Archive | aprile, 2012

Protetto: PERCORSI ARBËRESHË PARTENOPEI

Posted on 28 aprile 2012 by admin

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Protetto: UN MANUALE PER RECUPERO DELL’IDENTITÀ EDILIZIA ARBËRESHË

Posted on 14 aprile 2012 by admin

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GLI ALBANOFONI PER COMUNI INTENTI vhlamieth arbëreshë

Posted on 08 aprile 2012 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) –  Chi si accinge alla lettura di questo saggio nella fiducia di trovarvi esposte valide tesi di critica  o di estetica architetto­nica delle pertinenze arbëreshë è destinato alla più grande delusione.

Ma chi, invece, è ansioso di comprendere le autentiche motivazioni, culturali e sociali, della con­servazione del patrimonio architettonico a vantaggio della vita dei minoritari, troverà qui la più chiara, convincente e moderna enunciazione.

È utile essere, poeta, storico dell’arte, naturalista, ar­chitetto, ecologo, teologo, filosofo, sociologo, economista, scrittore; e tutte queste discipline insieme nella loro radice comune, poterle far confluire in simili intenti e offrire il significato reale al principio della unità ed universalità della cultura arbëreshë.

L’arberia deve realizzare una cultura non astratta e chiusa in se stessa, ma che vuole e deve concretamente aprirsi a tutti per trasmettere i suoi prodotti, affinché possano essere subito disponibili per il migliorare la vita che la cultura alimenta.

In questo progetto devono coesistere due presenze, quella dell’uomo triste, introverso e infelice e l’altra dell’uomo capace di percepire tutto quan­to offre la natura e il mondo circostante, al fine di comprendere l’essenza delle cose e di trasfigurarle attraverso una visione completa e superiore.

Il prevalere dell’una o dell’altra di tali presenze, determina comportamenti, giudizi ed atteggiamenti che mostrano, all’esterno, una comunità sensibile, generosa e umana oppure il suo opposto.

Ciò che conta, dunque, non è la ricerca delle contraddizioni esi­stenti, ma è la comprensione delle lezioni fondamen­tali che fornisce la  misura della sua vita.

Bisogna seguire, con coerenza e rigore, il percorso che, dall’osservazione del­la natura, attraverso la poesia, la riflessione sulle arti e l’ar­chitettura in particolare, conduce a meditare sull’ambiente determi­nato e sulla condizione della vita degli uomini che vissero ed, infine, alla coscienza del rapporto esistenziale tra essi e l’ambiente di natura, d’arte e di storia che li avvolgeva.

La eccezionalità dei minoritari consiste, appunto, nel dover compiere tale percorso, cogliendo con estrema sensibilità i significati delle cose e rendendone partecipi gli altri attraverso i messaggi lasciati sul territorio .

Poiché non è una filosofia o una teoria estetica che ci vene tramandata, ma un messag­gio che si configura precipuamente in una fondamentale intuizione, si può definire come il sentimento di una costante analogia tra l’esperienza estetica e quella morale.

Esse sono caratterizzate da una inseparabilità che trova il suo significato più profondo nel fatto che non si possono vituperare o sprecare la natura e i pro­dotti dell’arte minoritaria senza che l’uomo senta che la stessa estraniazione è stata perpetrata nel suo intimo.

Prendere coscienza di tutto ciò, del profondo rapporto esistente tra arte e la comunità o, meglio, della esistenziale relazione tra l’uomo e ciò che ha prodotto la natura, da lui stesso o da lui e dalla natura insieme.

Se all’interno della comunità gli uomini non raggiungono il principio fondamentale di comuni intenti, l’itinerario di solitudine ed ostinato prevaricamento finirà per appiattire i valori di solidarietà che hanno rappresentato il loro punto di forza, incernierate nelle regole non scritte,  integrate da rigide metodiche.

Protocolli in cui le manifestazioni o progetti atti alla valorizzazione della minoranza devono lasciare una traccia dell’eco pubblicitario, oltre a essere meticolosamente trascritti, in modo che gli eventi non rimangano lettera morta, ma fornire l’esperienza utile a manifestazioni future per il continuo progredire.

Allo stato, solo la volontà di comuni intenti rappresenta l’unica arma da adottare, per rilanciare il modello arbëreshë, valorizzando gli aspetti etnici attraverso protocolli a cui ogni comunità deve capitolare, così come identicamente fecero con i
Principi di Bisignano, realizzando i presupposti economici che sollevarono l’intera provincia da quel intervallo storico che la stava soffocando.

È utile realizzare manifestazioni che abbiano regole predefinite da rispettare, in altre parole realizzare una sorta di convenzione che rimanga sempre in vigore, dettata degli stati generali, cattedratici, comunali e letterali.

Una convenzione per la prosecuzione dell’etnia albanofona a cui ogni centro, al fine di produrre il bene per l’intera comunità, sia consapevole che le manifestazioni non possono prescindere da regole comuni, utilizzando quegli antichi principi della famiglia allargata, che hanno fatto la forza degli arbëreshë.

Non vi è dubbio che l’iniziativa deve partire dall’alto dell’Istituzione Regionale preposta, al fine di stipulare una convenzione in
cui le linee guida producano la valorizzazione di tutti i siti di etnia minoritaria senza prevaricazioni, in un accorato girotondo, simile alle “Valle” le tipiche danze di Pasqua, in cui gli albanofoni tutti usano identificarsi.

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CULIECET NDE PASCH

Posted on 04 aprile 2012 by admin

NAPOLI ( di Atanasio Pizzi) – Dei riti che accompagnano l’etnia arbëreshë nel corso dell’anno solare, quello della Pasqua è anticipato da un singolare consuetudine: accumulare selezionando un rilevante quantitativo di uova.

Il rito ha inizio ad opera delle domme, intente a raccogliere in una cesta di vimini, riposta su uno dei due bauli di casa e di giorno in giorno depositarvi uova che le  galline di casa giornalmente depositavano;  il cesto poi sarebbe stato colmo quando, la Pasqua era  alle porte.

Gli eventi che potevano rallentare tale consuetudine  era l’efficienza organizzativa del pollaio di casa in specie se  Poliàtë mu bhën Closh” e questo diventava un problema, risolvibile, solo con l’abbondanza dei cesti delle vicine.

Le uova, segno fondamentale della Pasqua, sono l’ingrediente primario per realizzare i manufatti dolciari, che diverranno l’emblema sulle tavole degli arbëreshë.

Il rito, per la produzione degli ornamentali e articolati manufatti Pasquali, aveva inizio con la setacciatura della farina per poi produrre, con gesti e ritualità autoctone, l’impasto che prima dell’alba, doveva essere posto a lievitare, così durante tutto l’arco della mattina la preziosa amalgama avrebbe avuto il tempo per ottimizzarsi senza particolari espedienti. Continue Reading

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Protetto: 150° – PERCHÉ GLI ARBËRESHË NON SONO SALITI SUGLI ALTARI?

Posted on 01 aprile 2012 by admin

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