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LA CALABRIA CITERIORE ASPETTI STORICI DELLE VERNACOLARI TIPOLOGIE(Zhëmëren time ju e patë shum thë vicher, nënghe e dishëtith afer Juvë Vale Vale e i bëth mëbhkatë)

Posted on 09 settembre 2023 by admin

Casa Prima

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Con l’attenuarsi del potere e il controllo territoriale dell’impero Bizantino, con Capitale Costantinopoli, nell’attuale Calabria restavano individuabili due distinte aree dall’essere stata Thema di Calabria e poi suddivisasi in Calabria Citeriore (o Calabria latina) e Calabria Ulteriore (o Calabria greca).

La Calabria latina corrisponde all’area più settentrionale della regione e costituì, dal 1147, una unità amministrativa prima del Regno di Sicilia, poi del Regno di Napoli e, infine, del Regno delle Due Sicilie.

Dal punto di vista prettamente amministrativo, però, la Valle di Crati e la Terra Giordana formavano un unico, che era detto, appunto, Vallis Gratae et Terra Jordanae.

Tale territorio corrispondeva all’area settentrionale della Calabria: più precisamente, la Val di Crati ed il territorio occidentale con Cosenza, mentre la Terra Giordana abbracciava la parte orientale spingendosi a Sud sino ad includere parte del territorio di Catanzaro.

Essa confinava a Nord con la Basilicata, a oriente col Mar Ionio a occidente col Mar Tirreno a Sud con la Calabria Ulteriore, poi Gran Ducato.

I confini tra le due Calabrie venivano, individuati, a oriente, dal corso del fiume Neto che nasceva dalle montuosità della Sila, ad occidente generava il corso del fiume Savuto.

Il territorio settentrionale corrisponde, grosso modo, a quello dell’attuale provincia di Cosenza e parte della provincia di Catanzaro con annessa Crotone.

Il suo territorio associa zone montuose, impervi canali torrentizi, del pollino e del Monte mula a nord, nord/ovest e dalla Sila a sud, tutti confluenti, nel corso del fiume Crati, lo stesso tragitto alimentato da Cosenza dal Basento che, defluiscono verso il golfo di Sibari, nello jonio, la di cui costa, è nota nei compimenti della storia, per i numerosi abbracci di approdo.

Ed è qui che da Capo colonna, Sibari, Taranto sino alle grotte della Zinzulusa, trovarono approdo dal 1769 ad 1506 gli esuli Arbanon, in fuga dall’essere modellati dall’incudine e il martello mussulmano.

È in questo intervallo storico che si uniscono direttive latine e greco/bizantine, per le quali e con le quali, furono in seguito realizzati numerosi impianti urbani diffusi, secondo le riconducibili o evidenti, direttive dell’Umanesimo ormai pronte a germogliare e dare libertà di culto e decisione.

Infatti il fenomeno culturale nel XIV secolo, secondo i canoni della riscoperta della cultura dell’antichità classica,  mette a fuoco la capacità dell’uomo di agire nella vita civile e politica, con la volontà di vivere, le virtù del mondo antico e, i principi attraverso i quali organizzare Katundë in terre parallele come in quella di origine per gli Arbëreshë in questo frangente storico, ebbe modo di avere forma e vita.

Tutto questo grazie al patrimonio identitario ben saldo nel cuore e nella mente, oltre agli aspetti per migliorarsi e confrontarsi, senza l’ausilio di espedienti di separazione o contrasti con altre genti, ha innescato i processi vernacolari del costruito degli esuli Balcani.

A seguito di ciò, definiti i rapparti di confronto tra le genti indigene che avrà seguito sino alla fine del cinquecento, dopo di ciò ha così inizio la fase dell’illuminismo, ovvero, l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità in quanto luogo generico, per l’incapacità di valersi del proprio intelletto, senza la guida di altra o altre figure.

Questo naturalmente non per difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza decisionale in autonomia, altre parole il coraggio di far uso delle proprie forze intellettuali, senza essere guidati da altro, secondo il motto dell’Illuminismo che diventa:                                               “Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!”

