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SE GIORGIO ERA UN SANTO QUALE NECESSITÀ CORREVA PER STERMINARE IL DRAGO E APPARIRE? (Giorgio deve stare con l’elmo mussulmano di radice caprina o con quello del drago a impronta cristiana)

Posted on 04 maggio 2024 by admin

DragoNAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Nel mondo dei segni e le divulgazioni storiche di massa, trova ragione, chi, dove, perché e come invia messaggi a favore o contro avvenimenti di necessità opportunamente mirata.

Specie se i tali messaggi sono subliminali per piegare l’uomo inconsciamente, in favore di quanti vogliono sottomettere e far apparire le cose secondo un personale tornaconto di piega, come piega o diplomatica di credenza o politica di sottomissione.

Scriveva nel suo racconto di approdo degli Arbëreşë, nel regno di Napoli “Gioacchino da Fiore, teologo e filosofo italiano” che questi, si fossero insediati dopo la morte dell’eroe Giorgio, per un antico patto stipulato dall’eroe, “volgarmente appellato Scanderbeg” con i regnanti fedeli all’ordine cavalleresco del drago.

Questa affermazione del dotto e storico calabrese, è sempre stato motivo di ricerca, perseguendo il fine di comprenderne, il significato completo di quella delegittimante frase.

La risposta di tutto ciò sta a Napoli e sotto gli occhi distratti di tutti i ricercatori, che volessero dare senso e collocare, in favore di questo condottiero ricattato, provato e poi liberatosi di tutte le angherie immaginabili dall’invasore mussulmane, che per la sua ritrosia storica verso gli invasori, venne eletto, poi, dal pontefice “atleta della credenza cristiana”.

Giorgio Castriota, subì le angherie turche imposte al padre e con grande intelligenza, seppe rispondere e reagire nei momenti più cruciali della sua esistenza invita o ravvedimento in favore dei suoi genitori e dei suoi sudditi che non tradì mai.

Per questo dopo la sua morte violato il suo sepolcro fu portato in trionfale pena, dai suoi persecutori seriali in giro per le sue terre, a confermare la sua non più esistenza, cosi come dovette scappare la moglie a Napoli per difendere il suo onore e quello del marito scomparso prematuramente e dei figli, altrimenti sicuramente sottoposti alla gogna in quelle terre dall’avanzare dei mussulmani.

Giorgio Castriota in una comparsa del 1462 appare, inciso in fusione bronzea, al seguito del re Aragonese vittorioso, nella epica battaglia di terra strutta nei pressi di Greci (AV).

E in questa fusione bronzea dell’epoca, né lui e alcun altro porta un elmo, a forma di cupola islamica sormontato da una capra biforcuta, conferma ne è il copricapo di Vlad III suo compagno di avventura contro i Mussulmani che si pone al fianco di un cavaliere con un copricapo con il “segno emblematico dell’Ordine del Drago”.

Questo segna in maniera indelebile la ragione per la quale Gioacchino da fiore, sottolineava il comunemente appellativo, oltre al fatto che quando furono fatte le fusioni per collocare le statue a Tirana e Roma, come d’incanto appaiono due emblemi a dir poco impropri; il primo è il copricapo in forma “di cupola mussulmana”  sormonta da uno spaesato agnello o capretto, dirsi voglia e,  a conferma dell’ironica vicenda sono la facciate dello storico museo dell’arte  nella piazza che schematizzano forme di due croci rovesciate (?????) cosa si voleva dimostrare e perlomeno chi  ammagliare?.

Se oggi si vuole diligentemente onorare, unendo gli Arbëreşë come voluti dallo storico condottiero, con le genti addomesticate dall’slam, sarebbe il caso di deporre non sul capo ma portato a braccio sinistra l’emblema storico dell’ordine del drago.

Noi qui e mi riferisco a tutta la regione storica sostenuta e divulgata in Arbëreşë, non abbiamo bisogno di emblemi ironici che compromettono il nostro orgoglio e i nostri trascorsi storici, ma una chiarificazione che definisca le ostilità mai deposte o terminate, tra le due sponde del fiume Adriatico, sottoposte al controllo dell’aquila a due teste con un solo cuore.

Tanto meno depositarle in termini senza orientamento, magari allineati con i lavinai e i butti storici locali, che per quanti sanno di storia lasciano molto a desiderare relativamente al rispetto che si deve rivolgere verso questa figura sino ad oggi offesa e disonorato dalle genti che vivono li dove sorge il sole.

Deruta

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