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GINESTRA 15 GIUGNO. IN VISITA DALL’EMORY UNIVERSITA (ATLANTA, GEORGIA), DIPARTIMENTO STUDI ITALIANI, 40 STUDENTI PER APPRENDERE LA STORIA E LA CULTURA ARBERESHE. IDEATRICE, LA PROF.SSA CASSANDRA QUAVE, DOCENTE DI ETNOBOTANICA

Posted on 09 giugno 2013 by admin

GINESTRA ( di Lorenzo Zolfo) – Il 15 giugno il piccolo centro arbereshe, di poco più di 700 abitanti, sarà all’attenzione internazionale. La Prof. Judy Raggi-Moore (Emory Universita, Dipartimento di Studi Italiani) e 40 studenti della Emory Universita (Atlanta, Georgia, Stati Uniti) nell’ambito del progetto interdisciplinare “Italian and Medical Humanities” giungeranno a Ginestra  per conoscere la storia Arbëreshë e le tradizioni mediche della regione. Il Programma di studi italiano offrirà agli studenti un’immersione autentica, unica e molto intensa nella cultura italiana, la letteratura, l’arte, la storia, la religione e attualità. Ideatrice di questa visita a Ginestra, la prof.ssa Cassandra Quave, docente di Etnobotanica presso l’Emory Universita, centro per lo studio della salute umana. La prof.ssa Quave è già stata più volte a Ginestra dove alcuni anni fa ha pubblicato e presentato un libro dal titolo: “Medicina popolare del Vulture” che fornisce informazioni, dopo anni di studio effettuato nel centro arbereshe sui meccanismi della trasmissione della conoscenza tradizionale tra generazioni, riguardanti la ricerca etnobotanica e quella etnomedica di quest’area del sud Italia unica per la presenza di due culture: quella italiana e quella etnica albanese (Arbereshe). La prof.ssa Quave, in questi giorni si trova nel centro arbereshe per ultimare il programma, avvicinata, in un accento italiano abbastanza preciso (ha sposato un cittadino di Ginestra) ha spiegato i dettagli di questo progetto: “ Questo programma insegna agli studenti ad esplorare i vari percorsi di comunicazione con gli “altri” in ultima analisi, dando loro un ben migliore senso di sé. Questo programma offre uno studio interdisciplinare dell’Italia attraverso i secoli, incorporando le prospettive di studi interdisciplinari culturali italiani, e Medical Humanities, con la partecipazione straordinaria di docenti della Scuola Emory Etico, Facoltà di Medicina e Centro per il Controllo delle Malattie. Ginestra è un comune di origine Arbëreshë fondato nella seconda metà del XV secolo, paese ancora oggi tipicamente rurale, per anni la sua attività prevalente è stata quella agro-pastorale. Gli studenti in visita e i docenti saranno ospiti dell’amministrazione comunale,dello Sportello Linguistico e della Pro-Loco. Gli studenti inizieranno la giornata con una visita ad un vigneto di famiglia locale e l’Orto Etnobotanico di Ginestra, dove potranno conoscere i cibi locali selvatici (liakra), piante medicinali, e le piante alimentari coltivate. Dopo la lezione sulle piante locali, gli studenti saranno informati sulla storia Arbëreshë e vedere diverse esposizioni di cibi tradizionali di Ginestra nel Borgo dei Sapori. Ciò includerà dimostrazioni nella Bottega del Grano, Bottega dei Pastori, Bottega dell’Olio e delle Erbe, e Bottega del Vino. Il borgo dei sapori è un museo all’interno del nucleo storico del comune costituito da una rete di edifici che ospitano le diverse fasi della gastronomia locale e della trasformazione agroalimentare. L’idea è quella di riproporre, nel quadro di un paesaggio rurale e silenzioso, custode di uno stile di vita tradizionale, la ricerca dei sapore tipici che si basano sulla unicità dei prodotti della terra di Ginestra unitamente alla storia gastronomica del centro.

