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LA SALITA DELLA SAPIENZA DISCORSO ANNO ZERO, L’ORIGINE DELLA FINE

Protetto: LA SALITA DELLA SAPIENZA DISCORSO ANNO ZERO, L’ORIGINE DELLA FINE

Posted on 29 dicembre 2019 by admin

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La salita della sapienza (discorso - VII°) IL TERRENO MIGLIORE SU CUI SPARGERE IL SEME DELLA CULTURA

La salita della sapienza (discorso – VII°) IL TERRENO MIGLIORE SU CUI SPARGERE IL SEME DELLA CULTURA

Posted on 27 dicembre 2019 by admin

OlivetariNAPOLI (Atanasio Basile Pizzi) – Due mondi apparentemente lontani legati dalle consuetudini degli arbëreshë si possono incontrare e germogliare, specie se i cultori ostinatamente producono presupposti di tutela e valorizzazione.

Quando un seme antico è nelle disponibilità da un sapiente contadino, difficilmente si spreca, se poi quest’ultimo è di origini arbëreshë, possiede nel suo intuito di visione generale di luoghi, la capacità di riconoscere ambiti di semina per un’ideale e proficua resa.

Questa sera, un giovane la cui discendenza locale appartiene alle colline ai piedi della Sila arbëreshë, ha saputo scegliere il terreno migliore su cui spargere il seme della “Cultura Smarrita”.

Vero è che in forma di Amministratore, un discendente, di quanti resero, gli ambiti attigui ai corsi fluviali, tra la sede citeriore dei Sanseverino e il casale terra di Santa Sofia, tanto floridi da meritarsi lo pseudonimo di Giardini delle delizie, ha preferito, per una serie fortuita di avvenimenti, discutere di valorizzazione e tutela della regione storica arbëreshe non un luogo panoramico o rilevante sotto l’aspetto dell’architettura, ma l’ambito di vendita che un tempo fu delle delizie del monasteri degli Olivetari partenopei, oggi adibito a semplice marciapiede.

Una scelta casuale e fortuita, comunque è stata la prima volta che un amministratore della regione storica si è recato a Napoli chiedendosi, di cosa è intrisa questa capitale, dopo sei secoli dalla venuta gi Giorgio Castriota per tracciare le note “Arche dell’infinito arbëreshë”.

In apparenza la visita potrebbe sembrare semplice o addirittura una gita turistica, ma nonostante tutte le apparenze essa rappresenta un momento storico da cui ripartire per rendere più chiare la nebulosa di avvenimenti senza senso, che ad oggi riempiono convegni, eventi, scaffali editoriali e ogni sorta di avvenimento che ha come argomento la popolazione, che ancora oggi pur parlando una lingua minoritaria non è in grado si scriverla e leggerla fraternamente.

Incontrarsi in quello che era considerato il mercato degli Olivetari, non è un caso, se poi a questo volessimo aggiungere che proprio li di fronte, ha sede la chiesa che ha contribuito alla questione meridionale, sotto l’aspetto politico legislativo e scientifico, non è certo dire poco, specie se parliamo dei luoghi dove ruotava la forza culturale degli arbëreshë a Napoli.

A tal proposito si può affermare che l’atto di spargere il seme è stato compiuto, ora bisogna attendere la stagione buona per veder germogliare le prime essenze floreali, il produrre frutti, solo il tempo e i domani lo potranno confermare, il gesto rimane come cosa fatta.

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Innesto inopportuno

Innesto inopportuno

Posted on 16 dicembre 2019 by admin

innestoNAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – Le insule abitate dalla popolazione di radice arbëreshë, s’identificano sin dalla loro origine come agglomerati urbani diffusi o“ proto città aperte” in base alle regole con cui in origine gli esuli sì insediarono per la crescita futura; realizzate e vissute, dopo una radicale bonifica territoriale di media valle, rappresentano un fenomeno sociale urbanistico irripetibile, giacché per rispondere alle esigenze dell’epoca venne utilizzata la metrica consuetudinaria Bizantina.

Gli agglomerati e l’insieme delle sei insule diffuse della Regione Storica Arbëreshë, si possono identificare in silenziosi tasselli d’integrazione Mediterranea o pagine inesplorate stese al sole.

