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RAFFAELE VINCENZO BARONE, PITTORE ARBËRESHË

Posted on 08 ottobre 2014 by admin

Perri2014VACCARIZZO ALBANESE (di Francesco Perri) – Sarà presentata nel suo paese natale, Vaccarizzo Albanese, la monografia su Raffaele Vincenzo Barone (1863‐1953), che Cecilia e Francesco Perri hanno scritto e pubblicato ne “I quaderni dell’IRFEA”, sezione Arte, diretta da Cecilia Perri per i tipi de “La Mongolfiera Editrice”.

L’appuntamento è per le ore 17,30 del prossimo 12 ottobre, nella sala Convegni “Palazzo Marino”. L’evento, introdotto e coordinato da Carlo Rango, vedrà la partecipazione del sindaco di Vaccarizzo, Antonio Pomillo, dell’editore Giovanni Spedicati, della presidente dell’azione cattolica della cittadina arbëreshe, Chiara Liguori, e del vicario dell’Eparchia di Lungro, Papas Pietro Lanza.

Alla presenza degli autori, e grazie anche ai loro interventi, ci si soffermerà sulla figura e l’opera di Raffaele Vincenzo Barone senza trascurare un cenno agli altri pittori che sono vissuti a Vaccarizzo e che sono ricordati nella monografia dei Perri (Eugenio Lorenzo Barone, Antonio Scura, Alberto Marchianò, Giuseppe Antonio Marchianò e Raffaele Barone).

Il libro, impreziosito dalla prefazione di Giorgio Leone, nella prospettiva di ri‐scoprire personaggi, fatti ed eventi che si sono succeduti nel corso della storia locale e che, spesso sono stati dimenticati, il libro – si diceva – lontano dal cadere nel municipalismo e nel localismo, è frutto di uno scavo su documenti d’archivio (ivi riprodotti) e di una ricerca, entrambi scientificamente condotti, che hanno consentito la stesura di una biografia dei pittori e la redazione di un catalogo delle loro opere finora reperite. Emerge, sia per la dovizia delle notizie finora disponibili sia per la qualità delle sue opere, la figura di Raffaele Vincenzo Barone «considerato ‐ scrive Cecilia Perri ‐ un rinomato pittore e disegnatore, la cui arte è principalmente orientata verso la pittura di paesaggio e la ritrattistica», un artista che, giovanissimo, emigrò nell’America Latina dove svolse un’intensa attività tanto da essere ricordato come un “Pioniere dell’arte” nella città argentina di Rosario, dove tuttora riposa.

Lavoro complesso, quindi, è quello che traspare da questo libro, lavoro che, per dirla con Dante Maffia, è «estremamente necessario per ricostruire le identità dei luoghi e della gente che ha abitato e abita i luoghi periferici, anche per evitare di infossarsi nel luogo comune che i paesi del Sud hanno vissuto soltanto e sempre dentro il recinto asfittico del lavoro dei contadini senza nessuna apertura verso il bello».

 

Carlo Rango

Presidente

Associazione culturale privata IRFEA

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STORIE SIMILI SASSI E ARBERIA