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MASCHITO. 6 GIUGNO 2013. INAUGURAZIONE MOSTRA SUL NOVECENTO

Posted on 02 giugno 2013 by admin

MASCHITO (di Lorenzo Zolfo) – L’Amministrazione Comunale in collaborazione con le associazioni locali ed in particolare con il contributo di Michele Sciarillo (un emigrante, ritornato a Maschito, che per 30 anni ha fatto parlare di sé anche fuori regione. A Prato ha aperto il “Caffè al teatro”, posto sul retro del famoso teatro Metastasio, un punto di incontro per cantanti,attori,scrittori, pittori e musicisti, ospitando ogni sera eventi culturali di tutti i generi. Mariangela Melato,Massimo Castri,Carmelo Bene,Moni Ovadia,Massimo Ranieri,Milva,Monica Vitti, Roberto De Simone, Lello Arena,Claudio Morganti sono solo alcuni degli artisti che hanno scelto il Caffè come tappa del loro viaggio artistico.Nel 2007 ha organizzato a Maschito un concerto musicale di gran classe con il violinista statunitense Brad Repp,il soprano Maria Luigia Borsi ed il pianista pratese Aldo Gentileschi. Tra le altre cose che ha fatto in Toscana, ha fondato insieme a Luigi Nidito,un altro maschitano,ex amministratore di Prato, un circolo culturale arbareshe, uno dei più grandi d’Italia, frequentato da circa quattromila albanesi. “Il mio ritorno a Maschito non sarà da pensionato, ma cercherò di dare il mio contributo all’intera regione e soprattutto alla valorizzazione del mio paese” ha riferito, quando è ritornato definitivamente l’anno scorso)  ha già approntato una serie di iniziative culturali, musicali e sportive che prenderanno il via dal mese di giugno fino ad agosto. Il prossimo 6 giugno alle ore 18 verrà inaugurato per il centro di Maschito una mostra di gigantografie in bianco e nero dal titolo significativo: “Novecento”.Trattasi di foto del secolo scorso di vita quotidiana.Le foto verranno esposte lungo tutto il centro storico accompagneranno lo spettatore in un percorso pieno di ricordi. Con la mostra si vuol portare il visitatore indietro nel tempo con la memoria in ricordi mai perduti.Non è un caso aver scelto questo percorso che porta fino alla piazzetta del paese dove un tempo si svolgevano le feste e tutta la gente si ritrovava a divertirsi.L’intento del progetto è proprio quello di riportare tutti in piazza come una volta e creare quella convivialità che ormai sembra appartenere ad altri tempi.Si avrà così modo di vedere quella che era l’esistenza di chi ha vissuto quei periodi in vari momenti di vita:matrimoni,scuola, processione. A seguire alle ore 19 presso la chiesa madre di San Elia ci sarà il concerto il concerto del “Coro di Clarinetti” del Conservatorio “Carlo Gesualdo da Venosa” di Potenza con la partecipazione straordinaria della Soprano, Elisabetta Caputi, patrocinato dal Comune con la collaborazione di Michele Sciarillo e Donatella De Luca.nza “Gesualdo da Venosa” con la partecipazione del Soprano Elisabetta Caputi,

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AVV. GIUSEPPE ANTONIO MARIA BAFFA

Posted on 30 maggio 2013 by admin

BOLOGNA ( di Giuseppe Chimisso) – Il 13 gennaio 2000 in un tragico, quanto ancora oggi inspiegabile, incidente stradale perdevano la vita, l’Avv. Giuseppe A. M. Baffa, assieme al nuovo giovane collaboratore Avv. Francesco Perrotta e rimaneva seriamente ferito l’Avv. Russo, mentre si recavano all’udienza dei processo sulla strage di Otranto in quanto difensori delle vittime e dei superstiti, sacrificando anche la vita nella difesa del prin­cipio di una giustizia giusta.

Penso sia bene tornare a riflettere su questo dramma che segue una tragedia che il tempo rischia di derubricare a vicenda.

