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DOPO DANZE MITO E IDIOMA DOBBIAMO PREGARE RIVOLTI AL LOR SIGNORE CHE SORGE

Posted on 30 maggio 2024 by admin

Ina Casa 2

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – La deriva culturale da cui sfuggimmo e, per la quale siamo diventati esuli integrati in queste terre parallele, è racchiuso nel concetto di non aver voluto soccombere e quello che oggi si palesa a casa nostra e, ormai divenuto più sopportabile.

Nonostante la volontà di fare bene e meglio esprimendo e affermando tutto il patrimonio ereditato per discendenza diretta, ha ritrovato nuovamente pena identica qui in terra parallela di quanto i nostri antenati sfuggirono sei secoli orsono.

Due cose sono certe; la prima è lo sfaldamento culturale avuto inizio nel XVII secolo con il vertice di pena nel sessantotto del secolo scorso; la seconda è la caparbietà turcheggiante che non ha mai smesso di inseguirci per piegarci e, oggi dopo il sessantotto hanno riprese le manovre di sottomissione, di consuetudinari, linguistica i costumi e la credenza.

Oggi la deriva, senza confini ci insegue e ci insegna a ballare secondo le anche islamiche senza pudore, siamo invasi secondo le credenze dei loro miti, vendendo sgretolarsi la credenza portata oltre adriatico con non poca pena e sacrifici dai nostri avi.

Vanno dicendo che bisogna rinnovarsi e le parlate devono essere rinnovate, perché le cose antiche non hanno più senso in questo mondo globalizzato e chi volesse studiare o entra nei canali riconosciuta da quella corte ambigua senza credenza, fa meglio a rimane isolate a fare il contadino che ciba lo stomaco e lascia deserto il cuore la mente e l’animo nobile, quello che  abbiamo ereditato dai nostri umili ma sapienti genitori.

Che si cibavano di crusca di grano e non di veli o nebbie generate, dalla “farina fatua” lasciata incautamente nell’aia a prendere sole degenere, non è certo il meglio della cultura che fa la regione storica.

Noi siamo Arbëreşë, voi non so cosa; tuttavia se si esalta l’opera del mugnaio matto, che espone le macine senza l’acqua che le fa ruotare; rappresenta la deriva di un figlio degenere, come chi prestava il grano per entrare nelle famiglie e manomettere le risorse del sudore altrui.

Gli esempi sono molteplici ed oggi, pochi ne conoscono il senso o il valore storico e, se questo accade non viene per caso, visti i temi in fermento, con i quali si trattano integrazione, ponti e, credenze, senza avere misura, di quanto apporto fornì nella storia d’Europa il genio arbëreşë.

La storia degli Arbëreşë è fatta di lavoro sudore, studio, credenza, legalità, genio e diffusione editoriale senza confini o generi da sottomettere o distruggere i popoli di cui erano parte.

A tal fine e per comprendere meglio la misura delle cose, chi si reca negli ambiti, in specie i Katundë della “Regione storica diffusa e sostenuta dagli Arbëreşë”, da oggi in avanti, provvedesse prima di tutto a confrontarsi con quanti studiano, analizzano e promuovono il territorio senza soluzione di continuità da molti decenni e, non con le istituzioni che essendo volontà popolare a scadenza di mandato, mancano di quella formazione storica continuata dalla radice indivisibile.

Venite in “Regione storica Arbëreşë”, ma mi raccomando, onorate i condottieri dell’ordine del drago quando non erano più ricattati per la propria famiglia in ostaggio e il suo popolo che con sacrifico allevava e sosteneva le proprie radici.

Le vostre fatue ragnatele, sono il motivo per il quale, le nostre discendenze preferirono migrare e disegnare paralleli ambientali di genio e di cuore, con credenza antica, la stessa che voi viandanti non dedicate tempo di confronto, con i veri saggi locali, quelli eletti dal tempo e dalla saggezza locale, nel più riservato silenzio ovvero i: nemo propheta acceptus est in patria sua; perchè: Jaku jonë i shëprishur sù harrua!

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