Posted on 18 settembre 2014 by admin

La storia si ripeteNapoli ( tratto da Conversazioni di A. e L. Sacco ) – Spesso, quando si parla di fatti dei quali si è particolarmente coinvolti, si ha la sensazione di non poter essere obiettivi o alterare la verità. Per liberarsi da questa preoccupazione basta tuttavia considerare che nel caso della progettazione e la realizzazione di un borgo rurale è frutto di un procedimento critico. Se poi questa critica sia stata impostata e condotta bene o male, se le conseguenze che se ne sono tratte siano giuste sbagliate, si potrà stabilire con un procedimento di analisi e di giudizio: il tentare un tale procedimento di giudizio da parte di chi ha partecipato all’azione, questo sì sarebbe vero amore. Volendo dunque riferire la genesi del villaggio, bisogna anzitutto distinguere due capitoli che a rigor di logica dovrebbero essere indivisibili e che invece la pratica contingente ha separato: la pianificazione e cioè la preparazione territoriale, economica e sociale del nuovo villaggio e la progettazione cioè lo studio specifico e la effettiva   stesura   urbanistica   e   architettonica   del   Villaggio. Naturalmente la distinzione è per forza di cose schematica e come tale è da assumere con una certa cautela: difficile infatti è il dire, per esempio, se la preparazione sociale sia tutta devoluta alla pianificazione o se in gran parte, come di fatto è avvenuto, essa appartenga alla fase di studio per la progettazione. All’atto pratico, in azioni così  complesse come è stata quella per la costruzione del Villaggio, molte cose non si farebbero mai se ognuno osservasse con rigore burocratico i limiti del campo d’azione che gli sono assegnati.  ln America, prima di dare inizio ai lavori per la sistemazione della  vallata del fiume Columbia, si sono spesi due anni laboriosi di ricerche sociali per stabilire se i nuovi insediamenti umani dovessero essere di tipo sparso o di tipo accentrato; e la conclusione, si noti bene, è stata favorevole all’insediamento accentrato opportunamente dimensionato e dislocato. In Italia invece non c’è bisogno di fare ricerche, in Italia si procede a “buon senso”, che val quanto dire a lume di naso. E’ evidente come le incertezze che ancora sussistono sulla sorte del Villaggio siano la conseguenza diretta del metodo inverso seguito dagli enti responsabili per il quale si è, in primo luogo, decisa la costruzione di un villaggio a sollievo della situazione edilizia, quindi si è scelta un’ubicazione per esso, poi si è collegata questa iniziativa con la riforma e finalmente la si è introdotta di sana pianta nel piano per il risanamento. In altri termini dal particolare si è risaliti via via al generale mentre, come ognuno sa, la logica consiglia di fare esattamente il contrario. Ma spesso, soprattutto nel nostro Paese, la logica non è il solo fattore di cui si deve tener conto; perché, come si è detto, se lo si lascia dominare, si è condannati a restare a sedere senza far nulla di buono. Perciò, malgrado tutto, il villaggio è un risultato notevole di pianificazione da additare forse non soltanto all’Italia. In un paese, dove gli urbanisti, per fortuna senza alcun seguito, pretendono di fare gli agrari e dove gli agrari purtroppo non si fanno scrupolo di sostituirsi agli urbanisti, in un paese dove ognuno sa tutto ed al tempo stesso ognuno fa quello che non sa fare, in un paese che sta diventando inopinatamente una terra di pianificatori che tuttavia ignora di fatto a tutt’oggi l’esistenza della sociologia, in una corte dei miracoli di questo genere insomma, l’episodio  merita d’essere segnato a dito come un esempio. Poichè, grazie all’assistenza  assidua e intelligente della Commissione  di  Studio, patrocinata dall’Istituto Nazionale di Urbanistica che ha lavorato sul posto fin dall’inizio, il villaggio è pensato e fatto per i contadini che lo abitano e per le loro esigenze; perché, sia costato quel che è costato di fatica è frutto dell’intervento coordinato di più enti; poiché infine è la prima iniziativa edilizia del dopoguerra che ha affrontato il problema della casa insieme a quello del lavoro e dell’educazione sociale. Premessa questa breve precisazione sugli aspetti positivi e negativi della pianificazione del nuovo insediamento, che in un certo senso rappresentano i fattori estrinsechi al progetto vero e proprio, si può passare ad un discorso assai più sottile e di carattere autobiografico. In primo luogo occorre dichiarare che il borgo non è un fatto estetico di rilievo. Per dir meglio, chi volesse considerare questo villaggio in termini di eleganza formale, molto probabilmente resterebbe deluso e certo sarebbe fuori strada; chi volesse ricercare uno stile, potrebbe solo farlo se attribuisse a questa parola un significato estensivo. Nel progetto del borgo si è cercato di scarnire il linguaggio architettonico da ogni frase retorica, da ogni arbitrio, preconcetto, prefabbricato e convenzionale. E questo, non col proposito di arrivare alla lirica pura, al gioiello nello scrigno, all’oggetto posto sul prato; questo invece semplicemente per dare  a  quei contadini  che avrebbero portato con sè un bagaglio di storia di migliaia d‘anni, un ambiente “pulito”, pulito da assurdi belletti intellettuali, da effimere verniciature di gusto, assolutamente frivole nei confronti della serietà dello scopo; questo soltanto per  preparare  un ambiente adatto ad accogliere quegli uomini, un ambiente che non fosse arido e indifferente al punto di distruggere la loro coerenza e la loro solidità interiore. Se il villaggio potesse anche soltanto in parte essere considerato come un “osso di seppia”, le intenzioni di chi ci ha lavorato attorno, sarebbero ingloriosamente e rovinosamente fallite. Di fronte a questo atteggiamento di lavoro non mancherà chi voglia definire un tale impegno di rispetto verso la personalità dei futuri abitanti, protagonisti del nuovo insediamento, come una posizione “tradizionalista”. E la definizione, come accade in genere per tutte le aggettivazioni, potrebbe essere estremamente sommaria e sbagliata  o potrebbe invece cogliere nel punto giusto: si tratta solo di intendersi sul senso della  parola tradizionale. Esso è uno degli agglomerati urbani più originali e più  complessi del nostro territorio nazionale. Questo fatto ormai lo sanno e lo ripetono tutti. Tuttavia per poterne apprezzare il senso occorre aver assimilata una certa  esperienza. Chiunque si avvicina per la prima volta a questa realtà urbana, lo faccia o no con l’organica futilità del turista di dozzina, prova due specie di emozioni fondamentalmente diverse. Anzitutto fisico, mentre è inconfondibile il disagio di una pessima camera d’albergo e di una cucina di ristorante sottilmente disgustosa. In secondo luogo, meno cosciente ma ben più tenace, l’impressione stupefacente della vita in questi ambiti, una specie di sensazione di sottofondo, un interrogativo che dura e disorienta. Lì per lì non ci si domanda nemmeno se ci sia un nesso tra l’una sensazione e l’altra e, infastiditi , si finisce con l’accomunare i due fatti in un generico senso di repulsa e di riprovazione verso questo immondo peccato di irriverenza nei riguardi della civiltà: “Che città incredibile, si pensa, che assurda e inqualificabile aggregazione di ricoveri umani!”