NOTE BIOGRAFICHE
Dell’ Architetto Arbëreshë Atanasio Pizzi
Atanasio, di Gennaro Pizzi e Adelina Basile, nasce a Santa Sofia d’Epiro, centro di etnia Arbëreshë in provincia di Cosenza, il 21-10-1954, nell’abitazione paterna collocata nella connessione tra vico IV° Epiro e huda lëmë letirith; più dettagliatamente nella stanza con veranda, un tempo profferlo dei Bugliari Goggia, che affaccia su via Epiro e più ampiamente verso la valle del Crati.
A.P. ultimo di quattro figli, dopo la sorella, Pierina Francesca; cresce in ambiente sociale tipico dei paesi Arbëreshë degli anni cinquanta, del secolo scorso.
All’età di sei anni, in grado di esprimersi solo in lingua arbëreshë fu bocciato in prima elementare dal maestro non assoggettato alla legge degli alloglotti, che lo riteneva muto.
Chiarito il singolare e prolungato equivoco, il padre lo riscrive l’anno seguente al corso e alla guida di un maestro più attento; da lì inizia il ciclo di studi, prima a Santa Sofia, poi ad Acri, all’Istituto Tecnico A. Monaco di Cosenza, dove si diploma nel 1975.
A.P. inizia gli studi universitari e vivere presso la casa della sorella, per le prime esperienze di cantiere a Corigliano Calabro da dove ogni due giorni parte per seguire i corsi all’Università di Reggio Calabria, una parentesi che dura solo due anni, si trasferisce definitivamente a Napoli dal 18 Gennaio del 1977 iscritto alla più antica Facoltà di Architettura partenopea di Federico II.
Nel corso degli studi per il conseguimento della laurea, impiega il suo tempo libero acquisendo, presso l’Archivio di Stato e le Biblioteche partenopee, documenti e scritti cui temi erano i trascorsi storici della minoranza arbëreshë, gli uomini che la caratterizzarono oltre a definirne grazie ai preziosi documenti approfondimenti dei numerosi dipartimenti di cui la capitale disponeva, i percorsi urbanistici architettonici e sociali arbëreshë, caratteristici della minoranza.
Nel novembre del 1986, prossimo al conseguimento della laurea, oltretutto, allievo di Quaroni, de Felice, Distefano, Bisogni, Capobianco, Cocchia e altri professori scelti minuziosamente da lui e i suoi colleghi di corso Paolo M. e Nunzia A.
Deve però abbandonare l’università perché sposato e con un figlio, i pervenuti e gravi problemi di salute dei genitori, lo costringono a lavorare presso diverse botteghe di architettura partenopee.
La sua carriera professionale rivolta ai temi dell’architettura storica, come le sue scelte dei docenti, gli permise di lavorare con famosi architetti campani, facendo emergere, al loro fianco, le innate capacità in questa difficile e articolata disciplina, d’indagine e rilievo storico dell’architettura.
Sono stati un numero considerevole anche i funzionari di ministeri pubblici, della città partenopea, che lo hanno preferito, per trovare le metodiche idonee e dare soluzione ad annose inefficienze strutturali e architettoniche di non facile lettura, finalizzate alla conservazione, restauro, tutela e utilizzo degli edifici.
Ed è grazie a questi compiti, oltretutto mal/mai retribuiti, che A. P. ha avuto l’opportunità di avvicinarsi, acquisire e rilevare, metodologie storiche, utili alla sua formazione professionale; la migliore ricompensa per il non completamento degli studi.
Affina il suo valore, in campo della grafica manuale e in particolar modo in quello digitale, acquistando il suo primo computer nel 1988 diventando uno dei pochi protagonisti partenopei nella restituzione digitale di elaborati grafici.
Acquisisce padronanza dei programmi cad, grazie ad amici della soprintendenza che gli passavano nozioni sulle lezioni di formazione professionale, cui i funzionari dell’epoca erano avviati per la digitazioni degli enti, la sua passione e facilitata dall’apprendimento di queste nuove tecnologie, gli consentono di proporre sotto forma digitale elaborati relativi al restauro, al consolidamento e alla riqualificazione di edifici di rilevante valore storico architettonico con precisione maniacale, che in quasi la totalità dei casi erano restituiti in scala reale 1/1.