Attraverso la lettura delle caratteristiche territoriali e dell’edificato storico, si possono estrapolare quale siano state le valenze per il rilancio sociale economico e culturale meridionale, in senso di  uomini, pensiero e tradizioni, con radice i temati dall’Impero romano, quando la capitale fu Costantinopoli.

Gli ambiti bonificati e gli edificati dagli Arbëreshë, vanno considerati come veri e propri contenitori di una raffinata cultura, le di cui origini sono sancite, non in produzioni scritte e grafiti da interpretare, ma nel riecheggiare di una lingua ermetica ed essenziale.

La stessa che avvolge magicamente ambiti ed elevati per poi incidere solchi inamovibili entro i quali scorrono la memoria e l’animo da ereditare, secondo l’inalterata/impenetrabile consuetudine.

La stessa sfuggita, sei secoli orsono dalle angherie di imperterriti avversari che cercavano di sopprimere; prima nelle terre poste al di la dei mari Adriatico/Ionio, da cui fuggirono; oggi dopo sei secoli, raggiunti ancora una volta dagli stessi persecutori, sotto altre vesti, si tenta di riprendere, dove interrotto, lo sterminio culturale di quanti vivono la Regione storica.

Quest’ultima considerazione è supportata dall’analisi dei disciplinari, secondo cui si dovrebbe tutelate le Caratteristiche che rende unica la storia di questo popolo antico.

Esse seguono la falsa rotta di tutela, senza alcuna cautela, attenzioni e rispetto, verso le residuali caratteristiche che segnano quei territori in senso di luoghi, di uomini e innalzati da loro prodotti nel corso della storia.

Nonostante dai tempi di M. O. Servio, venisse suggerito: “nullus locus sine Genio” , secondo cui nessun luogo era da ritenere privo di intelligenza umana coadiuvata dalle opportunità naturali del territorio, il genio dell’uomo si sviluppava e cresceva in stretta cooperazione alle naturali opportunità offerte del territorio.

Ciò premesso, la discutibile ed elementare tutela, in continua regressione culturale, ha innescato processi paradossali, per i quali e attraverso i quali sono state dismesse, danneggiate e in molti casi addirittura distrutte, considerevoli porzioni del tangibile Arbëreshë e ad oggi non si riesce ad avere misura di quanto male sia stato fatto, sia negli ambiti diffusi Arbëreshë che nella stessa nazione Albanese.

Sono le “rotte storiche” della minoranza, eseguite secondo protocolli di “ricerca sotto i fumi dell’inconsapevolezza”, la stessa che perennemente distratta nel guardarsi attorno tralascia gli ambiti attraversati, bonificati, costruiti e vissuti, nonostante fossero proprio questi i luoghi fisici dove vennero innestate le radici della caparbia popolazione.

Non si commette alcun errore nel costatare, che furono innumerevoli e tutti asincroni i filoni letterari, folkloristici, liturgici, iconografici e canori, ricollocabili nei luoghi vissuti e costruiti in Arbëreshë.

L’incapacità di lettura e interpretazione delle figure preposte che sono di tipo privato e pubblico, nel voler dimostrare a tutti i costi di saper operare in quelle discipline, si recava a copiare concetti e consuetudini altrui e contribuire incoscientemente a stravolgere i valori della minoranza, a iniziare dal dopo guerra del secolo scorso.

Basta solo citare due delle più grandi sviste,  purtroppo di questa misura esiste una ricca trattazione, venne sostituita in un capitolo di studi storici indigeno,la parola Vicinato con Gjitonia, per non parlare poi della svista storica che confondeva, addirittura, una lamia di marmo di una macelleria del XIX secolo, con l’altare di una chiesa cisterciense del IX secolo, questo è il metro con il quale sono state tutelate, difese e divulgate le consuetudini della minoranza arbëreshë dal punto di vista sociale storico e architettonico.

