Posted on 31 ottobre 2015 by admin
Commenti disabilitati su Protetto: LO STORICO – Domandato Diogene perché non si astenesse da imitare il cane, rispose: « Perche abbajo agli ignoranti e lecco i sapienti ».
Posted on 17 ottobre 2015 by admin
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Posted on 14 ottobre 2015 by admin
SAN DEMETRIO CORONE (di Adriano Mazziotti) – Iniziati da qualche settimana i lavori di recupero e riqualificazione del vecchio teatrino del Collegio di Sant’Adriano. Era l’ultimo pezzo strutturale dello storico edificio rimasto ancora fuori dagli interventi di restauro ed adeguamento iniziati nel 1994.
Il teatrino ha rappresentato una importante struttura per la comunità di S. Demetrio Corone e per decenni gli ospiti del convitto e gli alunni dell’ annesso Liceo classico lo hanno utilizzato per mettere in scena le loro rappresentazioni teatrali.
“Il disegno architettonico della sala risulterà pressoché identico a quello pre-esistente per non alterare la fisionomia originale, e i lavori riguarderanno la ripresa degli intonaci ammalorati, il restauro del palco, degli infissi interni ed esterni, del pavimento in pastina di cemento, il potenziamento degli impianti elettrico-illuminotecnico e dei servizi igienici”. Ci riferisce l’architetto Demetrio Loricchio, direttore dell’ufficio direzione dei lavori di cui fa parte anche l’ing. Luigi Sposato.
Gli interventi restaurativi, eseguiti dalla impresa Euroimpianti Groccia e finanziati con 200 mila euro (Pisl- tutela salvaguardia del patrimonio etnoantropologico delle minoranze linguistiche della Calabria) stanziati al Comune, prevedono inoltre la messa in opera di elementi di arredo, la pulizia del chiostro, il recupero della piccola vasca dei pesci, l’ integrazione del selciato ed altre opere di minore entità.
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Posted on 10 ottobre 2015 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Negli ambienti intellettuali e artistici partenopei a cavallo del 1861 spicca un altro figlio delle discendenze Arbanon, Vincenzo Torelli, nato il 1807 a Barile, paese della macro area Arbëreshë del Vulture Lucano.
Unito in matrimonio con delle più belle dame dell’aristocrazia napoletana, Donn ’Anna De Tommasi dei principi di Lampedusa, sorella dell’aiutante di campo del Re Borbone Ferdinando II.
Torelli cognome tradotto dal fratello Aniello, dall’originale Turjèllë, in Arbëreşë indica la vite a sezione toroidale, attrezzo con il quale si praticavano fori nel legno o per forare il terreno e porre a dimora le piante di vite, senza danneggiare le radici.
Ricorda Raffaele De Cesare, come fosse un cliente assiduo del “Caffè del Molo”, abituale ritrovo di polemisti dalla battuta fulminante come il Duca di Maddaloni e il Marchese di Caccavone, ed è qui che V: Torelli si distingueva per il suo stile graffiante, tanto negli articoli a sua firma, quanto nelle critiche e nelle recensioni, grazie alle quali divenne temutissimo nell’ambiente musicale e teatrale dell’epoca.
Legato alla composizione di libretti d’opera teatrale, rimane un esponente di spessore nei processi per la divulgazione e rivisitazione della figura del giornalista, che nella diffusione della stampa periodica del XIX secolo, non erano così capillari come lo divennero, grazie alle intuizioni dell’intellettuale arbëreşë.
Molto della produzione del Torelli resta legata alle pagine dei giornali, in particolare dell’«Omnibus» che egli stesso fondò e diresse dal 1833, sino alla sua morte.
Meno nota appare invece la sua produzione teatrale di cui restano manoscritti inediti, ma di rilevante importanza, perché spiccano la sua particolarissima satira in versi; dalla sua “penna” sagace e l’immaginario duello, da lui ideato e condotto, per la superiorità “del testo o della musica” nel melodramma, (una nota questa che dovrebbe far riflettere i moderni compositori quando si espongono nelle rivisitazioni di antiche melodie arbëreşë).
In versi endecasillabi, Torelli, assunse chiara posizione nell’annoso dibattito della superiorità del racconto cantato o del libretto, conduce attraverso una serie di gustose metafore, utilizzando anche alcuni impietosi ritratti, come quello che descrive la figurina di un poeta svilito e sottoposto ai diktat di un musicista superstar.