Tra questi va posto l’accento nella ricostruzione del prospetto della reggia del Quisisana a Castellammare di Stabia, eseguita in appena venti giorni, nonostante a seguito del terremoto del 1980 e il conseguente abbandono, si presentava irriconoscibile; è stata la sua caparbia perizia nel ricercare particolari attraverso ricerche archivistiche e scavi in loco che riesce a ricostruire puntigliosamente le mille pieghe prospettiche di quell’antichissimo luogo regale.
Altro successo è l’insula dell’archivio di stato di Napoli eseguiti tra Natale e l’epifania del 1977/8 e nel 1999 il rilievo del Duomo di Napoli, del quale la restituzione digitale del cassettonato ligneo e policromo ebbe un rilevante successo, in quanto nessuno nella storia aveva realizzato un così preciso rilievo.
Per la sua capacità di sapersi distinguere nel catalogare, rilevare e restituire in formato digitale con rapidità e precisione, fu inserito ufficialmente, senza ancora essere laureato, ma solo con il titolo di “Perito Industriale”, a far parte di gruppi di progettazione per la riqualificazione di edifici storici di rilevante importanza storica.
Il suo nome è riportato in progetti o rilievi di monumenti quali: l’Archivio di Stato in Napoli; il Duomo in Napoli; la reggia del Quisisana in Castellammare di Stabia; l’Archivio di Stato nell’emiciclo della Reggia Vanvitelliana in Caserta; Il Restauro del Cassettonato Ligneo Policromo e della Cripta marmorea di San Gennaro in Napoli; Il Giardino della Reggia a Castellammare di Stabia; La Casa Rossa in Anacapri; la Biblioteca di Corato; la Biblioteca Universitaria di Via Paladino in Napoli; il Carcere Borbone di Procida; La Chiusa del lago Lucrino nei pressi di Baia; I Magazzini del Grano in Castellammare di Stabbia; Il rilievo del centro antico della stessa città Stabiese, oltre a progetti di rilevanza locale, sempre indirizzati al ripristino manufatti storici dismessi o per gravi mancanze strutturali, impiantistiche e distributive.
Nella sua carriera partecipa anche a vario titolo a pubblicazione, di numerosi cataloghi di mostre ed eventi culturali, tra cui: Prof. Capobianco “Il sole e l’habitat” 1980; Il Progetto del Grande Archivio di Stato di Napoli edizioni Paparo; Il Governo dei Giardini e dei Parchi Storici edizioni Paparo; La Cultura Scientifica e le sue istituzioni edizioni Paparo; Il restauro del Cassettonato ligneo policromo e della cripta marmorea di San Gennaro edizioni Paparo 1999; Il Restauro di Palazzo S. Anna edizioni Eidos 2000.
Tutto questo nella totale e solare collaborazione, con numerose ed eminenti figure dell’architettura partenopea, che lo hanno sempre rispettato. Ciò nonostante, nel settembre del 2001 durante una conferenza di servizio per la ridefinizione del primo lotto di un noto complesso edilizio partenopeo, l’errata esecuzione di un getto fondale era l’argomento di una conferenza, durante la quale, un piccolo Architetto partenopeo, sentitosi messo da parte per una scelta strutturale da A.P.,lo controbatteva con la frase: “non hai titolo a fare questo tipo di valutazioni in quanto non sei laureato ma un Perito Industriale”. Terminata la seduta, A.P. abbandona la collaborazione con lo studio dell’incauto professionista, lasciando quel gruppo di lavoro e nonostante le intercessioni di molti “comunemente amici” la sua decisione fu irrevocabile.