. Invece il binomio di sensazioni sussiste e, alla luce di una nuova esperienza, si accentua e prende significato e assume quasi sapore di parabola: da un lato la nostra impressione, la reazione della nostra mentalità, questa specie di oggetto sbagliato che non sappiamo giustificare perché non rientra nei nostri paradigmi. Si torna nell’antico borgo e si impara a conoscerlo meglio e ci si accorge che la conoscenza di questo mondo ci aiuta a raggiungere una più chiara consapevolezza delle nostre impressioni fino al punto che la nostra stessa materia interiore ne è impegnata ne risulta ampiamente arricchita. E’ così: si torna e si scende ancora per gli scoscesi vicoli e quello che era sembrato un disordine inumano, impenetrabile alla nostra comprensione come l’intrico di una vegetazione selvaggia, si rivela un ordine umanissimo che aveva la sola peculiarità di essere diverso dal nostro. Quanti urbanisti e quanti sociologi cercano invano la pietra filosofale dell’unità di vicinato, cioè di quell’ideale nucleo di più famiglie che l’affiatamento sociale, oltre che il destino della convivenza, tiene in sesto; e questo fanno con lo scopo finale di ricostruire nei nuclei urbani quel tessuto connettivo che la nostra civiltà con un grave processo di auto necrosi ha inesorabilmente distrutto. Allora ci si accorge che la vita in quel luogo ameno, esempio raro, è organizzata secondo una fitta struttura di legami primari, socialmente e topograficamente individuati e circoscritti, che la suddividono in tante unità di vicinato, esattamente come un tessuto organico è diviso e al tempo stesso costruito in cellule e precisamente come gli urbanisti e sociologi vorrebbero cementate le loro città. Di questa organizzazione esistono e sono esistite a memoria d’uomo prove vitali. La crapiata ne è un esempio, la festa del cibo azimo e vegetariano, una specie di celebrazione di sapore pagano che ogni vicinato celebra a solenne convegno sullo spazio antistante le grotte delle sue famiglie. Il sistema della cottura colletti va del pane, un altro esempio, per il quale ciascuna famiglia, impastato il proprio pane in casa, lo porta per la cottura ad un forno comune a servizio di più famiglie o addirittura di più vicinati ; e gli affiliati ad un de termina to forno sono sempre gli stessi e distinguono i loro pani col timbro di un sigillo in legno d’olivo depositato preso il “gestore” del forno. Con queste e con altre confidenze, a chi la voglia conoscere onestamente questa schiva città scopre poco a poco il suo volto umano; e quello ch’era sembrato un disordine inetto, un disfatto abbandono, si manifesta come un altro ordine, un ordine diverso dal nostro e tuttavia civile. E chi se n’era andato la prima volta scandalizzato da tanta primordiale trasandatezza, capisce tornandoci che tale sentimento altro non era che la stizza boriosa di un uomo a tal punto abbottonato e incravattato in vesti ben educate, da non sentire e da non intendere più nulla al di fuori del proprio sussiego. Ecco il punto; così aveva decretato questa sciocca mentalità, essa era un’eccezione, un’abominevole eccezione che la nostra grammatica razionale, euforica, porcellanata, non poteva tollerare e quindi doveva eliminare. “Eliminare” era la parola, eliminare una città! Come se una città fosse divisibile in due parti del tutto indipendenti; da un lato un insieme di pietre diversamente assestate e dall’altro un certo numero di uomini. Come se di una città si potessero distruggere le cose e trasferire gli uomini senz’altro danno che la spesa non fruttifera di nuove costruzioni. Ecco in che modo alla luce della nuova esperienza ci si accostava al problema  con  altri  occhi  e  con  altra  coscienza. Distruggere una città perché le sue case erano sordide e malsane e dare un asilo più isicuro agli uomini: ora i rimaneva perplessi di fronte a questa formula brutale. Poiché si sapeva dallo studio di questa città che la coerenza tra gli uomini e le cose era un fatto reale, vivo e presente nella vita di ogni individuo; era la storia di ognuno e di tutti insieme, era la sostanza sentimentale e morale che cementava quella comunità; era in altre parole proprio quella ricchezza che genericamente si designa con la parola “tradizione”; e si intuiva che era impossibile praticare un taglio crudo senza grave danno. I biologi (ed oggi anche i sociologi), grazie allo studio dell’ambiente di vita degli animali e delle piante che chiamano ecologia, sanno che la distruzione dell’ambiente spesso uccide la specie. Per gli uomini la conseguenza non è così esiziale ma è altrettanto definitiva e dannosa. Distrutto lo ambiente, spezzata la tradizione, gli uomini non muoiono, ma si sfaldano e perdono la loro ossatura morale: centinaia di borgate popolari moderne sono la prova dolorosa di questa realtà. Con questa esperienza si è affrontato il problema del villaggio, con la coscienza precisa che l’ambiente dovesse ad ogni costo essere salvato e trasferito con gli uomini, si è confrontata ogni funzione del villaggio progettato con le abitudini dei contadini fino al punto di proporre ai più intelligenti di essi una serie di soluzioni del tipo di casa e di lasciare ad essi, con la discussione dei pregi e dei difetti, la scelta dello schema più adatto, sino al punto di ristudiare l’intero progetto per inserirvi il sistema del forno collettivo. La storia della genesi del nuovo villaggio in fondo non è che questa. La parabola è semplice: nell’architettura, come in ogni forma di linguaggio, ci sono due vie, quella che dà un pretesto per esprimere sé stessi e quella che offre il mezzo per accostarsi agli altri. In certo senso la tradizione, almeno nell’accezione comune che le si da nella storia dell’arte, dall’epoca del Rinascimento, dà ragione a quelli che hanno scelto la prima via. E in tal senso non si può davvero dire che il nuovo villaggio con la sua volontaria ignoranza di voli pindarici, rientri nella tradizione. Ma se alla tradizione si dà il significato di storia, di quella storia che, povera di episodi gloriosi ed epici, nessuno scrive e che pure accomuna la nostra persona a quella degli altri, il nuovo villaggio è tradizione: poiché chi lo ha pensato, anche se possa non aver raggiunto la meta, ha seguito la seconda via.