Alla luce di questa breve premessa, qui di seguito, tratteremo di colli, creste e pendii boschivi, in tutto, dall’ambiente naturale e l’orografia Citeriore dove si innalzarono in apparente irregolarità, spazio urbano su cui veleggiano la chiesa, o singoli abituri nelle creste dei cunei agrari.

Parleremo di centri abitati della produttività mediterranea, con spazi botanici all’interno del costruito, al fine di tenere vivo l’idea di una continuità che si sviluppa tra ambiente costruito e natura.

Analogamente ad altri estesi territori dell’Italia Meridionale, la Calabria Citra rimane praticamente priva di una rete di collegamento viario solido e sicuro, se si esclude la non percorribile Via Popilia, pertanto la via del mare costituì l’unica possibile per i commerci e scambi.

Con i Borboni prima e con gli interventi dello Stato Unitario poi, si costituisce nella seconda metà del secolo XIX la dorsale principale del tracciato viario classificato poi col nome di SS 19, sostenuta, diretta e mai abbandonata dagli infaticabili Ingegnerei della Scuola di Ponti e Strade con annessa scuola di formazione, diretta da Carlo Afan de Rivera.

L’isolamento che vissero comunque i profughi e indigeni, soprattutto delle aree interne, ha influenzato la tipologia degli insediamenti e i caratteri architettonici vernacolari conseguenti.

Nasceva da adesso in poi un paesaggio naturale variegato e dal folto mantello vegetale si sovrappongono gli abitati dei centri collinari e montuosi e quelli più antichi erano rivitalizzati per le nuove attività di produzione, agro, silvicola e pastorale in fermento.

La massima parte di questi si è andata formando a partire dal Basso Medioevo in età bizantina, longobarda e normanna intorno a un nucleo fortificati, anche se il massimo livello ammnistrativo e difensivo si raggiunge dopo la meta del XIII secolo, con la ripartizione del territorio in contee operato dalla dominazione angioina.

Già a poca distanza dalla particolare conformazione della costa, vista la geologia delle terre, su definite, è facile individuare centri incastonati con i caratteri di insediamento apparentemente disomogenei.

Tuttavia in tutti prevale l’uso della pietra a vista e la geometria bloccata e, data la sismicità dell’area, sono conservati gli elementi tettonici di stratificazione, grazie al continuo utilizzo sei materiali di spogliatura.

Su taluni casi di villaggi abbandonati, si possono meglio identificare e classificare i caratteri topo morfologici dell’insediamento originario collinare.

E interessante notare come le forme e le tecniche edilizie si siano capillarmente associate, al palazzo e alla chiesa.

I tipi edilizi più diffusi nella Calabria citeriore nascono svolgendo lo sguardo all’edificato religioso e a quello della residenza di riscossione del principe locale, case prima disposte in maniera articolata e in epoca più recente a schiera. Comunque tutte secondo la conformazione del lotto occupato è risalente a un bel noto e identificabile, gruppo familiare allargato, e l’assenza di palazzi gentilizi, e sull’intorno di questi lotti se non dopo il XVIII secolo da ciò si può affermare che questi insiemi edilizi, paesi, contrade, Katundë diventano luogo dove le rotondità fisiche del tessuto compatto dei centri urbani e dei casali dei cunei agrari sono regola espressiva dei quattro rioni tipici degli Arbanon.

Per quanto riguarda i tipo edilizio prima articolati e poi in linea, si presentano nella maggior parte dei casi con alloggi mono affaccio, con porte gemellate a una piccola finestrella, oltre all’orto botanico posteriore per il riciclo naturale di elementi di scarto naturali.

In epoca settecentesca, a questi mono locali a tetto spiovente a falda unica, viene aggiunto un piano sovrastane, frazionato con profferlo esterno, contenente scale poste in più delle volte a monte rispetto al declivio del terreno per consentire di realizzare un rifugio per gli animali domestici, gestiti non più all’interno della mono cellula abitativa.