Cercato per altre opportunità di lavoro, da altri professionisti, non ritenne più di lavorare, quella frase aveva provocato un solco morale incolmabile, che non gli consentì più di lavorare serenamente all’interno delle così dette botteghe di architettura. Supportato dalla famiglia e sostenuto dalla suocera, si ritira dall’attività lavorativa e riprende gli studi di quell’unico esame che gli mancava e che aveva raccolto anni di sorrisi ironici. E dal giugno del 2004 riprese a studiare laureandosi, il 20 Ottobre del 2004 con la tesi sulla riqualificazione del quartiere degli Orefici nel Centro Storico partenopeo e nel febbraio dell’anno successivo, ottenuta l’Abilitazione si iscrive all’Ordine degli Architetti Pianificatori e Paesaggisti di Napoli e Provincia.
Dopo la laurea con suo grande dispiacere si rende conto di non avere più gli originari riferimenti nel suo paese natale; la ricerca delle certezze del passato arbëreshë, gli rimanevano come unica opportunità per guardare quei luoghi, dissociandoli dalle spiacevoli vicende che erano seguite durante la sua ascesa professionale.
Con la laurea e senza riferimenti germani, riavvia l’attività, adesso, di Architetto non più come diplomato e si dedica con particolare interesse al materiale storico di archivio, agevolato dall’immenso bagaglio tecnico, acquisito nelle opere cui ebbe ruolo di rilevatore e memoria storica di numerosi edifici.
Il titolo acquisito affiancato alla tanta esperienza, oltre l’archivio privato realizzato con le numerose attività di indagine sul luogo, poteva essere messa alla prova riversando tutto nei soggetti architettonici delle comunità Arbëreshë, che non lo avevano mai convinto negli anomali enunciati linguistici privi di adeguato supporto storico, tecnico e scientifico.
Intraprende diversi viaggi in Europa, ritenendo che l’excursus storico dell’etnia Arbëreshë era più giusto da ricercare a occidente, si reca diverse volte a Barcellona, Madrid e nelle regioni interne ispaniche, quali l’Estremadura e la Mursia, rilevando parallelismi sociali e architettonici che distinguono un area ben precisa, la più ricca di aspetti sociali grazie al trittico alimentare e il maggese mediterraneo
Dal Portogallo, attraversando la Spagna, la Francia e l’Italia meridionale, sin all’estrema punta est della Grecia e dell’Albania, le stesse che si riscontrano identicamente nell’area, diffusa nominata Regione storica Arbëreshë, il modello mediterraneo più duraturo della storia del mezzogiorno inalano.
Segue corsi di perfezionamento e accumula un numero rilevante di attestati e benemerenze, certificando con titoli specifici un percorso di ricerca mirata in ambito arbëreshë, mai effettuato da nessuna istituzione prima di allora.
Oggi in via di definizione esecutiva, secondo la quale si sancisce le certezze in senso di valori sociali identificabili in luoghi immateriali come Gjitonia e fisici quali Sheshi, Rioni, Abitazioni e Aggregati tipici, oltre al significato di numerose manifestazioni e usanze.
Approfondisce con perizia e precisione storica le stratificazioni edilizie delle pertinenze arbëreshë, rilevando che questo tema è disseminato d’imprecisioni, prive oltremodo delle minimali competenze tecniche e storiche, persino nell’identificazione di tempo e di luogo.
A proposito degli aggregati abitativi detti minori, comunemente scambiati per borghi va rilevato che la trama urbanistica non è mai stata casuale ma il connubio tra consuetudini antiche che si realizzano nel pieno rispetto tra luogo, natura e uomo.
Enuncia un corretto teorema del modello suburbano, di pertinenza arbëreshë: la Gjitonia; estrapola dal tessuto urbano le tipologie di aggregazione edilizia, tipizzando il modulo abitativo di base e inghisandola ai corretti periodi storici, sia abitativi che proto industriali.
Con documenti e cartografie storiche traccia la storia del suo paese natio dal punto di vista, sociale, architettonico, urbanistico e delle scelte locali di genio locale; intercetta le vie del lavoro e della trasformazione, gli opifici storici, i palazzi nobiliari oltre la definizione dei segni dell’architettura.