A suo tempo avevamo proposto di intitolare una strada all’Avv. Giuseppe A. M. Baffa in un comune arbëreshë ed in particolare a San Demetrio Corone, suo luogo di nascita, inviando un appello, all’allora, Amministrazione Comunale, appello che ricordava come l’Avv. Baffa “aveva saputo proporsi come volto amico, sapeva infondere speranza, sapeva essere d’esempio per una vita condotta all’insegna dell’onestà e dell’abnegazio­ne” oltre ad essere un patrocinatore generoso e profes­sionalmente esemplare; tutto questo affinché la memoria del sacrificio del l’Avv. Baffa si elevasse a tributo civico.

Grande risonanza ed ampia adesione aveva avuto la pro­posta da entrambe le sponde dell’Adriatico, adesione che in modo trasversale univa tutte le parti politiche, la società civile e religiosa, messaggi erano giunti anche dal sindaco di Cosenza e da sensibili Senatori della Repubblica.

Solamente dal comune di S. Demetrio Corone suo paese d’origine, il vuoto pneuma­tico e statico, che si materializzava nel totale silenzio istituzionale.

Numerose altre iniziative si sono susseguite con ampia eco stampa, tra le quali quella al Palazzo della Cultura a Cosenza, quella a Roma per la concessione post mortem della medaglia d’oro del Presidente della Repubblica d’Al­bania, sempre patrocinata dall’Associazione Skanderbeg di Bologna, come pure è continuato imperterrito il fragoro­so silenzio da parte del Comune di S. Demetrio Corone.

Finalmente l’allora Presidente Albanese Alfred Moisiu, nel centenario Deradiano, in visita a Macchia, prima, ed a S. Demetrio poi, nella ‘vecchia fucina del diavolo’ossia nel Collegio di S. Adriano, con parole da poeta, ma con la de­terminazione da generale qual è , nell’onorare il legame che da sempre unisce la gente arbëreshë, alla madrepa­tria, onora ” la gente comune che con atti non comuni diventa eroe”, il Suo pensiero e quello di tutta la platea va a Giuseppe Antonio Maria Baffa.

I silenzi istituzionali di S. Demetrio Corone si trasformano così in glaciale imbarazzo.

A ben pensarci l’unica reazione, per altro scomposta, ri­cevuta da S. Demetrio, è stata una telefonata piena di livore ed astio da parte di colui che si presentava come il padre padrone del paese, ma che nella realtà manifestava una misera logica legata visceralmente ai piccoli bisticci e frizioni tra famiglie del paese stesso.

Ci siamo chiesti se si poteva fare meglio o di più, proba­bilmente si.

Quello che non si voleva fare era sottacere l’amore dell’Avv. Baffa verso chi soffriva e gli ricordava le sue origini, la sua cultura e le sue nobili tradizioni, di cui, invece di vergognarsi, andava orgoglioso.

Quanto sopra, per parafrasare George Orwell nel suo 1984, affin­ché non ‘tutto si confonda in una nebbia. Il passato non sia cancellato, le cancellature non siano dimenticate, e le menzogne non divengano realtà’.

Se è vero come scriveva Orwell, che ‘la libertà consiste nella libertà di dire che due più due fanno quattro; se è concessa questa libertà, ne seguono tutte le altre’.

Se questo è vero, oggi dobbiamo riconoscere a ‘Katundi Yne’ la possibilità di esercitare questa libertà.

La libertà di richiedere ancora una volta, di intestare una via o una Piazza, in ricordo dell’Avv. Giuseppe A. M. Baffa e  rammendare un buco nella memoria di tutte le comunità.

Sarebbe grave che questo buco riman­ga aperto grazie all’insensibilità o peggio all’ignavia di qualche amministratore double-face che è arbëreshë solo quando conviene.

Fra i tanti amministratori locali arbëreshë ci sono certa­mente uomini leali, di buona volontà, animati da un sano ed onesto spirito solidale e di servizio per le proprie co­munità, con la mente non obnubilata dalle perverse logi­che che ammorbano il ceto politico nazionale che tanto danno fanno all’Italia, amministratori che nel patrocina­re l’intestazione di una via nel proprio comune all’Avv. Giuseppe A. M. Baffa, posseggano la sensibilità di ren­dere così onore e di farsi interpreti di uomini solidali e generosi, qual’era l’avv. Baffa, il quale oggi, sempre più, rappresenta il volto di un’Italia aperta all’incontro, delle popolazioni rivierasche che soccorrono i deboli alla de­riva, del desiderio comune per un futuro di speranza e fratellanza.