I palazzi signorili invece sono isolati e segnato con la presenza di pietre angolari la tipologia quadrata o rettangolare con i vani disposti lungo le vie del centro antico.

Elementi caratteristici di tali edifici, dal punto di vista compositivo, sono spesso gli accessi ai depositi, da cui si sale con scala interna nelle residenze posta al primo livello, i cornicioni di tegole alettate definiscono i terminali di pendenza delle Lamie di copertura a doppio ordine di coppi e l’innesto con la verticalità dei muri maestri.

I supportici, tipico elemento mediterraneo, di radice arabo egizia, arte contadina sono spesso trattati come elemento di mediazione fra edificio e le vie cieche, di pertinenza di un solo gruppo familiare con giardino annesso.

Sono presenti ai confini dei rioni o dei lotti i muri in pietra a faccia a vista perché a secco, come un elemento in stretta relazione con  il resto del costruito.

I cornicioni quasi sempre in aggetto, rispetto al filo del corpo di fabbrica, si presentano privi di decorazioni, almeno quelli realizzati sino al 1830 e dopo con decorazioni a stucco sotto la gronda ricavata nello spessore stesso della cornice, adesso totalmente in muratura.

Scale esterne e portici sono presenti anche nei casali agricoli e consentono l’accesso alle abitazioni poste al livello sovrastante i depositi degli attrezzi, le stalle i granai e le bottaie.

I sottoportici, sono ricavati in continuità con i volumi edilizi e hanno la funzione di filtri o per meglio dire cautelare la libera circolazione di non indigeni di alcuni rioni.

I miniati caratterizzano la continuità di alcune facciate di edifici di famiglie, che denotano così la crescente forza economica.

In conclusione si può affermare che il percorso architettonico all’interno dei rioni tipici dei paesi minoritari Arbër, della Calabria citeriore, vernacolare prima, intesa sia come parte del tessuto storico e sia come manufatti locali, essenzialmente introversa e poco propensa a delinearne un uso tra interno ed esterno, più stagionale che per doveri sociali che sono al di sopra dei valori di architettura locale.

Si pone quindi una continuità con l’ambiente esterno, pur rimanendo ermetico nella dolcezza dei declivi rivelando sempre una impervietà, una irraggiungibile e impenetrabilità menta che rimane ancora mitica e che vuole più attenzione per essere divulgata.

Il Luogo

In rapporto ai tipi edilizi dell’abitare, delle fasce colli­nari e montane, rappresentano uno dei dizionari com­positivi vernacolari più diretti, a coronare il rispetto per le disposizioni ambientali dalla natura e uomini.

E l’uomo poi, che in definitiva, sposa la natura creando un equilibrio di convivenza costante, al punto tale che lo si potrebbe comparare come ideale matrimonio tra lo sposo uomo e la donna natura.

Parafrasando: una casa in pietra, posta su un declivio dove si elevano mirti, corbezzoli, ginepri, ginestra in vista, un denso e con­torto uliveto, tetti aggettanti in coppi di ter­racotta, a giusto riparo dai venti e dalle improvvise raffiche di pioggia, in dima dolce si inerpica la scala, ripida sopra la stalla, sotto la quale riposano ripa­rati dal sole caldo dell’estate, qui può dirsi si racchiude il Genius loci dell’abitare, di una terra parallela finalmente è serena.

La tipologia

L’area culturale di formazione e da ricercare nella risposta tipologica vernacolare, dove il tipo edilizio è l’espressione locale tipica, essa può essere facilmente individuata nelle sue applicazioni più concrete di casale isolati e, negli articolati e impenetrabili rioni, secondo la misura dei supportici, degli articolati vicoli in salita, con termine privato, le case disposte a fianco una dalle altre, in apparente e/o isolato disordine.

Si potrebbe definire progetto urbano del bisogno comune, formato da lotti fraternamente concordati dai gruppi familiari allargati, tessitura di elevati importata dalla terra di origine Balcanica, così compatta e impenetrabile da far desistere, già a distanza, male intenzionati che preferivano fermarsi in lidi marinari, visto il battito per la difesa prodotta dai tanti cuori vicini.