P.S.

La lettura è dedicata a  chi ha subito  violenza  gratuita, per colpa di coloro che, immaginando di essere stati illuminati, hanno assunto ruoli attraverso i quali sono stati calpestati i diritti  dei cittadini, art. 6 della costituzione .

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Protetto: VDÌQ NJË KÀTUND ARBËRESHË E MOSNJERÌ E DÌ

Posted on 11 settembre 2014 by admin

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GINESTRA, PIATTI TIPICI E STORIE DI EMIGRANTI ARBERESHE

Posted on 03 settembre 2014 by admin

DIGITAL CAMERAGINESTRA (di Marianna G. Ferrenti) – Si è svolta a Ginestra la 17esima edizione della Sagra dei Prodotti Arbereshe, una tradizione che la Pro loco Zhurian ha intenzione di perpetrare ancora per molti anni a venire. Una piacevole serata in compagnia può diventare un’occasione di ritrovo e di recupero di amicizie di cui si era persa traccia, perché ognuno nella luogo di approdo, un ormeggio di relax e benessere che aiuta a purificarsi dalle complessità giornaliere recuperando il senso dell’origine, il sapore della propria terra natia, il profumo dei paesaggi collinari intinti nel verde dei vigneti e nei sapori di un buon vino Aglianico di Ginestra. La Sagra, organizzata dalla Pro loco Zhurian, senza sponsor, anche quest’anno ha raggiunto il suo scopo: riunire la comunità in un caloroso abbraccio, ricongiungendo i familiari emigrati che ogni anno fanno ritorno nella propria terra. Il presidente della Pro loco, Massimo Summa ha così commentato la serata: <<è una festa ormai consolidata, ogni anno preferiamo mantenere tutto uguale perché alle comunità che vengono ogni anno piace così com’è. Cambiamo solo il menù cercando di cucinare piatti che da noi qui a Ginestra si consumano quotidianamente, ma chi abita ad esempio al nord non è abituato a cucinare. La gente viene qui per assaporare gli antichi sapori>>. Oltre naturalmente a ossigenarsi nella propria terra di origine congiungendosi con amici e parenti. <<È una festa che permette agli amici di stare insieme e in compagnia, un po’ come avviene ai matrimoni, lì, però, non capita mai che 300 persone che non si conoscono stiano insieme allo stesso tavolo>>. <<Veramente stasera abbiamo realizzato più di 300 pasti ed è stato per noi un piacere>> aggiunge la vicepresidente della pro loco, Lucia Milito.  Il sindaco di Ginestra, Giuseppe Pepice, ha così commentato: <<l’iniziativa nasce quando ho avuto il mio primo mandato da sindaco e sono molto contento di dire che ormai è diventato un appuntamento costante dell’estate e auguro che continui a esserlo per molti anni. È bello vedere dialogare un’intera comunità intorno ai piatti tipici, è un momento di spensieratezza per riscoprire i profumi, i sapori e le culture del passato. Dietro ogni tavolo si racconta una piccola storia>>. È la storia di persone umili e genuine, di onesti lavoratori, di intere generazioni che per necessità di sopravvivenza sono state costrette a partire, lasciando con un po’ di nostalgia, un pezzo di loro stessi in questa terra lucana. Abbiamo girato tra i tavoli per catturare, senza volerle imprigionare, le storie di alcune famiglie perché dietro un evento allegro e spensierato si cela un vissuto carico di sospiri ed emozioni. Partiamo dalla famiglia Bellotti di Maschito o la famiglia Carrieri che abita a Borgaro Torinese e ogni anno torna in Basilicata per riscoprire le proprie origini e il cui capofamiglia dice <<sono un emigrato da oltre cinquant’anni ma sono molto legato alla vostra terra, qui ho la casa paterna. All’epoca qui non c’era niente, il Piemonte mi ha dato tutto, mi ha fatto uomo, padre e nonno, i piemontesi sono brava gente ma sono più riservati e freddi, dei lucani invece amo la loro umiltà che riconoscono gli stessi piemontesi. Il mio datore di lavoro ha trascorre le ferie a Maratea e ha detto che gente così bella non l’ha mai vista>>. Un’altra emigrata svizzera racconta di alloggiare a Ripacandida rivelando che dalle sue parti non si organizzano feste così calorose in cui si mangia, si balla, si ride. Lì si lavora e basta”. Perfino una signora che da poco ha compiuto 