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SHËPIA E GJITONIA

Posted on 11 gennaio 2021 by admin

PARLATE PARLANTI COMMEDIE EINAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – Le Arche materiali e immateriali, che racchiudono il senso della consuetudini arbëreshë, trovano dimora, lì dove un tempo allocava il focolare per poi espandersi lungo lo sheshi sino all’infinito.

Quanto sarà esposto in questo breve, non contiene alcun  errore in senso di  costruito, luogo e ambiente naturale, lascia però volutamente libertà di espressione ai correttori storici seriali, che si adoperano pur di apparire, riferendo di forme grammaticali alquanto discutibili.

Per questo daremo avvio al discorso, parlando del modulo abitativo, additivo tipico arbëreshë, cui dare seguito alle espressioni della radice sociale di luogo e del ricordo; un tema che sino ad oggi ha ricevuto violenza in senso di valore sociale a dir poco inaudito in senso del significato, di ruolo, di veste e di attività.

Notoriamente il modulo abitativo (Kaliva, Moticela, Katoj) dopo l’epoca insediativa, di confronto, fu innalzato non più secondo i canoni estrattivi o del nomadismo, ma in muratura di pietra, calce e sabbia per la discendenza stanziale.

Esso fu realizzato in mura perimetrali, generamente con il lato opposto all’ingresso contro terra, il volume, completato grazie alla lamia di copertura,  in coppi, contro coppi e travatura in legno; un’unica pendenza verso la parte anteriore dove l’ingresso gemellata con una minuscola finestra, veniva igienizzato naturalmente.

Una superficie utile che variava dai sedici a venticinque metri quadrati, con unico accesso e piccola apertura per la ventilazione, ma soprattutto per il controllo della via.

Le connessioni tra  pietre sia internamente che esternamente erano regolarizzata da intonaco di calce con aggiunta di argilla e sabbia di lavinai, mentre l’ingresso di giorno fingeva anche da finestra con la tipica porta a due battenti verticali la cui parte superiore dava il consenso alla inferiore.

Una piccola apertura era gemellata non in senso di luogo per l’affaccio, ma per completare la visuale di controllo della strada e comunque non rientrava nella tassazione dell’area occupata e del vano di accesso.

Planimetricamente all’interno in origine il fuoco era centrale e lungo il perimetro era allocato un numero di giacigli tale da soddisfare le esigenze familiari, oltre le poche e misere suppellettili e attrezzi.

Nella parte prospiciente la strada , il modulo si affacciava con il fronte rettangolare corto che variava dai quattro ai cinque metri, raggiungendo un’altezza di poco più di due metri, mentre nella parte più interla l’altezza del volume poteva raggiungere anche i quattro metri di altezza, e consentire al piano inclinato di copertura un idoneo deflusso delle piogge.

Il modulo rispondeva alle esigenze del gruppo familiare arbëreshë che, diversamente dagli indigeni, si affidava alla forza lavoro del gruppo allargato, un numero di addetti pari alla dozzina, superata la quale, si dipartiva, realizzando nuovi moduli aggregandoli; nelle prima fase edificatoria in ordine articolato, in seguito in epoca seguente secondo la disposizione lineare.

Entrambi i sistemi aggregativi realizzavano i cosi detti e comunemente citati “sheshi”, un dedalo di stradine che conducevano in più spazi comuni.

Una vera e propria murazione difensiva, entro cui prima di accedervi, si doveva passare attraverso le dogane degli abitanti, che non lasciavano passare nessuno e niente per caso, se non prima aver chiesto ragione del passaggio e a chi appartenessero.

Lo sgretolarsi continuo dei gruppi familiari allargati, per la citata metodica di sostentamento, in seguito per lo scorrere delle generazioni porto a smarrire la memoria dell’antico o meglio originario ceppo familiare, i quali restarono comunque legati agli antichi patti di parentela la “Besa”, emulandola per certi versi nelle regole della gjitonia.

Essa per questo diventa, prima di ogni altra cosa, ricerca delle antiche origini, definendo gli ambiti di confronto, che potevano essere vicini e lontani dal focolare domestico, nel continuo indagare in forma di appartenenza parentale, sia in forma locale costruita e sia dell’ambiente in cui a fare da protagonisti ed essere i definitori finali, erano i cinque sensi diffusi e il conseguente bisogno di condividere le attività sociali, produttive ed economiche della vita, come era avvenuto in origine.

Ecco che Gijtonia, diventa il luogo per la ricerca dell’antico ceppo, cuore pulsante, ritmo dei cinque sensi e memoria di crescita dell’antica radice.

Con lo scorrere del tempo dalla fine del 1500, il modulo abitativo, dopo aver coperto lo spazio degli antichi recinti, si sviluppa in altezza e inizia una storia di architettura e scienza ben diversa; la Gjitonia rispettando l’ originario valore di parentela, si ammoderna e inizia ad accoglie classi sociali non più secondo una disposizione di classe lineare, ma diversificate e in forma verticale.

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