Chiaramente l’asticella delle ilarità imperterrita continua ad elevarsi, infatti, il continuo peregrinare trova la sua espressione massima nelle libere e personali interpretazioni dell’idioma, la letteraria e la metrica canora, queste in specie, nonostante disponessero, di presidi mirati e finanziati pubblicamente, si sono ostinati a volgere lo sguardo oltre Adriatico, penalizzando quanto solidamente innestato e ancora vivo nel territori paralleli ritrovati e incernierati nel: Sociale, l’Antropologico, l’Economia, stravolgendo addirittura le ere Geologiche e l’Architettura.

È chiaro che non è più sostenibile promuovere dinamiche storiche del tangibile e dell’intangibile arbëreshë, esclusivamente con mere veste colorate, tralasciando il senso delle diplomatiche e del portamento indispensabile per il valore dell’abito, tra l’altro non trovano ragione nel comune riconoscimento e della sostenibilità possibile, entro gli ambiti ben distinti da quelli indigeni adiacenti, in quanto non riverberano suoni e note di sfumature colorate tanto uniche e particolari.

Sarebbe una grave perdita culturale amalgamare in un unico prodotto di sintesi, ritenendolo genuinità del mediterraneo, quando la differenza sostanziale tra costumi, usi, e favella delle genti indigene, fiorisce petali senza senso, quando è innestata dove innalzarono e abitarono i rami dell’originaria radice arbëreshe.

Esiste un legame diretto, una capacità tenace, una vibrazione unica e irripetibile che porta a distinguere il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, si chiama promessa; essa rappresenta l’origine della parola data; l’onestà di vivere per mantenerla; la caparbietà di rispettarla e consegnarla intatta prima di finire questa vita terrena.

Le sintonie parallele che hanno generato i Katundë arbëreshë nascono quando gli esuli riconoscono i modelli geografici, orografici, la salubrità del territorio, l’equilibrio naturale e fisico, ereditato attraverso il vissuto con i loro padri, giacché, la lettura di documenti e atti antichi non erano parte della loro disciplinata e impenetrabile cultura.

Appare evidente che estrarre certezze con protocolli inesistenti in forma scritta, si è ben allontani dal modello di indagine più idoneo degli arbëreshë, specie se chi lo ha fatto non era un parlante di lingua madre, è per questo che il progetto cui si ambisce di realizzare affida la sua metrica alle arti e all’architettura nata in queste macroaree con figure nate e cresciute astretto contatto con il territorio e i suoi abitanti storici, i quali, non solo conoscono il territori, ma possono interpretare e riconoscere sia la favella antica degli uomini e sia il riecheggiare della natura che ti avvolge.

È questo lo spirito con cui si vogliono  approfondire gli argomenti di tema iniziando ad informare, avendo cura di saperle accogliere, le generazioni più giovani le uniche titolate ad accogliere e amplificare nel tempo le irripetibili nozioni per un più confronto condiviso con le realtà contigue.

La ricerca all’interno dei centri storici di macroare, fornirebbe elementi connessi tra di loro in seno a cultura, religione, scienza e arte locale, per un’unica sostenibilità possibile.

Tutto questo anche alla luce dei nuovi eventi migratori di cui il meridione rimane sempre approdo sicuro e possibile, visti i risultati eccezionali d’integrazione mediterranea ottenuti con protagonisti gli arbëreshë.

Lo stesso che il presidente della repubblica Italiana, ripeteva a San Demetrio Corone, lo scorso novembre con l’enunciato: gli Arbëreshë rappresentano il modello d’integrazione diffusa, in età moderna, nel mediterraneo.

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KATUNDI YNË (4 gennaio 1970 - 4 gennaio 2020)

Protetto: KATUNDI YNË (4 gennaio 1970 – 4 gennaio 2020)

Posted on 08 dicembre 2019 by admin

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ZUTË SE DUALI I LÀVURË BENITI?

ZUTË SE DUALI I LÀVURË BENITI?

Posted on 05 dicembre 2019 by admin

AVENDO AVUTO UN INVITO AD ASCOLTARE PER INTERVENIRE, VI INVIO QUANTO

NAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – Mi giungono continuamente notizie tra le più disparate dalla regione storica arbëreshë e devo dire che questa, a titolo, trattando di una delle memorie storiche più pure del modello consuetudinario linguistico, canoro e religioso, oltretutto considerato da me, come il fratello che non ho mai avuto, mi ha particolarmente stupito; ho subito alzato il telefono per avere notizie.