Agli amministratori consapevoli che il passato non si cancella, che fare memoria, è ridare ai vivi, ai morti, ai dispersi nei mari, è ridare a noi stessi quella dignità che è inscindibile di ogni essere umano, al di là di ogni defi­nizione giuridica, di ogni individualità e diversità di pro­venienza e cultura, a questi amministratori, nell’approssimarsi del 13° anniversario della scomparsa, rivolgiamo ancora l’invito ad intestare una strada all’Avv. Giuseppe Antonio Maria Baffa.

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Protetto: I PAESI ARBËRESHË NEL REGNO DI NAPOLI

Posted on 25 maggio 2013 by admin

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Protetto: SANTA SOFIA D’EPIRO E IL CATASTO ONCIARIO (A mio Padre)

Posted on 21 maggio 2013 by admin

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SHESHI NËNGH ËSHTË MË JONI

Protetto: SHESHI NËNGH ËSHTË MË JONI

Posted on 13 maggio 2013 by admin

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NOVÈNAT E SHËN TANÀSIT

Posted on 24 aprile 2013 by admin

Santa Sofia D’Epiro – 23 Aprile 2013

NOVÈNAT E SHËN TANÀSIT è un’attività di devozione cristiana che consiste principalmente nel recitare preghiere ripetute per nove giorni consecutivi in onore al santo. Il suo nome proviene dal latino medievale novenus (nono).

È destinata alla preparazione della festa del due di Maggio ricorrenza solenne.

La pratica trae ispirazione dagli Atti degli Apostoli dove viene descritto come la Madonna e gli Apostoli pregarono in modo assiduo e concorde nei nove giorni compresi tra l’Ascensione di Gesù Cristo e la discesa in terra dello Spirito Santo durante la Pentecoste.

SHËN TANÀSIT

Dita jote gaz na siell,

Shën Thanàs ç’ë rri ndër qiell

parkales Krishtin për ne

si Avukati in çë’je.

Ti nderove Allesandrìn,

Ti sallvove Orthodoksin,

Qisha Të bën Kullon të par

Tij t’mban e t’venerar.

Ari i lik na kish nganuer

mos e kishe Ti kultuer,

se tek Inzot fra At e Bir

një Sustanxje esistir.

Èmri it u shprjsh mbi dhe,

me at bes çë atjè dhé;

Ari pjasi, ma kush shkoj,

kush si ti guaje duroj?

Edhe Shpirti Shënjt, Zoti in,

çë per Qishen bes, dotrin

pat ka penda Jote drit,

me atë Kristjanezmi u rrit.

Eresit per Tij si bar,

e çë si gjëmbi aren fukar,

me shkrime si thik i preve,

shiu i Shëjtëris Ti qeve.

E vërteta Të pëlqèu

më se t’mirat çë je dheu.

E pra Ti vure at gjuhë si shpat

E Mberatur luftove shtat,

Nëng ë vërtut çë ti së paté,

nd’ata gjellen sempre mate,

andaj tek Ti si ndë ndë speq

Naxjanxeni shih dreq.

Se të seguirmi besen tënde

ndëjna doren tek Ti gjënde,

e ashtu tek ëmri Tënd nga mot

doxa i jami na Tin Zot.

A SANT’ATANASIO

IL Tuo giorno ci porta gioia

Sant’ Atanasio che nei cieli stai,

prega Cristo per noi

perché nostro difensore Tu sei.

Tu Alessandria hai onorato,

Tu l’Ortodossia hai salvato,

la Chiesa prima colonna Ti pone

onorandoTi e venerandoTi

Ario l’empion ci aveva ingannato

se Tu non gli avessi ricordato

che in Dio, tra Padre e Figlio

una sola sostanza esiste.

Il Tuo nome si è diffuso nel mondo

con quella fede che lì hai dato (a Nicea);

Ario crepò, ma chi patì

e chi come Te soffrì?

