NAPOLI (di Atanasio Pizzi Olivetano Architetto Basile) – Quando si leggono traducono o si trascrivono agli appellativi toponomastici nel circoscritto per fare Katundë, specie se formulati e affissi in seguito alla legge n. 1188 del 23 giugno 1927, essi diventano strumento prezioso e indispensabile, per risalire alle vicende di sviluppo e crescita di un centro antico.
Essi diventano tracia sempre vive presente, specie se conservate nel luogo di affissione e rendono evidente il riconoscimento della struttura urbana originaria, quella che definisce i rioni e gli ambiti del costruito primario e, tutto quello che qui divenne germoglio del bisogno vernacolare.
In questa breve trattazione seguiremo proprio le vicende in Terre di Sofia, cercando di coglierne, attraverso la toponomastica e, la stratificazione insediativa, le tracce di una memoria collettiva o storia radicata nel territorio che può divenire protocollo applicativo di altre realtà di simile radice identitaria.
La toponomastica, infatti intrecciata agli eventi della storia, tesse e restituisce il senso profondo del centro antico, affinando le valenze culturali, economiche e sociali che ne determinarono l’evoluzione nel corso dei secoli.
Ogni nome, ogni appellativo territoriale, conserva in sé la memoria di un passaggio di genere umano, una funzione perduta o trasformata, di una presenza comunitaria che ha lasciato tracce riconoscibili nella forma e nella struttura dell’abitato.
L’analisi dei toponimi non si limita dunque a un semplice esercizio linguistico o etimologico, ma si configura come uno strumento di indagine storico-sociale ad ampio raggio, capace di ricomporre la complessità dei processi insediativi e identitari che hanno interessato un territorio.
Tali studi, quando collocati all’interno di un contesto più vasto, o meglio definiti nella macro area in esame, assumono un valore ancora più significativo, e saputi leggere diventano un archivio a cielo aperto.
Nel caso specifico, l’attenzione si concentra sulle colline della valle del Crati e sulle pendici della Sila, un’area da sempre riconosciuta come crocevia di culture e, identificata nella tradizione storica come greca per la tessitura di credenza primaria.
In questo spazio, la stratificazione toponomastica riflette le sovrapposizioni di civiltà, lingue e religioni, testimoniando un continuo processo di adattamento e reinterpretazione del paesaggio.
I nomi dei luoghi, derivati da radici storiche greche, dei Balcani e, non solo descrivono il territorio, ma ne narrano la storia, dalle prime comunità rurali e monastiche ai centri aperti e di libera accoglienza post medievali, fino alle organizzazioni civiche dell’età moderna.
In essi si leggono le relazioni tra uomo e ambiente, le funzioni agricole o pastorali, le forme di difesa del lento scorrere all’interno, le devozioni religiose e gli assetti sociali che hanno scandito le fasi di vita del centro.
Pertanto, lo studio della toponomastica in questa area non rappresenta un mero esercizio descrittivo, ma diventa una vera e propria ricostruzione storica, capace di illuminare la continuità tra paesaggio, lingua e identità collettiva.
Valgano come esempio le fondamentali strade storiche, assunte a emblema nella toponomastica del Katundë e ufficialmente adottate a seguito della legge n. 1188, esse rappresentano non solo un riferimento urbano, ma soprattutto una testimonianza viva della stratificazione culturale e sociale che ha definito l’identità del centro antico.
La prima è la via Castriota, così denominata in memoria della stirpe eroica di Giorgio Castriota , simbolo di unità e resistenza per la comunità Arbëreşë .
Questa strada unisce le due chiese storiche del Katundë, quella bizantina e quella romana, che ancora oggi si ergono come segni identitari e spirituali, rappresentando le due anime religiose e culturali del luogo.
La via Castriota diviene così una sorta di “asse simbolico”, un percorso che non solo collega spazi sacri, ma racconta la coesistenza e il dialogo tra tradizioni differenti, fuse in una sola comunità.
La seconda è la via Albania, che conserva nella sua denominazione il ricordo delle origini e delle rotte migratorie degli Arbëreşë , giunti in queste terre portando lingua, riti e memoria dei luoghi d’origine.
Essa collega idealmente e fisicamente il luogo di arrivo delle prime famiglie con la parte indigena del Katundë, segnalando l’incontro tra chi proveniva da lontano e chi già abitava queste colline, dimenticando il frangente cistercense che viene menzionato solo al tempo dopo l’ultimo conflitto mondiale.
In questo senso, via Albania diventa la strada della fusione, il tracciato del riconoscimento reciproco, dove il radicamento si è progressivamente trasformato in appartenenza condivisa.
Poi venne il tempo della via Epiro, così chiamata in onore dell’antica regione balcanica da cui provenivano alcune delle famiglie più eminenti del luogo.
Queste famiglie, dopo una breve permanenza nella contrada detta “dote della prima casa”, probabilmente area di prima sistemazione e insediamento dei diasporici provenienti dai confini grecanici e, si stanziarono lungo questa strada, contribuendo alla formazione di un ambito urbano di particolare rilievo architettonico e sociale tipico delle antiche citta della Grecia.