100 anni, perfettamente lucida, ha voluto esprimere una sua riflessione a dimostrazione che l’aria di Ginestra, in grazia di Dio, rende perfino longevi: <<Mi chiamo Nunziata Larossa – ha detto l’anziana signora seduta al tavolo – da una vita abito qui. Questa è casa mia, in piazza Risorgimento, il numero civico non lo so, domani verranno i vigili a mettere la targa. Me lo ha assicurato il sindaco in persona>>. Anche una coppia di Legnano, giunti per la prima volta a questa sagra, ha voluto esprimere, parole di encomio per la perfetta organizzazione: <<è bello stare qui, in compagnia con le persone che conosciamo ma anche con quelle che non conosciamo>>. “Mio papà è andato via negli anni ’60 si è trasferito a Legnano, nel milanese, poi nel ’63 lo abbiamo seguito io e mia madre. Avevo 10 anni”. Ginestra, come tutta la Basilicata, è stata ed è tuttora terra di emigrazione ma è anche una terra in cui è bello anche viverci tutto l’anno perché occasioni simili, in cui le famiglie si riuniscono, avvengono un po’ tutto l’anno fra coloro che restano. E un signore di Legnano Micciché Calogero ha voluto lui stesso lasciarci un pensiero sul nostro taccuino con cui giravamo a raccogliere la testimonianze dei conviviali. Purtroppo, come in una ricorsività ciclica, anche i giovani come i nonni vanno via, oggi come negli anni sessanta, per trovare migliore fortuna. La signora di Legnano dice:una cosa che dovrebbe far riflettere, tutti noi, genitori e figli lucani <<Io direi ai giovani di inseguire i propri sogni, di fare le proprie esperienze e di prendere la propria strada, di andare a lavorare fuori, perfino all’estero, perché stare alle spalle dei genitori non serve. Certo, è difficile, le aziende chiudono anche a Milano. Lavoravo in un’azienda di filatura, sono riuscita ad andare in pensione appena prima che essa investisse all’estero>>.  Per una signora di Bari che torna ogni anno, questa sagra è diventata davvero una consuetudine familiare <<a mio marito piace il paese, l’aria, il profumo. E i prodotti sono genuini>>.  Un altro signore: <<Sono venuto a trovare i suoceri. Mia moglie è di Ripacandida ma abitiamo anche noi a Legnano. Piace anche a me la genuinità della gente. Mi chiede cosa esporterei di questa terra? Il clima e l’accoglienza che è davvero unica>> E cosa vorrebbe che migliorasse? <<i servizi sanitari e di trasporto>>. Presenti anche alcune comitive venosine tra cui emerge la testimonianza di Franco Soldo: << ho rivisto una collega e amica con cui ho studiato insieme a un corso di infermieri. Non ci vedevamo da 34 anni e stasera casualmente l’ho rincontrata. Di Ginestra amo la cordialità della gente e devo segnalare la perfetta organizzazione della Pro loco. Mi piacciono molto le occasioni di incontro e di convivialità. Ogni anno a Venosa organizziamo in assoluta familiarità una rimpatriata con tutti gli ex compagni di classe della V A della ragioneria, i “vecchi” ragionieri del ’57, è un’occasione per fare una pizza e stare in allegria tutti insieme>>.

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Protetto: LE KALIVE

Posted on 25 agosto 2014 by admin

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TORNA CON SUCCESSO LA COOPERATIVA MUSICALE ARBËRESHE

Posted on 25 agosto 2014 by admin

LA COOPERATIVA MUSICALE IN CONCERTO DOPO TRENTA ANNSAN DEMETRIO CORONE (di Adriano Mazziotti) – Dopo trent’anni la Cooperativa Musicale  Arbëreshe torna con un concerto questa sera alle 21.30 nell’Anfiteatro comunale. Carichi più che mai i suoi componenti, tutti del posto e ancora con la stessa voglia di palcoscenico e di divertirsi  assieme a  chi li ascolta.

Lo storico gruppo musicale  sorse il 1982 e da allora ha svolto una attenta ricerca  culturale sulla tradizione  canora  dell’ Arberia e d’ Albania, rivisitando e   rielaborando  vecchi canti popolari,  riuscendo così a svelare un campo ricco di potenzialità canore e musicali che ha dato avvio e condizionato in positivo il nuovo  corso della canzone arbëreshe ed etnofolk. Fu un successo, fatto di spettacoli molto apprezzati nelle comunità italo-albanesi, in Albania e in Kossovo.

