferito nel complesso monastico di Sant’Adriano, struttura economicamente più ricca che offriva nuovi presupposti a un gran numero di allievi di quella Provincia e non solo.

L’evoluzione edilizia ha quindi inizio con la trasformazione delle capanne o tuguri in piccole e più confortevoli Kalive, avendo come dato inconfutabile le capitolazioni che furono sottoscritte con i regnanti locali a iniziare dal 1535/40 con le quali erano poste nella disposizione degli esuli l’assegnare porzioni di terreno a singoli per produzioni mirate al mero sostentamento.

Il periodo su citato corrisponde però anche allo stesso in cui in maniera diffusa in tutto il meridione vede protagonisti i grandi mezzadri che ricevono dei principi e baroni la totalità del territorio ad esclusione di quelle ecclesiali.

Ciò sulla base del fatto che poi riscuotere tante piccole somme non era più conveniente da parte dei proprietari inviare continuamente gli esattori per tante piccole somme, (sono tanti i riferiti storici in cui si racconta di capanne bruciate o di genti che si rifugiava in zone impervie per non corrispondere esose gabelle), per questo motivo da allora rilevanti esenzioni sarebbero state corrisposte da persone referenziate secondo accordi che tenevano conto anche di eventuali annate poco produttive.

Questo è fondamentale per la riorganizzazione sociale degli albanofoni, i quali per il loro sostentamento erano inclini a operare esclusivamente all’interno del gruppo familiare allargato, in quanto rappresentava una vera e propria sorta di stato, che da ora in avanti non ha più l’esclusiva di una colonia territoriale su cui trarre profitto.

La necessità di svolgere attività, non avendo le garanzie per avere assegnato una considerevole porzione di territori con cui poter vivere, crea due eventi fondamentali, da una parte una ribellione diffusa che porta alle regie diffide del 1562 e dall’altra la scissione dei gruppi familiari allargati i quali sono costretti a lavorare presso gli assegnatari dei grandi possedimenti.

è così che si crea un nuovo modello sociale che segue due binari paralleli; uno che ricalca gli aspetti economici a quelli delle genti autoctone, e l’altro sociale che continua a rimanere abbarbicato alle consuetudini, ermeticamente difeso dagli aspetti linguisticonsuetidinari e religiosi.

È in questo periodo che il concetto di Ligjia assume una nuova connotazione che con metodi matematici, freddi e frettolosi, gli studiosi del priodo della guerra fredda riassunsero nella Gjitonia.

Gjitonia, dove vedo e dove sento, assume un significato molto più ampio rispetto al semplice significato che gli fu assegnato, in fatti (ku shohg e ku ndienj) se adeguatamente compreso dall’albanese assume un significato profondo e a largo spettro perché raccoglieva in sostanza l’espressione dei cinque sensi.

Per circa un secolo, gli albanofoni vivono e si confrontano con le realtà contigue sviluppando i loro centri prevalentemente con l’ausilio delle Kalive, escluso una ristretta cerchia di addetti vicini agli organi che gestiscono la produzione e la trasformazione dei prodotti agricoli, come proprietari di mulini e trappeti.

Questi pochi eletti utilizzano, diversamente dagli altri, un nuovo tipo edilizio che si distingue con il tipico ingresso ad arco regolare, posto a piano terra e che da accesso anche ai depositi di frumento e ogni bene derivante dalla produzione agricola, in oltre questo tipo di manufatto diversamente dagli altri, alloca le stanze da letto al primo livello, abbandonando in questo modo l’antico vivere a pian terreno, a contatto con le strette vie.

La configurazione del centro urbano in questo periodo ha una svolta decisiva infatti il sistema diffuso suddiviso in rioni cresce e produce un continuo del costruito secondo due caratteristiche principali.

Gli isolati (Manxsanet) che compongono i vari rioni, (identificabili come i luoghi dove s’insediarono gli originari gruppi familiari) si sviluppano secondo la configurazione orografica e per meno incutere ferite al territorio, secondo due tipologie riassunte in: articolato e lineare, le due parti danno così origine a un sistema complesso che oggi sono difficili da leggere, in quanto si presentano molto confusi, ma se analizzato con perizia, incrociando dati storici e gli elementi costruttivi, si addiviene a un percorso costruttivo semplice che segue comunque le antiche regole di quella consuetudine che non è stata mai dismessa.

Un dato fondamentale che segna appunto la svolta nella crescita edilizia dei piccoli centri, che comunque hanno gia una configurazione planimetrica ben precisa, sono le disposizioni regie del a seguito del terremoto del 1783 e quelle sucessive elaborate nel decennio francese.

L’economia in rilancio diede avvio ad un nuovo modello edilizio che in alcuni casi viene riedificano ex novo, inglobando le mura dell’originario insediamento, utilizzando modelli architettonici largamente in uso nel periodo post napoleonico; in molti casi non avendo i proprietari dei manufatti la forza economica sufficiente, ammodernarono gli immobili aggiungendo elementi architettonici caratteristici alle quinte edilizie e in altri casi inglobando i volumi dei profferli.

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