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NAPOLI ATHANATOS Neapolis Immortale

Posted on 05 novembre 2025 by admin

Napoli ImmortaleNAPOLI (di Atanasio Pizzi Olivetano Architetto Basile) – Napoli vive in sintonia con tutti gli atti della sua memoria ed è città che, più di ogni altra ha saputo fare del suo storico costruito, stratificazione articolata sopra, intorno e, attraverso ciò che già era stata, senza mai recidere il filo del tempo, che la unisce rendendola tessitura solidale, unitaria viva e, sostenibile.

In questa trama di pietre chiare estratte dal centro del suo cuore, colmo di memoria, si inserisce, quasi come una costante carsica, con la presenza di un nome che attraversa i secoli, ritorna nei registri della memoria  con i suoi momenti più epici e, gli Atanasio, nome di origine greca, derivato da Athanasios (Αθανάσιος), che significa “immortale”, “eterno”, rafforzato, l’aggettivo che più le appartiene e l’accompagna lungo i plateai e gli stenopoi della storia.

Nel corso della storia, si incontra Attanasio Primario Architetto del Regno Angioino”, che succedette a Tino da Camaino nella direzione dei lavori di Castel Sant’Elmo.

Ma come non ricordare i vescovi duchi di radice bizantina, Attanasio I e Attanasio II del IX secolo, sicuramente la radice di questo casato, velato chissà in quale monumento della Napoli greco romana o del culto pagano in attesa di essere svelato.

Tuttavia ritornando al tempo in cui il “Palatium Castrum” di Sant’Erasmo prendeva forma sulla collina del Vomero, destinato a divenire nel corso dei secoli uno dei simboli più alti del controllo e della difesa della città.

Di quell’Attanasio si sa poco, ma il suo nome resta inciso tra i costruttori di un’idea di Napoli che guarda al cielo e domina il mare, da Castel Sant’Elmo, dove l’equilibrio tra potere e contemplazione, la contrappone alla ira incontrollata del Vesuvio.

Nel corso del tempo, altri Attanasio appaiono nelle cronache e nei documenti d’arte e, un Attanasio Francesco è menzionato come disegnatore e decoratore nel barocco napoletano, legato ai fasti del Palazzo dello Spagnolo ai Vergini, con le sue scale aperte e scenografiche, dove ancora oggi si incarna il teatro urbano del Settecento, associato a quel componimento architettonico, del regno dove “il sole non tramontava mai” e quella effige che lo rappresentava qui diventa emblema o disegno di architettura.

Lo stesso componimento che da Castel Sant’Elmo a Castel Capuano, abbraccia la Napoli Angioina con lo stesso stemma di un “regno tanto esteso e glorioso, che si narrava non vi tramontasse mai il sole.”

Un altro Attanasio, ingegnere del Sacro Regio Consiglio, compare nella ristrutturazione del Palazzo Terra Lavoro alla Sanità, confermando la presenza di una tradizione familiare che, pur non sempre lineare, si rinnova nel tempo attorno alla pratica del costruire e del restaurare.

Il Palazzo Terra Lavoro ha avuto anche funzioni “ospitali e diffusione di credenza Olivetana da cui prese tema l’università dell’Orientale”: e prima che fosse costruito il Ponte della Sanità, era punto di sosta per chi saliva verso Capodimonte, facendo un cambio di animali da tiro (da cavalli a buoi) per le carrozze per civili o da trasporto beni.

Questo filo ideale trova una nuova vitalità nel lavoro contemporaneo svolto da Atanasio Pizzi, architetto e studioso, che nel 1997 ha rilevato il senso architettonico dei prospetti dell’insula per il progetto di restauro e recupero funzionale dell’Archivio di Stato di Napoli.

