NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Le terre del casale che poi divenne di Sofia, furono attraversato da Romani, vissute da Bizantini, pretese dai Longobardi, per poi ricevere agio agrario dell’Ordine Cistercense e in fine dal XV secolo divenute terre parallele ritrovate per gli esuli Arbëreşë, questi ultimi dopo averle riconosciute, ebbero agio di bonificarle e renderle giusto confine abitato di sei casali della diocesi di Bisignano confine storico con quella di Rossano.
E in questo luogo che da sei secoli sono vissuti, gli adempimenti di integrazione e sostenibilità con gli indigeni locali prima e, poi riverberando con le pieghe del territorio del principato di Bisignano, del Regno di Napoli, dell’Italia e come cerchi concentrici, di cultura abbracciare tutto, il vecchio e i nuovi continenti.
In questo luogo operoso, fatto di artigiani di genio e, contadini infaticabili, dopo le vicende di scontro e di confronto con gli indigeni locali, con l’elevato del Palazzo Arcivescovile, dal 1595 ebbe inizia la Semina culturale, in continua crescita, grazie ai numerosi titolati, che ebbero modo di formarsi nelle storiche scuole Sofiote.
Certamente dopo la stagione di confronto inizia l’era delle attività vernacolari, dove ad essere protagonisti sono le attività artigianali e il rassodare e mettere in produzione le terre.
Nascono per questo i cunei agrari di produzione e della trasformazione di prodotti agro silvicole e pastorali, nascono nell’agro mulini e masserie, mentre all’interno del centro abitato, maniscalchi, fabbri e artigiani diventano i punti dove rendere efficienti attrezzi e ogni ordine di manufatto indispensabile ad accelerare i tempi della lavorazione.
Questo certamente sino alla fine del XVII secolo, quando iniziano a formarsi generazioni di clerici, grazie al palazzo arcivescovile e, nuove leve che frequentando queste famiglie, ricevono formazione culturale in terra di Sofia.
La svolta epocale avviene con l’istituzione del collegio Corsini in San Benedetto Ullano, da questo momento numerosi Sofioti hanno modo di frequentarlo ed essere protagonisti alle necessità del regno, come il prete Giuseppe Bugliaro che venne scelto da re Carlo III, ad assumere il ruolo di Cappellano Militare della Real Macedone, appena istituita.
Il Bugliaro diventa l’elemento trainante di tutta la cultura storica degli Arbëreşë, privilegiando in modo particolare chi proveniva dal Terra di Sofia, infatti la sua posizione sociale all’interno della capitale del regno facilita, l’ingresso nei canali culturali e delle fratrie che contano.
Il primo fu il Baffi e dopo un po’ di tempo anche Masci, anche se il secondo, segue una deriva a dir poco scorretta per raggiungere il vertice di aspirazione politica a qui tempi in fermento, specie con il rinnovamento di cassa sacra.
Oggi rileggendo le dinamiche seguite dai due, per la loro affermazione pubblica, politica e storica, appare evidente il sovrapporsi o incrociarsi di meriti dirsi voglia, attestazioni e racconti dove si confondono ruoli e meriti dei due Nativi in Terra di Sofia.
Questo è anche il tempo in cui le nostre maestranze agricole, viste le nuove richieste dell’industria di olio per far ruotare meglio le nascenti rotative del nord Europa, che invitavano a fronte di nuovi guadagni a, rimuovere gelseti per alimentare i bachi da seta ormai sovrastati dalla crescente via della seta, i percorsi carovanieri o rotte commerciali che congiungeva l’Asia orientale, e in particolare la Cina, al Vicino Oriente, al bacino del Mediterraneo.
Si piantumano per questo uliveti e, nel breve tempo della crescita delle piante, nascono così i frantoi storici, finalizzati alla estrazione e, produrre olio, lungo i cunei della trasformazione, che non sono solo punto di mulini per estrarre farina e crusca dal grano, ma da adesso si affiancano anche i frantoi storici, lungo lo scorrere continuo, del Galatrella e del Vote.
Oltre alle figure del Pastore, Casaro, Agricoltore e Prete, prende valore l’arte del Frantoiano, Cantiniere, Calzolaio, Fabbro, Falegname, Maniscalco, Muratore, Sarto, Stagnino, Stimatore dell’Agro, Trasportatore a dorso d’asino.