Anche lo Spirito Santo, nostro Signore,

che per la Chiesa è fedele e dottrina,

dalle Tue opere luce ha avuto

e il Cristianesimo è cresciuto.

Le eresie per Te come erba furano

e come il nostro rovo soffoca le messi,

con i Tuoi scritti come lama le hai recise,

quindi pioggia di Santità Tu fosti.

E la Verità amasti

più dei beni che il mondo offre

e dopo la lingua come spada usasti

e contro sette Imperatori lottasti.

Non vi è virtù che non hai avuto

e ad esse la Tua vita hai ispirato,

perciò in Te come in uno specchio

il Nanziazeno vedeva la retta via.

Per seguire la Tua fede

porgici la mano ovunque Tu sia,

così nel Tuo nome ogni anno

rendiamo gloria a Dio.

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Protetto: MÌZA SCIURBHEN E CINXËRI KËNDON

Posted on 16 aprile 2013 by admin

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Protetto: QUANDO IL COLLEGIO CORSINI ERA DI SAN BENEDETTO ULLANO sà lòt kjò zëmer

Posted on 25 marzo 2013 by admin

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DOMENICO MAURO: San Demetrio Corone, 13 Gennaio del 1812, Firenze 19 Gennaio del 1873

Posted on 14 marzo 2013 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Domenico Mauro fu definito: Uomo di profondo ingegno e di ricchissima dottrina, onorò la terra d’Arberia per il suo forte valore in armi per la patria e la letteratura.

Il riferimento non è esagerata, poiché il Mauro, oltre che un buon letterato, fu veramente un grande amante della Patria.

Nacque in San Demetrio Corone il 13 gennaio del 1812 da Angelo e Caterina Lopez, il suo percorso formativo ebbe inizio presso le scuole nel Collegio Italo Albanese di S. Adriano dal 1823 al 1830, dopo di che si trasferì a Napoli per continuare gli studi nelle discipline giuridiche.

Ispirato però da ideologie Carbonari, già da San Demetrio dove si riuniva per questo motivo in casa di Giuseppe Barone, educato nel Collegio che era la fucina del liberalismo meridionale, si affermò nella nobile missione di esaltare i sensi di libertà le giovani leve della città partenopea.

Trascorsi i primi anni a divulgare questo nuovo modello di pensiero, per essere più incisivo nelle sue idee aprì una scuola privata gratuita cui accorsero in molti giovani studenti.

La polizia Borbone che nella capitale era attenta ai nuovi pensieri di rinnovamento, ben presto seppe del suo progetto e per questo lo arrestò e rinchiuso nelle carceri del regno per quattro mesi.

Il mauro dopo la detenzione e le minacce che gli furono rivolte per spegnere il suo ardore, proseguì la sua opera nei convegni privati, nei caffè e in ogni dove.

Arrestato nuovamente nel 1837, cambiò atteggiamento e da allora inizio a diffondere le sue idee a mezzo stampa e nel 1840, pubblicò il libro Allegorie e Bellezze della Divina Commedia.

Nello stesso anno diede avvio alle stampe di un giornale letterario dal titolo: Il Viaggiatore, che per i suoi alti contenuti patriottici fu soppresso dalla vigile polizia partenopea .

Proseguendo gli ideali della Giovine Italia, convinto che sarebbe bastato dare il segnale della rivolta, per vedere insorgere, come un solo uomo i popoli del Regno di Napoli contro l’aborrita tirannide Borbone, egli decise di scendere in campo ed agire direttamente.

A tal proposito ritenne che la sua attività sarebbe stata più pregnante nei paesi albanofoni del cosentino, dove egli, arbëreshë di nascita, era tenuto in grande considerazione e aveva perfino fissato il giorno in cui doveva scoppiare il primo moto liberale calabrese, ma la polizia Borbone anticipò le sue mosse e lo arrestò a San Demetrio rinchiudendolo nelle carceri di Cosenza.

L’insurrezione però solo rimandata, giacché anche dal carcere, Domenico Mauro trovò il modo di comunicare con i suoi amici e il 15 marzo il moto cosentino scoppiò egualmente, ma purtroppo non ebbe un buon esito perché costò la vita di parecchi giovani e valorosi arbëreshë.