Insula storica, collocato nel cuore antico della città, tra Via del Grande Archivio e Via Bartolomeo Capasso, noto come complesso dei Santi Severino e Sossio, già monastero benedettino, poi sede archivistica e, rappresenta una delle sintesi più alte tra architettura religiosa e funzione civile, dove il progettista Attanasio realizza quelle forme che danno forza al monumento e, Atanasio rilevatore in epoca digitale le ha unite in un file compilativo senza eguali.

Il rilievo eseguito e, redatto in scala reale è stato accompagnato da una campagna di studi metrici e documentari, ma non fu un semplice atto tecnico, ma un gesto di interpretazione in tutto, un modo per “leggere” la pietra, comprendere le deformazioni del tempo, e restituire all’edificio la dignità formale originaria.

Nelle sue linee, il rilievo del ’97 non è solo insieme di strumento per la misura, ma diventa anche un manifesto culturale, un esercizio di conoscenza che riconnette l’architetto al mestiere antico del costruire attraverso la memoria.

Il progetto, si inseriva in un più ampio programma dalle istituzioni preposte per valorizzare l’Archivio di Stato e, portava a compimento un’idea di “rigenerazione” intesa non come ricostruzione, ma come riscoperta della forma per renderla fruibile agli studiosi e i turisti, secondo due percorsi preorganizzati che avevano una propria autonomia di uso e notorietà.

E il rilievo, il restauro e, ogni tracciato conferma una dichiarazione di continuità per l’architettura che non si ripete, ma evolve, restando fedele alla propria origine dell’manufatto o insula come in questo caso.

Così, dall’Attanasio Primario che innalzava bastioni a difesa della città, all’Atanasio Olivetano ne misura. ne ricompone le facciate e, apre una narrazione coerente, simbolica di una Napoli che si rigenera attraverso i suoi costruttori, in cui il nome “Attanasio” non è più solo una firma, ma una linea genealogica della forma, un’eco che attraversa le pietre di Castel Sant’Elmo e i chiostri dei Santi Severino e Sossio, creano una trama colma di gesti antichi del costruire con la responsabilità moderna del preservare l’opera.

L’architettura, quando nasce, porta con sé un’idea di futuro, solo quando resiste, sopravvive alla sua funzione originaria, lasciandosi reinterpretare in ogni tempo perché memoria.

Napoli e la sua regione hanno fatto di questo principio una regola silenziosa e, le architetture per questo, non muoiono mai, cambiano pelle, attraversano le epoche come organismi vivi, capaci di respirare tempo e luogo.

Nel continuum che lega la tradizione costruttiva partenopea, l’asse ideale tracciato dal nome Attanasio trova nel XVIII e XIX secolo nuove manifestazioni di equilibrio tra monumentalità e misura umana.

Qui si inscrivono due luoghi-simbolo come: l’Emiciclo della Reggia di Caserta, il Quisisana di Castellammare di Stabia e l’insula del Duomo di Napoli e, queste sono opere che, pur appartenendo a contesti diversi, condividono la medesima tensione verso l’armonia tra forma e paesaggio, tra architettura e destino.

L’Emiciclo della Reggia o teatro della simmetria, che apre l’asse urbano e cerimoniale della Reggia di Caserta rappresenta uno dei più alti esempi di architettura come gesto politico e poetico di tessitura.

Concepite da Vanvitelli e dai suoi successori, componendo le cortine curve che avvolgono la piazza reale a modo di abbraccio geometrico, un’emanazione dell’idea di ordine assoluto che animava l’urbanistica borbonica anche in forma genitrice e materna.

Ma in quelle linee, che collegano il palazzo alla città, si ritrova anche l’eco della scuola napoletana dell’architettura e, la capacità di conciliare monumentalità e intimità, disegno e di trama quotidiana.

Ogni modulo dell’Emiciclo, al tempo stesso misura, memoria, esercizio di proporzione che si rinnova nel tempo grazie agli studi e ai rilievi contemporanei, tra i quali si collocano anche le ricerche condotte sul campo da Atanasio Pizzi, questo in specie interessato a preservare il valore di quelle curve del disegno vanvitelliano senza lenire la loro verità costruttiva e percettiva con elementi moderni.