Si adopera per confermare, che gli insediamenti albanofoni furono scelta condivisa dei regnanti nei territori delle due Sicilie, secondo arche predefinite, nel rispetto delle direttive e le strategie che legavano il condottiero albanese Giorgio Kastriota detto il Grande e i regnanti partenopei, secondo il patto di mutuo soccorso, detto Ordine del Drago, ereditato dalle discendenze paterne da inizio del secolo XIV°.
Partecipa come architetto volontario alle verifiche di primo livello dopo il terremoto dell’aprile del 2009 in Abruzzo, è richiamato a fare parte come membro esterno del dipartimento di Tecnica e Sistemi Matematici della Facoltà di Architettura di Napoli (gruppo ReLUIS) per redigere il progetto di recupero della chiesa denominata del “Carmine di Assergi” in l’Aquila, più nota come “Chiesa degli Assergi”.
Realizza, in collaborazione con studiosi della provincia del catanzarese, la prima conferenza in cui si lega la storia, comunemente ritenuta di fascia esclusivamente linguistica, rilevando che oltre all’aspetto idiomatico la vera forza degli arbëreshe è legata al genius loci e quindi dell’urbanistica e dell’architettura, avviando così un nuovo stato di fatto in ambito di ricerca della minoranza, che avvierà una serie di attriti per le nozioni, senza titolo, sino ad allora largamente diffuse.
Partecipa nella sede della Provincia di Potenza alla tavola rotonda sulle emergenze architettoniche e lo sviluppo urbano dei centri arbëreshë Lucani, ponendo all’attenzione degli altolocati convenuti, l’ignorato tema di genius loci, mai posta in essere.
Illumina agli stati generali arbëreshë, con le figure professionali che non sono solo prelati o ricercatori linguisti, ma esperti di fama europea in ambito scientifico, musicale, editoriale, matematico come il prof. ingegner-architetto Luigi Giura da Maschito (PZ), unico tecnico Arbëreshë, pietra miliare della scuola degli ingegneri di Ponti e Strade di Napoli, il direttore del Real Teatro San Carlo ed editorialista eccezionale con l’Avv. Vincenzo Torelli, l’illuminista, Pasquale Baffi, i vescovi, Bugliari Francesco e Giuseppe; questi ultimi in particolare i sostenitori morali del Rito Greco Bizantino ancora vivo all’interno della regione storica,
Tracica un percorso Urbanistico e architettonico che unisce gli oltre cento paesi Arbëreshë, unendo lo sviluppo di questi ambiti a reinsediamenti di quattro rioni storici
Per questo A.P. avvia un nuovo metodo per studiare quello che definisce il modello d’integrazione meglio riuscito all’interno del bacino mediterraneo, del quale riceve pure un encomio privato dal presidente della repubblica e dal suo staf.
Partecipa a numerose manifestazioni culturali, dove il tema predominante solleva il velo pietoso che copriva la vera storia sin dai tempi degli Arbanon; Maschito e Caraffa alle conferenze sugli uomini arbëreshë del governo prodittatoriale di Garibaldi, con una relazione video-digitale su Luigi Giura, che sino ad allora erano ignorati persino dai capi dipartimento che si dimenavano a dare certezze con episodi in senso di favole o di episodi locali senza forza strica.
Traccia i percorsi napoletani di molti eminenti e illustri uomini arbëreshë, gli stessi che non lasciarono mai la capitale sino all’unificazione, distinguendosi in modo pregnante, al rinascimento e all’unificazione e in particolare quella del grecista di fama europea Pasquale Baffi e del genio arbëreshë della scienza esatta, l’arch. Luigi Giura.
Rilegge i percorsi napoletani d’illustri, ricerca luoghi aneddoti e momenti di vita che li videro protagonisti, purtroppo velati, non solo come luminari nello scenario culturale e scientifico europeo, ma prima di tutto “uomini di rara caratura” .
Rilegge le carte che raccontano della loro vita come, portatori sani di libertà e uguaglianza tra popoli e per questo protagonisti in prima linea negli eventi politici e sociali di quelle epoche.