La carriera di V. Torelli ebbe avvio sotto l’egida del fratello Aniello, affermato giurista, per questo, coltivato gli studi di diritto e, conseguita la laurea in giurisprudenza, aveva iniziato a praticare la professione forense.
Tuttavia, ben presto a questa remunerata attività, preferì rivolgere i suoi interessi alla stampa periodica e nel 1829 tale interesse lo spinse a mettere in stampa il primo numero del giornale a fascicoli l’«Indipendente», edizioni molto ricercate per l’alto valore culturale delle sue recezioni.
Torelli si può definire un solido riferimento per la cultura partenopea e Arbëreşë, infatti, la sua casa divenne per questo uno dei salotti culturali più privilegiati, in quanto, proprietario di un numero considerevole di quadri d’autori antichi e moderni, la sua dimora era considerata un luogo d’incontro per letterati, artisti e di quanti uomini di valore vivevano a Napoli o vi si recavano da tutta Europa e sin anche dai paesi Albanofoni del regno e lui accoglieva benevolmente tutti.
Nel 1833 fondò, assieme ad altri intellettuali e scrittori, la rivista letteraria «Omnibus», che a tutt’oggi è considerata come la più longeva e interessante pubblicazione periodica napoletana dell’ottocento, della quale, fu proprietario e direttore dall’esordio fino al giorno della sua morte nel 1882.
La stima di cui Torelli godeva anche al di fuori del Regno, del resto è testimoniata dalle collaborazioni di qualità o dalle lettere che illustri corrispondenti inviava al suo periodico Giovan Pietro Vieusseux, già nel 1834, rimarcava con sorpresa la tiratura del neonato foglio napoletano ma anche dall’accoglienza che alcuni suoi scritti trovarono in giornali specializzati nel campo teatrale.
Noto per il grande senso di ospitalità adoperava un canale privilegiato per il legame e il rispetto degli uomini di tutta la “Regione Etnica Diffusa Kanuniana Accolta e Sostenuta in Arbëreşë” che si recavano a fargli visita negli uffici o in quella sontuosa residenza; questi li accoglieva con il saluto che ancora oggi tutti gli arbëreşë usano quando si incontrano a parlare: gjàku jonë i shprishur su hàrrùa.
Nel 1836, recensendo i Canti di un autore, fa notare a quest’ultimo, che pur avendo fatto pubblicare nel suo periodico, alcune liriche arbëreşë, facendogli guidare/dirigere anche, il pubblicato del ristretto numero dell’Albanese d’Italia, che la via dello scritto con caratteri greci e latini era un modo di raggiungere esclusivamente chi era già eccellenza intellettuale.
Vincenzo Torelli, uomo colto e solido conoscitore dell’idioma, le consuetudini, caratteristica della minoranza arbëreşë, con la sua professionalità e un nuovo modo di fare giornalismo, pose delle fondate critiche, al sistema alfabetico elaborato dagli scribi, dell’epoca, rilevando i gravi errori dei componimenti scritti, che utilizzavano alfabetari incomprensibili, alla diffusa schiera degli interessati e per questo, nel contempo, impedivano una larga diffusione scritta, perché la minoranza non era diffusamente alfabetizzata o formata alla conoscenza delle lettere.
Il dato trova conferma negli studi rivolti verso gli scritti precedenti e i successivi dei Canti del 1839 e persino sulla metrica utilizzata in quell’epoca.
In effetti, gli intellettuali arbëreşë, usavano scrivere avendo riferimenti latini, integrati a lettere dell’alfabeto greco, ritenendo, “a torto”, che la pronunzia potesse nascere con l’assemblaggio dei due alfabeti, lasciando poi, al libero arbitrio, ogni macroarea autoctona padrona della frase “da noi si dice così”.
Sin dal XVI secolo troviamo presente nell’ambito dei gruppi intellettuali della “Regione Etnica Diffusa Kanuniana Accolta e Sostenuta in Arbëreşë”, una tradizione di scrittura con un sistema alfabetico misto greco-latino, che rispecchiava da un lato l’influsso culturale greco, principalmente attraverso i tentativi e l’azione della chiesa bizantina che si ostinava a tradurre il prestigio altro che esercitava l’istruzione e la cultura latina.