In questo senso, l’Emiciclo non è rimasto soltanto un simbolo della grandezza borbonica incontaminato, ma un laboratorio di rigenerazione continua, un luogo dove la geometria incontra la storia e dove l’intervento moderno, fondato sulla conoscenza e sul rispetto, non rallenta il valore storico, ma amplifica la memoria del progetto originario senza emblemi in forma atti a deteriorarne la prospettiva.

Altro emblema che vede protagonista Atanasio è il Quisisana di Castellammare, la nota casa del respiro e, se la Reggia di Caserta rappresenta il trionfo dell’ordine e della forma, il Quisisana di Castellammare di Stabia ne è il contrappunto poetico ritrovato.

Arroccata tra monti e mare, la storica residenza reale, divenuta poi sanatorio, albergo e oggi centro di cultura, è una delle più delicate incarnazioni della bellezza mediterranea.

Il suo nome, “Qui si sana”, suggerisce già la sua vocazione, un luogo in cui la pietra e il paesaggio guariscono insieme, dove l’architettura si piega alla natura per trovarne equilibrio e misura.

Nel lavoro di rilievo e analisi condotto da Atanasio Pizzi su questo complesso, la ricerca delle antiche forme sgretolatesi diventano metafora della rinascita stessa dell’architettura storica.

Studiare, analizzare, disegnare e restituire le sue proporzioni non significa solo ricostruire il passato, ma ridare senso alla materia attraverso la conoscenza.

E qui ogni dettaglio sia arco, cornice, variazione di luce, diventa testimonianza di un sapere antico, che resiste al consumo e all’oblio.

Il ciclo compiuto, da Castel Sant’Elmo, la Reggia di Caserta, il Quisisana e l’Archivio di Stato di Napoli formano, insieme, un ciclo storico e simbolico, in tutto un itinerario della memoria che attraversa la Campania e che restituisce il senso profondo dell’architettura come linguaggio di continuità.

Dalla fortificazione medievale alla corte borbonica, dal sanatorio neoclassico al palazzo civile del sapere, ogni opera rappresenta un grado dell’evoluzione culturale del territorio, e il lavoro di rilievo, analisi e restauro contemporaneo, in particolare quello di Atanasio Pizzi, ne diventa la sintesi moderna.

In questo ciclo non si tratta di rifare, ma di riconoscere, l’epoca moderna, con la sua urgenza di consumo e velocità, rischia di cancellare la profondità delle forme; ma quando la conoscenza si fa progetto, e la misura si fa memoria, allora la modernità diventa custode, non predatrice.

Così si chiude, e insieme si rinnova, il cerchio della forma, dal bastione di Sant’Elmo che proteggeva la città, all’emiciclo che ne ordinava la grandezza, alla villa che respirava il mare, fino al prospetto dell’Archivio che ne custodisce la memoria.

Un’unica linea ideale, un’unica voce architettonica, che ci ricorda che la vera rigenerazione non è nel costruire nuovo, ma nel saper vedere il tempo dentro le pietre di ciò che già esiste.

Ogni città che possiede una storia lunga quanto la sua anima ha bisogno di punti di fede, di gesti simbolici che uniscano l’arte al credo, la pietra alla parola e, Napoli, in questo senso, è un organismo sacro e civile al tempo stesso, perché le sue architetture non solo proteggono e la rappresentano, ma credono.
Nel completarsi del percorso degli Attanasio, dalla pietra fortificata di Castel Sant’Elmo al rigore vanvitelliano della Reggia, fino alla misura poetica della Quisisana, al rilievo del Grande Archivio, si aggiunge ora un ultimo atto, quello della credenza, con il Duomo, un gesto di appartenenza spirituale che eleva la genealogia del costruire a dignità di culto.