Rilegge le cinque giornate di Santa Sofia d’Epiro, la distruzione del paese e l’eccidio del Vescovo F. Bugliari, traccia con dati documentali i motivi che spinsero il futuro consigliere di stato Angelo Masci, ad assumere a seguito dei fatti del 1799 e del 1806 un ruolo ermeticamente fondamentale, che stranamente poi nel 1807 lo vide come fido consigliere di stato di Gioacchino Murat, ombra muta nel 1813 per il trasferimento del collegio si sant’Adriano e la vendita delle proprietà, fermata dal energicamente da Bellusci; e poi in fino perire nel 1822 di strana malattia.
Ha avuto incarico di rappresentare quale tecnico di parte dell’Associazione Cavallerizzo Vive, una vicenda dove assieme al geologo prof. F,Jetto, unici esponenti, nonostante dipartimenti, associazioni e ogni sorta di allegorico difensore delle cose arbëreshë, preferiva guardare verso altri lidi, nonostante stava per essere dismesso e spazzato via un paese intero.
Nello specifico è A. Pizzi che difende con passione e forza storica, ragione e metodi scientifici che la minoranza arbëreshë non è un componimento edificatorio o una banale espressione di lingua altra che poteva essere racchiusa dentro un paese fatto con gjitonia.
Le sue ragioni cosi solide, nel giudizio che vede provincia, regione e vertici istituzionali protagonisti della dismissione del centro arbëreshë di Cavallerizzo, è stato più volte preferito sorvolare al giudizio e lasciare le cose, raggiungano i tempi della prescrizione. Per questo a tutt’oggi rimane l’unico rappresentante di tutta la regione storica a dibattere, ragioni e comportamenti, non in linea con le consuetudini della minoranza arbëreshë, che intanto non interviene e pensa ad altro, ritenendo che un paese arbëreshë si possa ricostruire con segni del deserto algerino.
Molti degli scritti di A. P. quasi 2870 pagine di trattati sono pubblicate su numerose riviste a tema, ma il senso del suo percorso culturale si può leggere nel sito, “Scesci i Pasionatit”; il cui titolo vuole essere il ricordo del toponimo di uno sistema sub urbani edilizi di Santa Sofia d’Epiro, residenza dei nonni paterni.
Oggi, dopo aver risieduto con la propria famiglia in quello che s’identifica come il decumano superiore, nel centro storico di Napoli, vive nella strada che conduce da Capodichino a Napoli, lo stesso luogo dove gli arbëreshë protagonisti del 1799, iniziarono al bene del popolo che viveva nel Regno di Napoli.
Ciò che più affascinate appare è la continuità di una linea storica in quanto l’abitazione dove oggi risiede a Napoli A.P. è posta proprio di fronte alla villa in cui Pasquale Baffi, iniziò la sua carriera di confronto politico e culturale con le eccellenze di tutta Europa.
Dal suo terrazzo A.Pizzi osserva quella che fu la dimora del risveglio partenopeo, la residenza dove Pasquale Baffi, venne per la prima volta incarcerato, assieme ai suoi compagni definiti: Liberi Pensatori Partenopei.
Gli stessi che l’eminente studioso partenopeo Gerardo M., diceva essere stati i primi pensatori, che ha avuto la storia del vecchi continente; liberi da imposizioni o principi ideologici, economici, clericali o reali, in quanto miravano al benessere diffuso del popolo che doveva essere il sovrano.
Oggi A.P. svolge la libera professione di architetto e ha in fase di definizione la produzione di un progetto digitale dei paesi arbëreshë, con tecnologie moderne, onde evitare enunciati personalistici ed anomali, traducendo e confrontando sul territorio Capitoli e Catasti, come il genius loci arbëreshë ha depositato nelle tipologie, i manufatti edilizi, e gli spazzi dei centri antichi e in quelli rurali, che attendono di essere letti da un parlante di madre lingua.
Napoli 2022-06-06