Il valore di questi organismi murari pulsanti, si colgono solo nella loro silenziosa storica dimensione, poiché realtà sviluppatasi col tempo ed elevatasi, in conseguenza della condizione posta, volta per volta, dai passati paralleli in comune accordo con gli indigeni locali.

L’intorno dell’area, il senso di spazio offerto dalla natura, il territorio circoscritto e individuale di necessità funzionale, da svolgere per la vita, dispone nel manufatto, i fattori condizionanti caratteristici e caratterizzanti il tema di loco.  

Precise configurazioni morfolo­giche, fattori climatici di una ben delineato luogo, hanno peso nel pro­getto eseguito, senza architetti, per questo sono tipologia prima, generata da una precisa tipo­logia riscontrabile in alcuni elementi costitutivi dei manufatti.

Cosi come l’esigenza di sostenere usanze, tradizioni e consuetudini, hanno preteso scelte capaci di influenzare così le tipologie indispensabili, per fini identitari e di credenza, sin anche in rapporto celle cose che legano la casa e la chiesa.

Vi sono elementi costruttivi che carat­terizzano più di tutti il tipo edilizio come ad esempio: muri in pietra locale, li trascinati dai torrentizi o perché estratti da cave in sito, intonacati o superfici di pietra regolarizzati da malte di arena e calce sciolta, le coperture di coppi o elementi naturali intrecciati e regolarizzati con argille.

Questi costituiscono un insieme che a media distanza, fanno emergere le cose della natura, velando quando realizzato dall’uomo, i fili sottili che si intreccia con le corde dell’ambiente naturale.

Questi appaiano quando il tramonto è ormai sera o subito notte perché le flebili luminarie o la variabile fluorescenza dei camini accesi a notte si riverberano.

II muro in pietra rappresenta lo scudo per accostarsi al paesag­gio senza apparire e, immedesimarsi e fare parte delle cose del tempo e la natura.

Le coperture, sono costruite in funzione specifica in comune accorso con le cose dell’ambientali climatico del mediterraneo, dando un limite supe­riore allo spazio, che in questo modo non caratterizza il paesaggio ma entra in scena come protagonista educato e discreto, tetti piani o a carene rovesciate in prossimità del mare a falde in zona colli­nare o montuosa.

Questi determinano per la prima categoria l’essere intercettati al ritorno a casa dei pescatori di ritorno dal mare e in montagna amalgamarsi con la natura per rimanere accumunati alle proprie radici senza tempo.

Lo sviluppo abitativo dal secolo XIV al Secolo XIX

Gli agglomerati diffusi Arbër nascono grazie al modello di famiglia allargata, secondo quanto disposto nel Kanun. I rioni, Katundì, Moticèlleth, Ka Arvomi, Ka rinë relletë, Sheshi, Brègù e Nxertath o Këstegna, rappresentano il percorso evolutivo dell’abitato per restituirci l’attuale assetto planimetrico.

Il processo di trasformazione dell’ambiente naturale in quello costruito Vernacolare è avvenuto secondo i parametri morfologici, orografici e climatici; fondamentali per gli esuli, giacché simili a quelli della terra d’origine.

È in queste macro aree che le costanti dei sistemi urbani: il recinto, la casa e il giardino, hanno trovato l’ambiente ideale per restituire gli ambiti odierni;

il recinto delimita il territorio, ove la famiglia allargata aveva il controllo assoluto;

la casa, anch’essa circoscritta dal cortile era costituita da un unico ambiente in cui conservare le poche suppellettili e alimenti;

il giardino è luogo della prima spogliatura, dimora dell’orto stagionale, la farmacia di casa, l’indispensabile “orto botanico”.

Nel periodo che va dal XV al XX secolo, gli esuli lentamente hanno riposto il modello familiare allargato per quello urbano e poi, in tempi più recenti vive quello della multimedialità.

Quando la famiglia allargata inizia ad assumere la conformazione urbana inizia il realizzare i primi isolati (manxane), secondo schemi articolati o lineari.