Oltre i luoghi del governo della Gjitonia altri luoghi del centro antico e dell’agro diventano luogo di incontro e confronto.
In oltre case di famiglie rinomate del centro antico, diventano luoghi di formazione per quanti i genitori decidono di elevarli dalla loro condizione qui in elenco, tra questi vedremo emergere Baffa/i, Becce/i, Berlingieri, Bugliaro/i, D’Auria, Fasanella, Masci, Ferriolo, Miracco, Pizzi.
Ha inizio cosi il percorso delle scuole nel centro antico in Terra di Sofia, dove oltre i temi della credenza Bizantina sono insegnate le antiche trattazioni della lingua greca e latina, da cui estrapolare un modello di comune di Arbëreşë, in forma scritta clericale, di questo in particolare va rilevato un dato che ancora oggi resta sconosciuto, non hai comuni viandanti o copiatori seriali, che quanto impattano contro le necessita minimali della forma scritta, si difendono dicendo, da noi si dice così.
E no, se sei un esperto devi saper unire le parlate di un popolo, non dividerle in Zognë, Zotë, Katundarë e llitirë, discriminando e non in grado di unire generi, cose e natura.
È dal secolo XVII che il Katundë vive una stagione di contrasto nato a Napoli e qui senza soluzione di continuità si riverbera ancora oggi in Terra si Sofia dilagando sin anche nell’agro, qui a Napoli, si sviluppa il genio e il luogo natio, si adopera ad adombrarlo con ogni opera, ricorrendo sin anche ai più meschini e volgari, radicandosi sin anche negli adempimenti parentali o germani dirsi voglia.
Esempio emblematico la storia di Pasquale Baffi, tradito derubato e solo uno si è ostinato a leggere e capire cosa fosse successo tra le sue cose Napoletane e quelle del suo Katundë natio.
Baffi il letterato più alto che abbia avuto il mondo culturale degli Arbëreşë, costa a me rilevarlo sino al 2003 era ritenuto nullità, perché non aveva mai scritto nulla in lingua della minoranza, questo almeno a parere di uno dei pilastri dipartimentali dell’epoca (???????).
Pasquale Baffi è bene ribadirlo che nella storia della letteratura è il più grande, il solo, il primo, il più elevato letterato Arbëreşë, lui non scrisse libri, compilò inutili Alfabeti o scrisse Dizionari riversi dall’Arbëreşë al corrispettivo Italiano, che è la cosa più inutile concepita per i minoritari della diaspora balcanica.
Infatti come si possa concepire una compilazione simile, perché non trova risposta, infatti, se gli Arbëreşë sono una popolazione analfabeta della propria lingua parlata e tutti parlano, studiando l’italiano, come si può concepire un vocabolario che dall’ Arbëreşë, spiega il corrispondente in italiano, come si fa a cercare un qualsiasi vocabolo, se non si ha cognizione di lettura???????????
Infatti essendo il Baffi, il primo unico e solo letterato che il pianeta Arbëreşë, abbia mai avuto, nel predisporre i suoi studi storici, che chiamava “Discorso” non ha mai menzionato scritti o prodotti editoriali in Arbëreşë, nonostante avesse titoli e capacità intellettuale per farlo.
Preferendo con il non sconvolgere una consuetudine secolare, facendo molto di più dei comunemente scriba, concentrandosi in cose molto più genuine ed intelligenti, come comparare la radice delle parole, dei governariati delle terre della diaspora con quelle indo europee più note.
Infatti a messo a confronto le parlate dei viandanti della via Egnazia, di quanti si dirigevano in terra santa a cercare gloria e credenza, con gli indigeni li pronti a confortarli e sostenerli.
Altro dato fondamentale che appare nei suoi scritti che titolava “Discorso sugli Arbëreşë”, sono gli appuntamenti storici che questa popolazione era uso predisporre nel tempo dell’inizio dell’estate, secondo due principi:
- Il primo per ospitare i parenti degli indigeni scomparsi e ricordarne le gesta con processioni nei luoghi di sepoltura
- Il secondo ricordare i propri eroi, con danze e canti rimanendo ai margini del percorso dove sfilavano gli ospiti.
