NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Terminate le ricorrenze dell’unità d’Italia e la proclamazione dell’Indipendenza d’Albania è auspicabile istituire un comitato multidisciplinare per promuovere, divulgare e rilanciare le reali eccellenze albanofone, affinchè la libera iniziativa, generalmente priva dei requisiti e i titoli idonei, possa continuare a diffondere un errato patrimonio.
Il fine che si dovrebbe perseguire è quello di dare una lettura storica vera a iniziare da chi realizzò il Gozzo Culturale del Collegio, nella vetusta residenza a San Benedetto, sino a giungere ai tenaci dotti che dal 1794 al 1815 furono capaci di trasformarla nella Solida Corazzata Culturale arbëreshë nel monastero di Sant’Adriano, oltre ai trascorsi che lo accompagnarono al suo inesorabile destino, una volta che vennero meno i solidi riferimenti.
La magia che avvolge gli albanesi del sud’Italia e particolarmente suggestiva, in fatti, essi sono l’unica isola albanofona che ha resistito nel tempo senza nulla subire nella propria essenza.
Le migrazioni che dai Balcani li portarono verso l’Italia sono molteplici e abbracciano un intervallo storico prolungato, essi infatti, giunsero in tutte le regioni d’Italia a cominciare dal veneto dove ancora oggi,Venezia conserva il rione dedicato agli Albanesi, così come in Liguria in Toscana e nella pianura padana, ove diversamente, restano solo flebili riscontri storici o qualche citazione.
È spontaneo chiedersi quali e quanti parametri contribuirono nel meridione d’Italia, per fare si che le parlate, i riti, le tradizioni si conservassero identicamente nell’espressione antica così come traghettata dai Balcani.
Aver lasciato alle cure delle municipalità il disegno di questo percorso non ha dato la idonea valenza storica agli arbëreshë italici; i cento cinquant’anni dell’unità d’Italia ne sono la conferma.
È cosa nota che per quanto riguarda il mezzogiorno, gli arbëri abbiamo partecipato al Rinascimento nell’Italia meridionale, al Regno di Carlo III, al Decennio francese, alle Rivoluzioni dal 1820 al 1860 e alle vicende politiche ed economiche sino ai nostri giorni.
Nulla però è stato fatto per produrre uno stabile percorso che potesse essere commemorato attraverso i canali dei media, ne sono stati messi in atto dibattiti cittadini utili a produrre una serie di conferenze popolari da stamparsi poi in volume.
Pubblicare un Albo illustrativo di quel periodo storico che dura più di cinque secoli in cui gli arbëreshë hanno fatto la storia del meridione Italiano e di Albania, doveva essere il primario impegno per dare l’ideale leggibilità ai tanti avvenimenti che hanno reso protagonisti, gli arbëreshë.
Non è stato mai immaginato, ad esempio, un monumento che segnasse i paesi d’arberia, incui l’emblema fossero i suoi uomini più eccelsi, magari, acquisendo le risorse necessarie nei fondi messi a disposizione della legge a tutela dei minoritari, che tutto producono meno che lasciare tracce indelebili.
Si dovrebbe operare dipartendo le pertinenze negli aspetti, linguistici, religiosi, architettonici, consuetudinari e canori; nominando una Commissione, composta da esperti, per compilare il progetto di un Albo con le relative linee guida secondo cui operare e ricercare.
In seguito presentarlo pubblicamente, traendo spunto dal frutto di ricerche, che si devono compiere e per quelle già avviate poterle terminare con le dovute cautele in tempi brevi, tenendo d’occhio le stampe di altri documenti grafici e figurativi di quei periodi, coinvolgendo anche coloro che di queste collaborazioni non fanno certo brillare l’arberia come patria della cooperazione, un tempo zoccolo duro della famiglia allargata albanofona.
Tutte le minoranze, anche le più piccole della nostra penisola, ci hanno preceduti in questo rinnovamento di criteri illustrativi solo la nostra minoranza, molto spesso per parlare e disquisire di essa si deve fare riferimento a viaggiatori o letterati alloctoni che dell’etnia arbë ignoravano ogni cosa; lasciando trasparire che le vicende storiche interessavano molto gli altri e meno a noi.
Non è il caso qui di esporre il valore storico delle pubblicazioni, che si sono prodotte, negli ultimi tempi, artisti improvvisati che lavorano di invenzione e fantasia, che troppo facilmente sostituiscono la storia reale con avvenimenti e favole.