Il patriottico gesto valse a richiamare di lì a poco in Calabria i Fratelli Bandiera e i loro compagni, dando così avvio all’azione che sedici anni più tardi, li fece entrare da trionfatori a Napoli.

In quell’occasione Domenico Mauro si salvò perché chiuso in carcere e non ebbe a combattere con gli altri, ma i servizi di polizia dei Borbone sapevano, che tutto ciò era avvenuto per opera del Mauro e mancando le prove di complicità per condannarlo lo tennero in prigione fino al gennaio del 1845, facendolo passare dalle patrie galere i Cosenza a quelle di Santa Maria Apparente di Napoli.

Appena libero ricominciò la sua opera di propaganda con più entusiasmo e nuovamente arrestato sino al 1848, in periodo fu detenuto assieme al fratello Vincenzo che l’anno prima, aveva con altri Italo Albanesi ordito una congiura contro il Re.

Egli fu il principale promotore della manifestazione del 27 gennaio che strappò al Borbone la Costituzione, le elezioni che seguirono furono un suffragio a suo favore giacché gli elettori del suo collegio lo elessero con più di ottomila preferenze.

Avvenuti poi i luttuosi fatti di Napoli del 15 maggio, quando il Borbone abolì la costituzione, fu dei 64 che firmarono la protesta dettata da Pasquale Stanislao Mancini, e dopo aver strenuamente combattuto sulle barricate, corse a sollevare e far sentire forte il grido di libertà dalle Calabrie.

Il Mauro si prodigò assieme al Damis a raccogliere uomini, denari e armi; il Comitato di Cosenza presieduto da Giuseppe Ricciardi, nominò commissari con pieni poteri per il Distretto di Castrovillari i deputati Domenico Mauro e Muzio Giuseppe, anch’egli arbëreshë di Frascineto.

Intanto a Spezzano Albanese e a S. Elia, gli insorti respinsero valorosamente le truppe regie, purtroppo l’incertezza che allora era più forte di ogni cosa, fece venire meno le altre province del Regno e l’inesperienza dei capi puerilmente discordi, da una parte; e la sconfitta di monte S. Angelo, la perdita di Mormanno da cui venivano i viveri agli insorti accampati nella valle di San Martino, e il sospetto temporeggiare del generale Ribotty, dall’altra, produsse il primo luglio lo sbandamento delle truppe del Mauro a Campotenese, e così il generale Lanza, con i suoi uomini poterono ricongiungersi con quelle regie del brigadiere Busacca, che si era rinchiuso a Castrovillari.

La rivoluzione fu così spenta da loro, così come, contemporaneamente, e per le stesse cause, fu spenta dai generali, Nunziante e Nicoletti, nel distretto di Nicastro e di Reggio.

Costretto quindi a fuggire, lasciando il fratello Vincenzo, che in una simulata fuga del Lanza, si era spinto fino a Rotonda, dove poco dopo fu preso e barbaramente ucciso con altri cinque, il Mauro si recò a Cosenza, passò con i membri del Comitato, i Siciliani e gi avanzi delle bande degli insorti calabresi a Tiriolo, poiché Cosenza non era atta a sostenere un assedio; e quando, saputo della capitolazione conclusa fra il Nunziante e Stocco, riusciti vani tutti i tentativi fatti per ritentare la sorte delle armi, Ribotty e i Siciliani vollero tornarsene in patria, egli e parecchi altri, tra cui Nicotera, Miceli e Musolino, presero la via del mare e l’8 luglio si imbarcarono Botricello Jonico per Corfù. Seguendo poi le esortazioni di un comitato romano, del quale facevano parte Giovanni Andrea omeo e suo figlio Pietro, Domenico Mauro si reco da Corfù in Albania e raccoltavi con Francesco Sprovieri, una folta schiera di baldi giovani ,si tenne pronto per sbarcare in Calabria, per prendere in mezzo i borbonici con Garibaldi e Fanti, che dovevano entrare nel Regno delle Due Sicilie attraverso gli Abruzzi.