Inoltre lo sviluppo degli agglomerati accoglie le direttive dell’urbanistica greca che allocava gli accessi degli abituri sulle strette vie secondarie, rruhat. 

Gli agglomerati Albanofoni rappresentano il cardine che lega lingue, religioni e storia latina, bizantina e greca, in grado di produrre il modello d’integrazione più solido del mediterraneo.

Il piccolo abituro, shëpia, in origine realizzato con rami intrecciati poi con blocchi di terra mista a fango e paglia, in seguito, è stato ottimizzato attraverso l’utilizzo di materiali autoctoni più idonei come: pietre, calce e arena.

Dopo il terremoto del 1783 e la conseguente dismissione della Giunta di Cassa Sacra, gli stessi ambiti urbani minoritari ebbero un nuovo sviluppo architettonico e gli agglomerati iniziarono a svilupparsi verticalmente.

Gli ambiti urbani calabresi assunsero una nuova veste distributiva che allocava i magazzini e le stalle al piano terra mentre le abitazioni erano al primo livello.

I successivi frazionamenti, richiesero l’uso delle scale esterne, profferlo, in quanto, non tutti avevano la possibilità di costruire nuove abitazioni, modificavano radicalmente le prospettive all’interno dei centri antichi.

Il ciclo di crescita si arricchisce ulteriormente dopo il decennio francese, con la costruzione dei noti palazzi nobiliari, in questo caso con paternità architettonica, espressione di una classe sociale emergente.

Ciò avviene solo per le classi più elevate perché quelle meno abbienti continuano a occupare i vecchi abituri e quella media esterna la nuova posizione sociale, imitando frammenti dei palazzi post napoleonici.

 Gjitonia

Ambito sociale immateriale, (dove vedo e dove sento), sin dal XIV secolo resiste alle mutazioni sociali, diventando luogo fondamentale per la ricerca dell’antico legame familiare allargato, indispensabile per la continuità storico consuetudinaria degli Arbër.

Essa ha origine dal tepore del focolare, si espande con cerchi concentrici, nello sheshi, si estende “thë rruhat”, sino a giungere negli angoli più reconditi dei territori rurale di pertinenza dove i cunei agrari e della trasformazione danno dipiù.

La Gjitonia è il luogo dei cinque sensi, punto d’incontro di materia, sentimenti e sensazioni, per questo, si dispone lungo le articolate vie degli sheshi, rifugio ideale di tradizioni, cultura, architettura, artigianato e credenza, in tutto, il genio Arber, ed è proprio qui, dove affacciano le porte gemellate alle piccole finestre delle case, trova luogo il sole e il vento che ti accarezzano e ti sussurrano e, si avverte, si respira, si assapora, si vede, si tocca, senza mai poter essere circoscritti, in quanto sono confini di un’appartenenza diffusa irripetibile.

I Terremoti 

La storia del costruito storico, non ha mai smesso di confrontarsi con gli eventi naturali quali i terremoto, valga per queta la sintesi qui di seguite esposta per dare misura di quale difficolta e interesse sia stata rivolta a questa ennesima dominanza naturale:

1184 – 25 Maggio      – epicentro valle Crati 10°.

1230 – 05 Aprile        – epicentro valle Crati <9°.

1638 – 18 Gennai      – epicentro valle Crati <9°.

1638 – 28 Marzo       – epicentro Nicastro     10°.

1640 – 19 Giugno      – epicentro Nicastro     <9°

1659 – 05 Novembre – epicentro Pizzo C.     10°

1693 – 11 gennaio – Calabria e Sicilia: distruzione totale di oltre 45 centri abitati causando circa 60.000 vittime

1783 – 5 febbraio – Calabria e Sicilia: un terremoto distrusse o danneggiando gli edifici nell’area dello Stretto.

1783 – 28 Febbraio    – epicentro Calabria.     9°

1835 – 12 Ottobre      – epicentro Castiglione C.    9°

1854 – 12 Febbraio    – epicentro Cosenza.     9°

1870 – 4 Ottobre        – epicentro Cosenza.     9°

1905 – 8 settembre – Calabria: epicentro golfo di Santa Eufemia.