Il Prospetto del Duomo, scolpita nella forma rimane custode della fede popolare più intensa d’Europa e, rappresenta l’essenza stessa del legame tra religione e arte scolpita nel marmo.

Nel suo prospetto, reinterpretato e restaurato nei secoli, sono depositate e si riconoscono, ancora una volta, gli echi della “scuola Atanasiana”, quella capacità di comporre l’ordine della fede attraverso la materia.

Le fonti più recenti citano l’Atto di Credenza legato al prospetto del Duomo, come documento di aderenza e riconoscimento di una committenza civile e religiosa nella quale gli Attanasio duchi e vescovi trovano il loro compimento di fede per la rinascita di questo luogo.

Non si tratta solo di un gesto di committenza o di restauro, ma di una dichiarazione d’identità e, il riconoscere che la forma architettonica può essere preghiera, e che ogni pietra del prospetto è testimonianza di una fede che si misura con la bellezza lasciando un segno indelebile per i credenti.

Il calendario marmoreo stipato nel vescovato, con le sue incisioni di date, santi, mesi e simboli, è una sintesi perfetta di questa vocazione e, il tempo che diventa materia, la cronologia che si fa architettura.

In esso, la lettura liturgica del mondo si trasforma in costruzione visiva, e il marmo, scolpito e ordinato, senza timore di tempo, diventa la pagina eterna di un racconto che unisce cielo e terra.

È in questo segno, nel calendario inciso nella pietra, che il tempo umano si eleva a tempo sacro, e l’architettura diventa rito e, i Duchi Vescovi: Atanasio I e II, con questo atto di credenza suggellare il ciclo, della storia divenendo i, simboli di un potere che sapeva unire il governo civile e la guida spirituale, non solo di Napoli, ma di tutte le credenze del vecchio continente sino all’equatore.

Atanasio I, fratello del duca Sergio, rappresenta l’inizio di quella duplice autorità che caratterizzerà a lungo la città.

Un dominio non solo sulla terra, ma anche sulle anime e, Atanasio II ne raccolse l’eredità, custodendo la città nelle sue fasi di transizione e di tensione tra Bisanzio e Roma, tra Oriente e Occidente.
Nella loro azione si può leggere, in chiave simbolica, l’origine profonda di quella “appartenenza degli Attanasio” che attraverserà i secoli, dal potere episcopale al sapere architettonico, dall’atto liturgico alla pietra costruita.

Essi incarnano la radice spirituale di una famiglia e di un nome che, nei secoli, diventa simbolo di unione tra forma e fede, tra politica e bellezza, tra l’umano, il divino e, con l’Atto di Credenza del Duomo, il Calendario marmoreo e la memoria dei duchi-vescovi Atanasio I e II, si chiude idealmente il ciclo storico e simbolico.

Un percorso che non è solo genealogia di sangue o professione, ma un continuum di spirito e di linguaggio:

dal castello che difende, al palazzo che rappresenta, alla villa che guarisce, al prospetto che conserva, fino alla cattedrale che crede.

È una linea che attraversa un millennio di storia, dalla pietra militare all’architettura sacra, dalla geometria della corte alla poesia del paesaggio e, in essa si compendia la più alta lezione della scuola napoletana: che la forma è memoria, che la memoria è fede, e che la fede, quando si fa architettura, diventa eterna.

Così la storia degli Attanasio non è soltanto cronaca di architetti, di vescovi o di studiosi, ma è un atto di resistenza contro l’oblio, un omaggio alla città che, nei secoli, ha saputo costruire la propria anima con la pietra, con il disegno e con la parola.

E nel nome degli Atanasio, che ritorna come un sigillo d’appartenenza, Napoli trova il suo più alto specchio e diventa una città che non dimentica, e che nella continuità della sua forma riconosce la verità della sua eternità.

Arch. Atanasio Pizzi direttore A.R.S.A.N.  (Attento Ricercatore Storico Arbëreşë Napoletano)

Napoli 2025-11-04 -Martedì

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