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IL PATRIARCATO ALLARGATO ARBËRESHË NEL REGNO DI NAPOLI

Posted on 19 gennaio 2013 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Le famiglie allargate di origine albanofona, nel XV secolo, al pari di quelle più antiche del periodo greco-romano hanno partecipato al secolare funzionamento del sistema urbano dei piccoli borghi del Regno di Napoli, mantenendo nel tempo un evidente livello di solidità con le antiche origini, nonostante la costante esposizione alle costumanze meridionali italiche e di assoggettamento ai dominatori ispanici.

La partecipazione alla vita del regno di Napoli, capitale, da parte degli albanofoni avveniva attraverso un vincolo simbiotico, giacché i diretti referenti erano le tante famiglie patrizie, proprietarie dei possedimenti in cui essi ebbero l’opportunità di insediarsi, in quanto esuli esuli.

Gli arbëreshë organizzati in gruppi familiari allargati, si insediarono in aree ben definite dai regnanti, abbarbicandosi alle tradizioni e costumanze proprie, diventando in breve tempo importanti protagonisti dello sviluppo economico, urbanistico, poi anche letterario, del meridionale e in modo più pregnante nella provincia citeriore calabrese.

Traccia indelebile del proprio livello socio­culturale e orgogliosi del linguaggio di appartenenza, edificarono manufatti, cappelle, chiese e contribuendo, inoltre, alla nascita di importanti modelli urbani, che non sono stati mai adeguatamente studiati, perché di architettura minore, perché di non facile lettura.

Di rilevante importanza, peraltro, fu il contributo degli albanofoni allo sviluppo dell’economia, specializzati nell’attività di rassodamento delle zone collinari intensive e quelle pianeggianti estensive.

Il latifondismo feudale, garantì nei secoli un micro-sistema economico locale basato su un’agricoltura sviluppata su varie attività di allevamento collegate.

Il luogo di governo e di strategie di queste attività è rappresentato dai così detti Sheshi o Seggi.

La nascita delle piccole pertinenze di governo albanofono, si ritiene essere alquanto antica, tale da risalire alle leggendarie fratrie urbane delle città greche, che componevano le fratrie per gli albanofoni manxane, cioè i corpi in cui era diviso il popolo.

Le fratrie corrispondevano a spazi in cui erano contenuti gli elementi caratterizzanti, come le Chiese e i piccoli Katoj icone ancora presenti nelle cittadine.

Secondo la tradizione urbanistica greca, inoltre, prevedeva un numero di queste aree d’incontro, presenti in tutte le colonie della Magna Grecia, pari a quattro da cui deriva il termine quartiere.

Una schiera di storici antagonista a questo teorema, di contro, sostiene che i presidi urbani all’origine fossero divisi in tre, piazze o strade, (Sheshi e Udha) e altre per traverso, dette Vichi ( Ruath).

Le fratrie o sheshi, erano dedicate ad un nume, dal quale prendevano il nome e ove era tradizione radunarsi per ricordare le gesta dei valorosi avi, nel caso degli albanofoni era il luogo deputato a tramandare la cultura le tradizioni e le antiche regole non scritte perché preferite nella forma orale, che per gli arbëri era ritenuta la più sicura giacché non consentiva interpretazioni personali.

La trasformazione delle fratrie in sheshi avvenne alla fine del XVI secolo, quando popolani ecclesiasti e gentiluomini cominciarono a erigere edifici e manufatti edilizi di espansione e della religione cristiana.

In seguito, appositi sedili di riunione o seduta per i cittadini, sono  diventate vere e proprie cattedre a cielo aperto dai quali derivò l’uso della denominazione per indicare detti luoghi, Gjitonie.

Comunque, occorre mantenere la distinzione tra “Sheshi” e “Gjitonia”, in quanto: sia più generico il nome, di Gjitonia, che di Sheshi, considerandosi come specie al genere, onde si può dire è sheshi, dunque è gjitonia, perché è una parte di essa; dove convengono gli appartenenti al gruppo della famiglia allargata primitiva, che adesso dimorano nei pressi.

Citare un vecchio detto rende più chiara la dimensione ed il valore di questi piccoli anfratti di formazione culturale; dove arriva la vista e la voce: (ku shòh e ku gjegjen).

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