1908 – 28 dicembre – Calabria e Sicilia: il terremoto interessò gli edifici nell’area dello Stretto. causando 130.000 morti.

 

I Materiali

Il materiale conferisce consistenza fisica alle cose, ma anche ciò da cui partiamo per realizzare gli elevati, dopo aver realizzato il pianoro abitativo contornato dallo scavo, che perimetralmente, in quanto piano fondale, non è mai regolare ma spontaneo da progetto vernacolare eseguito.

Le abitazioni così assumono il ruolo, di dare corpo e ragione a un ben identificato luogo; per questo essi non possono essere elemento neutro nel processo costruttivo per diventare proseguimento naturale del luogo in elevato, per le cose di quanti troveranno ristoro e dimora.

Tutti i materiali da costruzione (tradizionali o moderni): pietra, legno, ferro, cemento, vetro, materie plastiche, sono dotati di una propria impronta d’impiego specifico sia tecni­co e formale d’uso.  

E la scelta di ognuna di esse che viene investita di significato, connessa a tutti gli altri elemen­ti accanto, costituenti il continuo prospettico di funzione specifica. 

Calce di intonaci dalle diffe­renti grane, legno, pietra calcarea, argilla, sono i materiali tipici dell’arte di Calabria citeriore sin dai tempi della Sibari Antica, per questo diventano manuale di tempo e di luogo, facilmente identificabile, specie se ad iniziare dalle opere spontanee degli esuli Arbanon secondo i principi fondamento, della promessa Kanuniana.

 

Il Colore

Nei centri antichi dei Katundë Arbër risultano prevalere i colori molto tenui derivanti dall’uso delle terre e latte di calce, anche se sono presenti colori più aerei come specie per le residenze nate vicino al mare.

Tuttavia i colori che in definitiva caratterizzano l’area della Calabria Citeriore Collinare e Montana sono materiali, di grana o tono della pietra locale, ricca di componenti ferrosi e di quelli alluvionali di calcari sciolti.

Tra le pietre da taglio, si va dai toni chiari delta pie­tra tufaceo della frazione Scesci in Terra di Sofia, di Mongrassano e Rogliano, toni giallastri, impiegati prevalentemente dai lapicidi locali per davanzali, aghetti di balconi, mensole, portali, soglie, gradini pietre angolari e di fondazione, per primo ordine degli elevati.

Al tono ferroso delle facciate, talvolta interrotto dalle bianche incorniciature di calce degli affacci, si sovrappone l’argilla rossastra dei manti delle coperture, immedesimando il costruito nei colori della natura.

L’indirizzo estremamente generico e poco propositi­ o delle normative vigenti ha fatto si, che il “proble­ma colore” sia stato spesso affrontato in modo par­ziale e non organico, innalzando il valore del costruito da tutti ben visibili e valutabili, perché inestimabili.

Se a questo aggiungiamo il modus operandi di numerose amministrazioni, le quali invece di fare tesoro delle cose trascurate o poco valutate con cultura in attività di merito, si dilettano nel vitalizzare gli anfratti della storia vernacolare, ostinandosi a raffigurare momenti di vita senza alcun rispetto degli uomini e delle cose che appartengono a quei luoghi dove la storia di noi tutti è depositata.

Occorre, per questo, una volta acquisita la concezione storica del rapporto architettura, colore, ambiente e costruito, delineare un protocollo diffuso che interessi per ogni Paese, Contrade, Casale, Frazione o Katundë, il trattamento della facciata degli edifici sul piano del regola­mento urbanistico strettamente locale, anzi Vernacolare, secondo prassi istruttoria che ne garan­tisca il buon risultato di tutela storico locale di luogo e di punto.

 

I piani fondali degli elevati

I piani fondali generalmente, non erano o si generavano sotto il piano di calpestio del manufatto edilizio, giacché si poteva risparmiare materiale o esenzione muraria. realizzando il piano abitativo contro declivio naturale, per questo contribuendo agli elevati di fondo o nei laterali murari che avevano piani fondali differenziati.