Questa era anche l’ossessione per numerosi Arbëreşë, per esternare ironia in lingua parlata indirizzandole verso gli ospiti più nobili che sfilavano e per non essere individuati non per il dire, ma per le gesta e il fare, si camuffavano dipingendosi il viso e in alcuni casi indossando indumenti femminili.
Queste gesta oltre a studi specifici, davano senso alle diplomatiche che il Baffi compilava tra il 1754-55-56-57 e, dato che le rotative del regno, non avevano tutti i caratteri Greci, secondo le regole di stampa di Gutenberg, Baffi inviava i suoi scritti, nel nord Europa, dove suoi leali estimatori, provvedevano a disporli in stampa senza errori alfabetari.
È il Baffi a realizzare il percorso storico di questo popoli prima e dopo l’insediamento dei profughi nel regno di Napoli, individuando paesi e casali, indicandone alla fine del XVI secolo quale direttiva religiosa era seguita dagli Arbëreşë se latina o greca, indicandone la eventuale radice Latina o Greco Bizantina.
Il Baffi oggi viene ricordato nel suo luogo natio, con un busto bronzeo do ve Temistocle e Gennaro si adoperarono a dismettere l’orinatoio pubblico, e lui non merita questo omaggio di memoria proprio in quel posto malsano attorno al quale il centro antico si è sviluppato, si possono capire le scelte di apporre il busto di Scander-beg, turcofono, giustamente depositato nel lavinaio dove era il vuttò dei nobili Bugliari, o senza logica storica e di pensiero lineare è depositata un monumento a memoria della terra di origine degli Arbëreşë tutti.
Una sfera fatta di pietra calcarea do ve usualmente per il lavinaio che li scorreva era la Fossa per spegnere la calce, ironicamente un aspetto addirittura ironico, la pietra calcarea che rappresenta la vecchia Albania, depositata proprio li dove si rendeva morbida o meglio si sgretolava si spegneva rendendola morente l’essenza calcarea.
Queste, assieme ad altri adempimenti all’interno del centro antico, in Terre di Sofia rappresentano il sunto di una vergogna storica senza precedenti, poi se si volesse continuare con le rappresentazioni moderne dei graffitari anonimi non resta che piangere.
In quanto non vi è un luogo un anfratto una prospettiva che viene valorizzata in nome di quelle persone o di quelle figure, rappresentative di questo luogo tanto care ed ameno per quei cognomi prima elencati.
Gli stessi che e in nessun modo sono ben voluti, ricordati, rispettati e neanche per rispetto, citati per titolo e nome, ma con il banalizzino e dispregiativo alias o soprannome degenere.
Similmente e incautamente come si usa appellare Giorgio Castriota figlio di Giovanni che viene citato in onomastica o esposto comunemente a modo e con effigi islamiche, ovvero: Scanderbeg sormontato da ironica cupola mussulmana sormontata da pecora con corna difformi.
Tutto questo non lo si fa con le cose del passato ma anche con le figure moderne, le stesse che quando si espongono fatti e luoghi sono riferimento del loro pensiero e, quando si fanno indagini storiche in loco, magari proprio con i dipartimenti che sono stati l’inizio formativo di queste eccellenti figure non sono coinvolti per illustrare cose.
Preferendo allontanarle con disprezzo per termina l’analisi inesperti alloctoni che raccontano cose senza senso e che terminano con un nulla di fatto.
Se vi dovessero sopraggiungere dubbi a riguardo abbiate il coraggio di chiamare il qui scrivente e vi racconterò cose di cui come abitanti di Terra di Sofia vi dovreste vergognare, per voi e per i vostri figli, che potrebbero domani ricevere in dono o capitare di vivere lo stesso inferno.
Testimone mi è Adelina Pizzi, la cui storia sino ad oggi non conosce nessuno, ma ormai al compimento dei suoi primi quarant’anni come indicato in data, è bene che tutti la conoscano e chi furono i quattro artefici di questa storica dipartita, i quali siano ripudiati dalle Terre di Sofia.
Le stesse che sono perfette per concepire figure illustri, ma poi non allevarli, accoglierli e ricordarli come fanno le madri buone che rimangono senza e in attesa perenne che ritornino rispettati.