La vita e il lavoro, poi, hanno diviso i giovanissimi componenti del gruppo, e ognuno è andato per la propria strada; ma la grande passione per  le canzoni tradizionali  non si è mai spenta.

Stasera, la storica band sandemetrese  proporrà le celebri canzoni della cassetta  “Valle valle”, ancora conservata da molti come uno scrigno di affetti, ricordi e sensazioni. E siamo certi che il “grande ritorno” non solo renderà omaggio a tanti successi canori del passato, ma sarà l’occasione per i numerosi fan della Cma di riabbracciare i loro beniamini.

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VISITA I CENTRI ARBERESHE L’AMBASCIATORE ALBANESE IN ITALIA, NERITAN CEKA

Posted on 21 agosto 2014 by admin

DIGITAL CAMERAGINESTRA (di Lorenzo Zolfo) – Nella prima mattinata del 19 agosto “piomba” nel piccolo centro arbereshe con la macchina diplomatica in compagnia della moglie Angelina, l’Albasciatore Albanese in Italia, Neritan Ceka. Sceso davanti al Comune, chiede informazioni in albanese al primo cittadino che incontra. E’ stato subito accolto dal personale del Comune, in seguito dal Sindaco, dott. Giuseppe Pepice. L’Ambasciatore ha visitato alcuni siti di interesse storico del paese, le due chiesette, il Santuario della Madonna di Costantinopoli del 1588 e la chiesa madre di San Nicola Vescovo, dove ha accusato una certa emozione nel vedere il mosaico dell’Aquila a due teste, simbolo dell’Albania, due chiese da poco ristrutturate e costruite dai profughi albanesi alla fine del 1500, in fuga dal proprio Paese, invaso ed occupato dai Turchi, dopo 20 anni di resistenza. La visita è continuata per il centro storico dove l’Ambasciatore ha apprezzato alcune vie che si rifanno ad alcune zone dell’Albania, via Epiro, via Schipetari, via Morea.L’Ambasciatore ha salutato con piacere in arbereshe tutte le persone che incontrava, si sentiva a casa sua. Ha voluto conoscere Fiorina Petagine, una 89enne, memoria arbereshe del paese, conosce aneddoti, poesie e canti della tradizione locale. Prima di intraprendere il viaggio per Maschito, altro centro arbereshe, l’Ambasciatore Ceka ha spiegato i motivi di questa visita: “sto visitando tutti i paesi arbereshe, per conoscere la realtà di questi centri ed intraprendere scambi culturali ed economici con l’Albania. Dopo aver visitato la Calabria, sono giunto in Basilicata, il viaggio continuerà in alcuni Comuni del Molise e si concluderà a Greci (Av). La fisionomia degli abitanti di Ginestra è simile ai volti tipici dei paesi albanesi del Sud. Mi sembrava di stare a casa mia. Mi ha impressionato la vista del mosaico raffigurante l’Aquila a due teste, simbolo della mia Terra, realizzata dall’artista arbereshe, Josif Dobroniku nella chiesa madre. Ho saputo dagli amministratori e da persone anziane che si sta perdendo la lingua madre in questo centro, mi auguro che le Istituzioni e le associazioni promuovano dei corsi per un recupero, valorizzazione e rafforzamento di questa lingua tramandata da oltre 400 anni”.

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LA GRANDE FABBRICA DEI PAESI ARBËRESHË