Nelle analisi e rilievi in loco eseguito sono molteplici i casi di piani fondali inesistenti in quanto le murature partivano su piano realizzati in tutta sicurezza di sostenere murature tipiche di loco.

Le Coperture

La casa ad uso abitativo ha funzione determinata anche dalla copertura “a tetto” con spioventi e tegole laterizie secondo il tipo della casa collinare, mentre in ambiti prospicienti il mare sono utilizzate “lamie” e terrazze ed ancor più l’uso di spioventi a carena rovesciata, per convogliare le acque piovane, sicuramente in quei luoghi fondamentali.

La linea di gronda degli spioventi laterizi per questo viene marcata da cornici aggettanti per comporre con coppi legati con malta secondo compositivi articolati per forma e colore, ma, nell’edilizia minore, con il sempli­ce aggetto del filare di tegole.

Altrettanto marcata e la linea di displuvio o di colmo dove è frequente l’uso di predisporre con distanze opportune il manto di tegole delle pietre per la tenuta al vento del manto inclinato dai paramenti verticali. 

Portali e finestre

Il contatto del mondo domestico con quello ester­no si e attuato da sempre attraverso porte e fine­stre, la prima consente l’entrata e l’uscita, ne protegge il passaggio, mentre le finestra, si osserva e si controlla il paesaggio.

I portali costituiscono il fulcro visivo della facciata e la forma prevalente nella valle del Crati e quella dell’arco a tutto sesto, su piedritti realizzato in mattoni o in pietra lavorata, in questo caso con il concio in chiave attestante l’atto di nascita ed il committente della casa.

Alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso essendo mutati i caratteri della tipolo­gia, l’importanza dell’ingresso e stata trasferita su altri elementi della facciata pure rintracciabili nella tradizione: scale esterne, profferlo, piccoli volumi in aggetto, per realizzare forni o servizi igienici definirono i nuovi accessi alle abitazioni

Le finestre gemellate in genere piccole aperture di ventilazione, semplici squarci nella muratura o ric­chi esempi con davanzali in pietra e decori in stucco, dell’uomo e con i nuovi sistemi costruttivi sono diventate sempre più ampie rendendo protagonisti in vetro e la luce.

Grondaie e Cornicioni

Coronamento di case e palazzi, nell’ambiente rurale, i cornicioni e le gronde pre­sentano sempre un aspetto semplice.

In tutto componimenti semplici realizzati in elementi di cotto, con materiale pove­ro, essi riescono a soddisfare tanto l’esigenza estetica che la funzione del riparo e del convoglia­ mento delle acque piovane.

Se per tale elemento compositivo il riferimento esemplare e il cornicione da ora diventa espressione della civiltà contadina con i suoi componenti in pietra e la linea di finitura degli edifici, sebbene in alcuni casali ed in alcuni edifici ottocenteschi gli stucchi lasciano spesso il posto ai medesimi materiali poveri articolati pero secondo un ricco registro compositivo.

Nelle costruzioni recenti raramente e stata ripresa la tradizione, espressa in un nuovo linguaggio; del resto con l‘architettura moderna i grandi cornicio­ni aggettanti tendono a scomparire, auspicando l’inizio del loro declino.

Le Scale

La scala esterna appartiene per meta alla casa e per meta allo spazio urbano, generalmente realizzata in pietra da taglio o in mattoni, è un elemento fondamentale della morfologia urbana a iniziare dal XVIII secolo, per questo suo stretto rapporto con le gradonate della viabilità in pendio; ma, ovviamente, la sua funzione non si esaurisce in questo dato essendo di frequente utilizzato anche nella casa isolata o in piano.

In definitiva è l’elemento che caratterizza le vie e le facciate e conferisce al manufatto edilizio un raccordo più articolato con il suolo, definendo i diversi livelli, con lo spazio esterno.

In alcuni esempi, un accorgimento che rende eleganza e condita a una scala all’aperto e interporre con un pianerottolo l’ingresso nel piano abitato.

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