L’alfabeto cosi articolato, se dal punto di vista teorico poteva soddisfare le esigenze dell’autore arbëreshë in evoluzione, sul piano pratico sarebbe divenuto campo di studi di una ristretta nicchia e questo non certo era il traguardo che si voleva ottenere con il nuovo modello d’inculturazione.
La lezione trovò l’adesione di numerosi sperimentatori della lingua scritta per gli arbëreşë, ravvedendosi nel ritenere più idonea l’idea del Torelli, secondo cui era più utile avvicinare agli elementi della scrittura Italiana e rendere l’arbëreshë più diffuso negli ambienti sino ad allora orfani di un modello scrittografico.
Rimane un dato fondamentale che dopo la sottolineatura che il Torelli fece agli acerbi scriba dell’ottocento, nulla è stato aggiunto nel corso della storia, per evitare il rigetto diffuso nelle iniziative che volevano legare la scrittura alla lingua, fortemente, radicata nel XXI secolo all’Albanese.
All’«Omnibus» cui aggiunse per un decennio la pubblicazione e la direzione dell’«Omnibus pittoresco», si possono apprezzare un’antologia caratterizzata da buone incisioni per quell’epoca, inserendo o meglio divulgando dal 1851, una fisionomia più spiccatamente politica, ottenendo maggior successo e anche qui non mancarono articoli e citazioni al mondo arbëreşë e alle sue eccellenze in campo artistico, scientifico, culturale, della scienza esatta e del costume.
Torelli col il giornale nel 1840 era a favore delle ragioni del Re Ferdinando II per la concessione del monopolio sugli zolfi in Sicilia, per questo il sovrano Borbone gli era rimasto molto grato, inviandogli in dono alcuni vasi di Sèvres.
Nel Febbraio 1833 diffuse per abbonamento il manifesto, un periodico di modeste dimensioni e costo, la finalità immaginata dal giornalista era di propagarsi in tutte le classi della società al fine di elevare l’erudizione in ogni persona elevando sin anche le classi meno abbienti.
Il giornale è compilato generalmente da giovani sinceri e di buon umore, i quali, entusiasti e desiderosi di non dare noia, ma informare sulle cronache e le tendenze di una vita migliore, divulgavano concetti di interesse generale e nel contempo allargavano le menti di quanti non avevano forza economica per studiare.
Il foglio compare ogni sabato al prezzo corrente di grani cinque e chiunque ha passione verso la cultura e i libri potevano raccogliere queste carte volanti e alla fine dell’anno consolarsi di avere la possibilità di assemblare un discreto volume enciclopedico.
In Tutto aveva inventato gli odierni inserti dei giornali come oggi comunemente avviene.
Nella carriera editoriale il Torelli ebbe una ricca corrispondenza con numerosi esponenti del panorama storico-letterario e artistico – musicale italiano, tra cui Gaetano Donizetti, Gioacchino Rossini a Giuseppe Verdi.
I rapporti con questi ultimi due non furono, almeno all’inizio, idilliaci: se con Rossini si registrò almeno un dissidio legato a un falso scoop pubblicato sull’«Omnibus»; con Verdi ebbe tuttavia sviluppi importanti nella storia della musica italiana, ed egli lo accolse sempre calorosamente ogni volta che si recava a Napoli e, tra i due vi fu un fitto epistolario.
Proprio negli anni cinquanta dell’Ottocento, Torelli, che aveva avuto rapporti con Vincenzo Jacovacci, il più rinomato impresario d’opera romano dell’epoca, riuscì ad ottenere in appalto, la gestione dei teatri di Napoli, dal 1855 sino al marzo del 1858.
Nel 1848, l’Omnibus assunse anche veste politica e, fu quella l’epoca della sua più grande fortuna editoriale, va rilevato che il Torelli, soffrì insidie, persecuzioni, e sin anche la prigione e per questo era solito dire: “chi non eccita invidia è uomo nullo”.
Le relazioni con i re Borbone si mantennero sempre buone fino al 1858, quando sorsero i primi malumori, ma ormai era la fine del regno, il 1860 il Torelli poté esprimere liberamente le sue idee di patriota e uomo liberale.