Ma, per i tumulti di Genova e per altre ragioni, non essendosi potuto fare quel disegno, corse a Roma con Nicotera, Sprovieri, Miceli e De Riso a combattere per quella Repubblica, e caduta questa, corse il pericolo di cadere nelle mani della famigerata polizia borbonica, poiché rifiutatosi di obbedire con gli altri ora nominati, di obbedire all’ordine del generale Oudinot di partire subito da Roma, fu con loro arrestato il 4 dicembre e condotto a Civitavecchia per essere consegnato al governo napoletano.

Dalla cittadina Laziale, si come era provvisto di passaporto Inglese, lui e alcuni suoi amici poterono imbarcarsi su una nave francese per Marsiglia, sceso con un pretesto a Genova e riuscì a rifugiarsi a Torino, città dove già si trovavano altri illustri dissidenti meridionali.

In Piemonte visse umilmente del suo lavoro, a Torino il suo carattere e le sue idee avevano il soppravvento su ogni cosa soleva recarsi nel caffè della Perla, e incontrare gli emigranti meridionali, infuocandosi nella disputa, tenacemente convinto delle sue opinioni, i suoi occhi scintillavano, batteva il pugno sul tavolo, pareva rivivesse in quelle dispute e dimenticare la sua miseria, in quanto il più disagiato degli emigrati meridionali e tale era la sua dignità di povero che bisognava ingegnarsi con i più ingegnosi sotterfugi per, fargli accettare qualche.

Nel soggiorno torinese si convinse della necessità di sostenere Casa Savoia al fine di ottenere l’unificazione della patria.

Nel 1851 pubblica il libro Vittorio Emanuele e Mazzini, in cui, modifica il suo programma repubblicano e indica i mezzi per raggiungere il fine.

In questo frangente Luciano Murat cercò di raccogliere consensi per occupare il trono di Napoli, il Mauro, fece tacere ogni sentimento di opportunismo e tra coloro che firmarono una sdegnosa protesta, in cui si minacciava che se un Murat fosse salito al trono di Napoli, sarebbero corsi a difendere il Borbone.

La guerra di Crimea prima e l’eroica spedizione di Sapri dopo, impedirono quel pericolo e quando nel ’60 Garibaldi si decise di accorrere in Sicilia, con lui corsero anche gli altri arbëreshë, Crispi, Damis e suo fratello Raffaele Mauro, a far parte dei MILLE.

Si distingue nelle battaglie di Calatafimi e Milazzo, e mandato con Stocco, Bianchi e Plutino fu inviato in avanscoperta in Calabria per preparare la strada al Dittatore, venne coinvolto nelle vicende di Soveria, in cui le truppe borboniche del generale Ghio si dovettero arrendere al Damis supportato dai Carabinieri Genovesi.

Seguì il Battaglione degli arbëreshë da semplice militare con la Divisione Damis e Garibaldi in entrando a Napoli venerdì, sette di settembre 1860 da trionfatore.

Poi, mentre tutti chiedevano ricompense ed impieghi, egli non chiese nulla, e pago solo del dovere compiuto, tornò ai suoi studi e alla sua solitudine.

Ne uscì soltanto per rappresentare al Parlamento il collegio di Benevento, ed ebbe la soddisfazione di vedere realizzato, con Roma capitale, anche il più ardito dei sogni esposto nel suo libro del 1851.

Quando si accingeva a pubblicarne altre, per contribuire a fare gli italiani, dopo aver contribuito a fare l’Italia, fu colpito da un terribile male, morì a Firenze il 19 gennaio del 1873 di Domenica e venne sepolto a San Miniato al Monte.

Di lui, pochi oggi leggono gli scritti, pochi ricordano la sua vita temeraria e di eccelso del romanticismo Calabrese; ma quando l’Arberia avrà ricuperato il pieno possesso del senso storico e vorrà ricordare i suoi uomini, per l’eredità che ci hanno lasciato, il libro d’oro dei grandi arbëreshë avrà di diritto una pagina a memoria di Domenico Mauro.

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