Posted on 19 agosto 2014 by admin

LA GRANDE FABBRICANAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Le stratificazioni nei paesi Italo Albanesi rispettano i limiti degli insediamenti originari perché i perimetri sono da secoli, pressoché gli stessi. Ad oggi le alterazioni  all’interno dei centri storici, non hanno intaccato le caratteristiche architettoniche e l’impianto urbanistico originario. I palazzi padronali, per ciò, divengono espressione dell’operosità dei minori; essi vanno letti, prima di tutto, attraverso le restituzioni grafiche, degli elevati e delle planimetrie delle antiche insule, dove il volume edilizio, maggiore, contiene e avvolge i precedenti, che rappresentano la traccia del percorso evolutivo degli arbëri. Riscontri oggettivi, analisi e confronti dei modelli edilizi, consentono di tracciare il percorso edificatorio intrapreso dai gruppi familiari allargati, nei territori del meridione. Il primo volume edilizio storico, la Kaliva, realizzato nella sua configurazione primordiale con legno, rami intrecciati e fango, fu rinnovato dopo gli atti di sottomissione, con materiali più duraturi a iniziare dal 15**-.., preservando le originarie metodologie di aggregazione, dettate dai legami consolidati della famiglia allargata; quest’ultima, nello stesso periodo inizia un lento processo di scissione in quanto l’assegnazione dei terreni, che sino ad allora avveniva in maniera frammentaria e puntiforme, dal 15** segue una metodologia dettata da nuovi assetti economici e sociali. In linea con le rinnovate disposizioni oltre l’utilizzo dei materiali più idonei a edificare, si marca in maniera indelebile il territori definendo univocamente le insule che da ora in avanti chiameremo; agglomerati policentrici costruiti; essi inglobano spazi adibiti a orto con Kalive a un livello, (nel territorio dal 14**, le abitazioni che avevano pressoché le caratteristiche di tuguri, si come  erano realizzate con materiali deperibili, non lasciarono certezza sulla originaria sistemazione pervenutaci solo come località). Dopo aver avuto liberta di costruire le prime case in pietra e arena, gli albanesi, a seguito delle emanazioni regie del 156**, furono costretti a delimitare gli agglomerati urbani con mura di cinta. La necessità di risparmiare materiali e la difficoltà di reperirli  spinse gli esuli a  utilizzare uno dei paramenti murari delle loro abitazioni a tale scopo, chiaramente per  quelle abitazioni innalzate nei confini del costruito urbano. L’altezza del paramento per la funzione di cinta muraria consentiva di avere dei vantaggi, in quanto così facendo si otteneva un volume maggiore della Kaliva stessa. Il paramento murario posto a confine, assunse quindi la funzione di colmo della copertura, in questo modo la maggiore altezza all’interno dell’abitazione, nella parte più interna consentiva di predisporre un rudimentale ammezzato, aumentando, di fatto, il calpestabile all’interno del nuovo volume edilizio. Esistono ancora evidenti tracce di quanto descritto prima, in molti paesi albanofoni, leggere oggi il perimetro è molto difficile, ma in alcuni casi, dove la memoria storica è ancora lucida e priva di personalismi, si possono facilmente identificare i frammenti murari, o le abitazioni predisposte allo scopo, per tracciare quella linea di confino imposto dalla regia disposizione. I terremoti, le carestie, la peste, misero a dura prova le genti minoritarie nel XVII secolo e non consentirono di adempiere in maniera completa all’imposizione regia, per cui le cinte murarie furono costruite in maniera frammentaria senza aver mai assolto la funzione di confino. Nella disanima dei processi evolutivi dei palazzi storici, questo intervallo dura sino alla fine del XVII secolo e rappresenta una tappa importante nella definizione del volume edilizio di rappresentanza. Il danno prodotto dagli eventi naturali, offriva la possibilità ai superstiti di acquisire i moduli confinanti e avviare quel processo di aggregazione che ha dato origine alle case delle famiglie più abbienti, individuabile come: secondo volume edilizio storico. Questi ultimi sono caratterizzati da una cortina che può essere lineare o articolata, caratteristica che dipende dal luogo in cui l’originario gruppo familiare s’insediò. La residenza, cambia anche la sua disposizione interna che si articola nel modo seguente: a piano terra, aggrega due o più moduli adibiti a zona giorno, depositi e la stalla, il primo di questi è munito di soppalco, che diviene la zona notte, il cui utilizzo è garantito da una scala a pioli asportabile. La nascita del regno dei Borbone e le successive leggi emanate dal sovrano, consentono la formazione di classi emergenti e per questi ultimi, la possibilità economica di realizzare abitazioni più rappresentative; esse si suddividono predisponendo a piano terra depositi, magazzini e la cucina, mentre il primo livello è adibito a luogo di rappresentanza e zona notte, l’intero complesso che ora ha un livello vero e proprio distaccato dal terreno, sormontato dalla lamia di copertura da cui e isolata dal sottotetto Kanicari.. Per avere una regola ancora più definita architettonica e urbanistica bisogna attendere la fine del XVIII secolo quando le nuove leggi ridimensionano i privilegi degli ecclesiasti, le direttive di carattere sociale, infrastrutturali e strutturali a seguito del terremoto del 17**, ci restituiscono nuovi scenari all’interno degli agglomerati urbani. Alle abitazioni sono associati i profferli, per consentire il frazionamento dei volumi di proprietà, in oltre nuovi moduli (Katoi) sono acquisiti dai proprietari limitrofi disegnando la messa in atto di quelle proprietà che poi saranno inglobate negli involucri identificati come padronali. L’abitazione delle famiglie abbienti ha bisogno di assumere sempre più valore rappresentativo, si sviluppa in verticale, appaiono i primi rinforzi in mattoni e ogni tipo di apertura è sormontata da architravature in mattoni che assieme a quella in legno garantiscono più solidità al paramento murario.  Una caratteristica fondamentale che valorizza il volume di nuova acquisizione, diviene la porta di rappresentanza, realizzato interamente in mattoni, compresa la soglia su cui si elevano i piedritti, sormontati da un arco a tutto sesto, in oltre le abitazioni poste in posizione strategica, sono arricchite dai  miniati, che danno al manufatto un valore aggiunto di rappresentanzaLe murature che identificano la proprietà acquisiscono le tipiche rotondità negli angoli esterni per ricordare e confermare dell’antica pertinenza territoriale. E’ in questo intervallo storico che l’elemento caratterizzante di ogni abitazione, escluse quelle meno abbienti relegate nei Katoi, diviene il profferlo; una gradinata che conduce sul ballatoio, dove è posto l’ingresso dell’abitazione, che ora è al primo livello mentre a piano terra sono allocate la cantina e la stalla, collegati con la residenza dalla vecchia scala a pioli dall’interno attraverso Gadaràtin. Il profferlo diviene l’elemento caratterizzante nelle Rùhat, e gli Sheshi, i materiali con cui sono realizzati divengono l’espressione economica di ogni famiglia, pietre calcaree per la messa in opera dei gradini e la pavimentazione del passetto, a servizio dell’ingresso, sono quanto di meglio si possa predisporre per confermare la solidità economica. A fine secolo la rivoluzione del ‘99 ferma la crescita e per vedere nuove espressioni edilizie bisogna attendere gli effetti delle leggi emanate dal governo napoleonico  il 18**, che giunsero in maniera diffusa sul territorio solo dopo il 18**, e consentirono la messa in atto delle grandi fabbriche nobiliari; ma questa è un altro capitolo.