Infine, un ulteriore tracciato, oggi in parte scomparso ma ancora riconoscibile nella memoria del luogo, era la strada del promontorio, che segnava la via per la montagna o per il bosco in alto.
Esse rappresentano tutte il legame antico con la natura e le risorse del territorio, via di transito per pastori, legnaioli e contadini, ma anche simbolo del confine tra il costruito e il selvatico, tra il paese e la libertà del paesaggio.
Queste vie, nella loro semplicità e nelle loro denominazioni, costituiscono un vero e proprio codice di memoria urbana e, raccontano la storia di un popolo, le sue radici e la sua capacità di conservare nel nome dei luoghi la traccia viva della propria identità.
Se oltre agli indicatori di massima che circoscrivono il centro antico si aggiungono gli elementi tipici della iunctura familiare e gli ambiti dei plateai e degli stenopoi, si completa un quadro toponomastico di grande valore interpretativo.
Questi elementi, veri e propri segni di connessione e di relazione tra le unità abitative, delineano la tessitura tra uomo e spazio naturale che ha modella nel tempo la forma tessuta del Katundë.
A seguito di ciò viene la iunctura familiare e, rappresentava l’unità di coesione tra gruppi parentali, articolata in case contigue, cortili comuni e spazi di lavoro condivisi, un microcosmo urbano dove la vita quotidiana e la solidarietà domestica costituivano l’ossatura del tessuto sociale.
I plateai, ovvero gli spazi più ampi di incontro e scambio, si opponevano agli stenopoi, i vicoli stretti e tortuosi, testimonianza del bisogno di difesa e della spontaneità costruttiva che caratterizza gli insediamenti di matrice mediterranea.
Combinando questi aspetti con la rete viaria principale, già descritta attraverso le vie Castriota, Albania, Epiro e del Promontorio, si ottiene una mappa toponomastica fondamentale, capace di restituire la complessità del centro antico, non solo nella sua forma materiale, ma anche nel suo significato sociale e simbolico/spirituale.
Grazie a questi riferimenti e, per essi, diventa possibile, seguire con chiarezza le vicende e le necessità storiche racchiuse in quella toponomastica che, a partire dal 1927, ogni Katundë dovette compilare per rendere intercettabile e riconoscibile ogni luogo del proprio centro antico.
La toponomastica si rivela dunque come una sfera narrativa o visione certa del territorio, in cui linguaggio, memoria e struttura urbana si fondono per tramandare, attraverso i nomi, l’identità viva di una comunità i trascorsi storici.
A ben vedere, il paese si sviluppa secondo un preciso disegno storico di crescita, o meglio, secondo una dinamica di insediamento equipollente ad altri siti di particolare rilevanza del Mezzogiorno antico.
Le sue fasi evolutive rivelano una logica interna che lega l’uomo al territorio, seguendo le necessità della sopravvivenza, della difesa e, definire convivenza.
La prima fase si riconduce alle origini più antiche, quando l’uomo si muoveva alla ricerca di terre migliori, spinto dal bisogno di sicurezza e di sostentamento, come coloro che “andavano per mare” e approdavano in luoghi fertili e protetti.
Successivamente, la funzione insediativa assunse un carattere difensivo, in risposta alle incursioni e alle minacce provenienti dalle soldataglie longobarde, un periodo in cui il costruito si addensava in posizioni strategiche, su alture e luoghi facilmente controllabili.
La fase seguente vide la nascita di un insediamento più stabile, volto a valorizzare il territorio e ad “operare in credenza”, ossia nella fiducia collettiva di un futuro costruito sul lavoro della terra e sulla condivisione delle risorse.
Fu in questo contesto che giunsero gli arbëreşë, portatori di una cultura distinta ma compatibile, che si integrarono progressivamente nel tessuto preesistente.
Essi, per affinità con le proprie terre d’origine, si insediarono inizialmente nella parte bassa del sito, dove il suolo era più fertile e vicino alle acque, condividendo spazi e vita con gli abitanti indigeni.
In seguito, alcuni gruppi si spostarono verso le zone più alte, “per meglio vedere il sole che sorgeva e seguirlo sino al tramonto”, un gesto simbolico, che racconta il desiderio di apertura, di visione e di armonia con la natura.
Altri, invece, scelsero di vivere lungo le vie dell’agro, continuando una tradizione di economia rurale e pastorale che rimase viva nel tempo.
Così, tra colline, rioni e sentieri, prese forma un paesaggio umano e urbano unitario, nato dall’incontro di popoli e culture diverse, ma legato da un unico filo, quello della memoria e dell’appartenenza.
In questa stratificazione di storie, nomi e percorsi, il Katundë di Terra in Sofia, viene letto come un piccolo ma significativo esempio di continuità identitaria, in cui la toponomastica non è semplice nomenclatura, ma racconto vivo del divenire storico e del rapporto profondo tra l’uomo e il suo luogo.
Arch. Atanasio Pizzi direttore A.R.S.A.N. (Attento Ricercatore Storico Arbëreşë Napoletano)
Napoli 2025-11-04 – venerdì