Dall’altro capo, dopo pochi squilli, mi rispondono, ed era proprio lui, Benito G. e per evitare di dargli dispiacere, senza chiedere della sua salute ho iniziato la solita conversazione in arbëreshë.

La voce era poco affaticata ma data l’ora pomeridiana è la sua età di memoria storica, mi sembrava tutto entro i parametri della ragionevolezza più limpida.

Conosco bene le voci di Katundë, queste, quando vanno “lente” perdono il senso della matrice originaria, ragion per la quale ho iniziato una sorta d’indagine e verificare la “velocità” delle sue risposte.

Ho chiesto se per lui la gjitonia avesse nome o se era come un quartiere o addirittura un rione; mi ha risposto che la gjitonia è il luogo dei cinque sensi o luogo della verifica dell’originario ceppo familiare,poi ha aggiunto: non ha nome e non ha confini identificabili o tracciabili.

Del quartiere, mi ha risposto, che non trovava alcuna attinenza con le genti arbëreshë, specie se coltivatori preti e artigiani; del rione stava iniziando a parlare ma ho preferito interromperlo perché il disquisito molto articolato avrebbe richiesto tempi e luoghi più idonei di una semplice conversazione telefonica.

A questo punto mi ha domandato se in giro vagavano demoni senza memoria e continuano a enunciare teoremi senza senso, aggiungendo, se il numero era contenuto, ancora, entro i limiti di tutela; con mio sommi dispiacere ho dovuto rispondere con una bugia per non farlo preoccupare.

dopo una grande e liberatoria risata, sono passato a fare un’altra domanda, chiedendo se conosceva i rioni storici del paese e se questi erano riconducibili alle famiglie che vissero in passato; ha risposto che le famiglie a Santa Sofia erano predisposte secondo accomunamenti ben precisi, ma non certo superavano la notorietà della toponomastica storica, in quanto, essa disegna indelebilmente lo sviluppo urbano del paese secondo direttrici nord sud per indicare la parte vecchia, del centro antico, dalla parte più nuova, diversamente la direttrice est ovest indica l’originaria fontana da quella più recente.

 E i rioni storici sono la chiesa vecchia, Scigata, Trapesa, Limti lëtirve, Ka Prati, Ka kangeli, Karincareletë, Scesci Ka arvuem, Uda Kasanes, Stangoi, Moroiti, Udamade, in specie queste due ultime, coperte da avena fatua culturale.

Alla luce di queste risposte, ho iniziato ad avere il sospetto che la notizia che mi era giunta era di tipo lento e la roccia del vecchio saggio era intatta.

Tuttavia la conferma che a impazzire non era lui, ma erano gli altri, ovvero, gli stessi che senza età senza cuore, senza mente e senza titoli si menano quotidianamente a cibarsi nei pascolo del sapere, bighellonando nei pascoli dell’avena fatua.

La conferma che si trattasse di una notizia lenta è stata quando ho chiesto se per le processioni, sia opportuno seguire la via della condivisione popolare, o itinerari privati; lui ha risposto: “Shanà: na jemi arbëreshë e atà janë litirëth”.

Allora ho salutato il fratello che non ho mai avuto, rincuorato, che a impazzire sarà stato un omonimo stampatore economico e il danno si quantificherà nella perdita di ulteriori tasselli al modello di integrazione più solido del Mediterraneo.

Benito sta bene è solo dispiaciuto che nessuno lo ascolta, per la difesa, tutela e divulgazione delle cose giuste, di tutta la regione storica.

 

P:S chi sa dire quale agglomerato urbano occupa il gradino più alto dell’omertà di tutto l’universo che conosciamo?

 

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GIORGIO CASTRIOTA E LE INESPLORATE ARCHE D’ORATE ARBËRESHË

Protetto: GIORGIO CASTRIOTA E LE INESPLORATE ARCHE D’ORATE ARBËRESHË

Posted on 01 dicembre 2019 by admin

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