Per il proseguimento dell’opera, Torelli dopo la sua morte avvenuta nel 1882, rimasero i figli, Cesare e Achille, che in considerazione dell’ambiente in cui sono cresciuti, diedero molto alla letteratura partenopea, ma questa appartiene a una storia più recente che avremo modo di approfondire.
Commenti disabilitati su L’ARBËREŞË VINCENZO TORELLI (1807 – 1882) L’arbëreşë Vicèu Turjèllë
Posted on 06 ottobre 2015 by admin
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Posted on 04 ottobre 2015 by admin
SAN DEMETRIO CORONE (di Adriano Mazziotti) -Avviati i lavori esterni al museo dell’arte contemporanea. Un investimento che punta sulla valorizzazione dei beni culturali locali e sul potenziale turistico ancora non degnamente decollato.Voluta e ideata dalla Amministrazione Marini, la realizzazione della struttura museale, finanziata con 360.000 euro erogati dalla Regione (Pisl, Por Calabria, Fers 2007/2013), si sta sviluppando accanto al vecchio immobile un tempo adibito alla abitazione del custode del Collegio Italo-Albanese di Sant’Adriano, da poco finito di ristrutturare assieme alla attigua ex residenza del rettore dello stesso Istituto e risalente agli inizi del ‘900. La nuova struttura di 170 mq è in metallo, con copertura in pannelli a vista e pareti di tamponamento prefabbricati e finitura esterna a blocchi a faccia a vista. Sarà inoltre realizzata una scala esterna metallica che collegherà il museo alla sovrastante via Dante Alighieri. I lavori del progetto, eseguiti dalla “Impresud dei fratelli Gencarelli”, sono curati dall’ architetto Antonio Gabriele e dall’ingegnere Demetrio Di Martino che è anche coordinatore della sicurezza.
Il museo è destinato ad ospitare le manifestazioni artistiche di rilievo, come la Biennale d’Arte contemporanea Magna Grecia”, e altre iniziative da realizzare nell’ambito della cultura.
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Posted on 01 ottobre 2015 by admin
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Posted on 16 settembre 2015 by admin
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Ritengo che le divagazioni sull’arberia, per opera dei più variopinti giullari, abbiano raggiunto l’indicibile negli appuntamenti stagionali di questo 2015, pertanto vorrei riportare qui di seguito i picchi emblema della storica disfatta: la lezione d’inverno impartita“dal geologo (pà trù)”; la deludente passeggiata istituzionale di primavera; le tarantelle estive che lasciano il tempo che trovano; il ratto autunnale delle suore Basialiane attuato nell’indifferenza delle istituzionali locali, rappresentano lo stato di fatto dell’anno ancora in corso.
Ritengo sia utile dare coerenza alla regione storica, affinché le coscienze albanofone non siano più scosse con eventi ormai diventati un vergognoso costume.
Prima di ogni cosa serve “la regola” utile a preparare il terreno, trovare la semina, aspettare la luna per mettere a dimora i germogli delle antiche regole consuetudinarie.
In definitiva urge produrre coltura per riavviare il ciclo della sostenibilità minoritaria, questo è l’unica alternativa per rendere viva l’arbëria.
Ciò richiede la messa in atto di un rigido disciplinare strettamente sotto il controllo di un organismo che sia in grado di far crescere nuove generazioni, motivate e capaci di assicurare la continuità del messaggio tradizionale albanofono.
Se oggi tutto questo non si riesce a realizzare, il motivo è da ricercare nella maledizione che gli invasori di oriente, misero in atto spargendo le spoglie di Scanderbeg su tutto il territorio albanese.
Alla morte del condottiero il 17 gennaio del 1468, i turchi si recarono nella tomba e appropriatisi delle sue spoglie, li disseminarono per i villaggi d’Albania come vessillo della vittoria.
Gli arbëreshë pensando di fare cosa giusta, raccolsero i poveri resti; il gesto di misericordia ha innescato la maledizione.
Gli albanesi da quel momento non ebbero più un riferimento unico ma mille frammenti disseminati, perché chi li raccolse custodì gelosamente quelle irriconoscibili resta, costumanza che è ancora viva negli ambiti d’arberia e si manifesta nel negare nasconde episodi e della storia minoritaria.
Piccole tasselli che da soli non hanno significato, mentre se messe nelle disposizioni degli studiosi renderebbero univoca la ricerca dei costumi arbëreshë, connettendoli ai territori delle macroaree.
Conservare foto, libri, costumi, attrezzi, pentole, tegole, ecc., ecc., ecc., avrebbero valore se legati a un filo logico, al fine di creare una catena solidale, invece si preferisce custodire nel fondo di un cassetto elementi che pur se preziosi, isolati dai contesti diventano inutili , in quanto, non sono uniti al corpo originale.
Se il corpo del Kastriota fosse stato ricomposto in un unico mausoleo, avrebbe rappresentato la forza degli arbëreshë, ma purtroppo così non è stato e ancora oggi si nascondono divisi i suoi resti
Un quadro che conosciamo bene e verso il quale nessuno prospetta una soluzione priva di personalismi, cercando di unire le energie di quest’antichissimo popolo nel bene comune come dettato nella fratellanza del Kanun.
Oggi viviamo un punto di non ritorno e se non si da avvio a strategie di sostenibilità possibile, in meno di un decennio l’arberia sarà un ricordo confuso e magari enunciato sottoforma di favola che farà annoiare i bambini prima di addormentarsi.
Non ci serve una versione minoritaria di don Rodrigo con i suoi bravi, che per arberia vende fumi e devasta ogni cosa per 33 denari.
Serve una capitale e una piramide umana di eccellenze che conoscano a fondo l’arberia, per guidare, orientare la punta del vertice verso comuni intenti, dissolvendo energicamente la disgregazione che viviamo da troppi secoli, frutto della maledizione turca.
La capitale storica dell’arberia esiste ed è stato depositata nel settembre del 1471 sul pianoro naturale detto “Terra” tra il torrente Galatrella e il suo maggior affluente del Duca; la sua Storia, il suo Nome, il suo Costume, il suo Idioma, gli Uomini che vi nacquero, gli Eventi, gli Accadimenti che vi hanno trovato luogo, i monumenti civili ed ecclesiali innalzati, sono riconosciuti come i più puri di tutta l’arberia.
Il luogo esiste, mancano gli uomini per realizzare la piramide delle eccellenze e purtroppo in questa latitudine, almeno da un quarto di secolo, mancano per mettere in atto un progetto di tale portata.
Questo dato forse rallenterà notevolmente il processo di sostenibilità delle cose minoritarie, salvo che non si dia avvio a una ragionevole autocritica e rivolgersi alle persone più adatte, che come faceva notare Norman Douglas: si trovano uomini intelligenti e di ampie vedute, quindi basterebbe interpellarli e l’arberia si garantirebbe la sostenibilità tanto desiderata.
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Posted on 14 settembre 2015 by admin
SAN DEMETRIO CORONE (di Adriano Mazziotti) -Una serie di interventi di recupero di strade e sentieri non più percorribili da anni, liberati dalla fitta vegetazione che li ricopriva e resi fruibili per le escursioni a piedi, sono stati portati a termine svelando risorse ambientali sconosciute alle nuove generazioni.
A realizzarli sono state le cinque squadre degli oltre settanta operai di Calabria Verde di San Demetrio Corone, distretto n° 3 di Acri, nell’ambito di progetti finalizzati ad accrescere il senso di tutela del territorio e rispetto per la natura; come anche alla fruizione delle ricchezze naturalistiche, onde offrire al visitatore la possibilità di apprezzarle e valorizzarle in una ottica di salvaguardia ambientale.
Le aree riqualificate dagli interventi sono state la fontana di Scesa, fontana Andrea, un suggestivo tratto del fiume Marini, dove gli operai hanno ricavato un’area ristoro e passerella utilizzando materiale reperibile sul posto, il percorso che conduce alla fontana Vicciuzza e quello di una vecchia fonte in contrada rurale Vallo.
Ma il lavoro degli operai di Calabria Verde non si ferma qui. Il vicesindaco Francesco Liguori ci informa che in questi giorni gli operai sono impegnati nella pulizia degli argini e nella rimozione di tronchi ed altro materiale dagli alvei dei maggiori torrenti e fiumare che solcano il territorio comunale, Galatrella, Mizofato e Muzzolito, al fine di prevenire l’accumulo di materiale di ingombro nei periodi di piogge intense.
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Posted on 31 agosto 2015 by admin
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