P.S.

Si Vieta L’Uso di quanto riportato per qualsiasi fine editoriale, in quanto esclusiva  dello scrivente,  per questo non viene allegata alcuna Bibliografia, che in caso di giudizio sarà fornita agli organi competenti.

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BARILE AGOSTO 2014 IV° EDIZIONE DEL PERCORSO ENO-GASTRONOMICO E CULTURALE

Posted on 11 agosto 2014 by admin

Barile Agosto 2014BARILE (di Lorenzo Zolfo) – 50 anni fa, a Barile,  paese alle pendici del Vulture e di origine lingua e cultura arbëreshë,  il grande regista Pier Paolo Pasolini girava quattro delle scene più importanti – de Il Vangelo Secondo Matteo. Leone d’argento alla XXIV Mostra del Cinema di Venezia.

La Pro Loco di Barile in collaborazione con l’amministrazione comunale, dedica al grande regista la manifestazione  “ TUMACT ME TULEZ” che prende il nome dal piatto tipico arbëreshë  tramandato nei secoli: il Tumact me Tulez, ovvero tagliatelle con mollica di pane fritta in un sugo di noci, alici e pomodoro. L’evento, fondendosi con “Cantinando- dalle Cantine al Borgo”, si svilupperà attraverso un percorso enogastronomico e culturale lungo le strade dell’antico borgo “Sheshë ” giungendo fino alla piazzetta San Nicola e sarà incentrato sul piatto originario della cultura arbëreshë affiancato da stand espositivi delle eccellenze locali e regionali.

Per tre giorni, dal 12 al 14 agosto, le vie del centro storico di Barile saranno allietate con presentazioni di libri, mostre fotografiche ed artistiche, intrattenimenti musicali, stand dell’enogastronomia lucana e degustazioni di Aglianico del Vulture DOC.  I pomeriggi barilesi saranno animati dalle ore 18 nella meravigliosa cornice del palazzo d’epoca Frusci con la presentazione dei libri “Cristo è nato a Barile” del Prof. Donato Mazzeo” ( 12 Agosto), “ BASILUCANIAfra Vulture e dintorni” di Ernesto Grieco (13 agosto) e “Anagramma Italia” di Gennaro Grimolizzi (14 Agosto).

Le iniziative culturali proseguiranno nella piazzetta di San Nicola- Largo XX Settembre  con il convegno “ Il Vulture e lo Sviluppo nell’azione leader 2014-2020”  a cura del Gal Sviluppo Vulture e  durante  la prima serata del 12 Agosto con il laboratorio permanente di arte pubblicaURBAN SCREEN “ PASOLINI 50”  di Art Factory Basilicata , poi la giornata del  13 Agosto con varie performance artistiche sul tema IL CORPO: L’ARTE IN MOVIMENTO dell’associazione culturale Arcipelago Eva e per finire il 14 agosto con il teatro di strada itinerante dei CONTAFATTI LUCANI del Centro di Drammaturgia Europea.

L’intrattenimento musicale che arricchisce il programma enogastronomico e culturale sarà affidato per la serata del 12 Agosto  ad un gruppo di musica caraibica  gli “ ENTRE 8 OCHO” che  proporrà son e musica latino americana, salsa y merengue, seguirà la “Noche Cubana” con il Dj Silvio Sisto con il coinvolgimento delle scuole di ballo regionali e le degustazioni incrociate di sigari e Rum cubano.. Per la serata del 13 Agosto la piazzetta di San Nicola sarà coinvolta con la musica Bossa Nova, Samba Jazz e ritmi latini dei WATERMELON BAND  mentre  per la serata del 14 Agosto ci saràBarile JAZZ con l’esibizione del gruppo jazzDEIDDA-AMATO-SCASCIAMACCHIA.

Durante le tre serate ci sarà l’apertura della “ Fontana del Vino”per assaporare l’Aglianico del Vulture Doc e la diretta web con i Dj di Radio Hirundo.

Per l’evento sono previste le aperture della mostra “Collettiva di Pittura e Scultura” e la “ Casa Pasolini” e l’apertura serale della Chiesa di San Nicola per ammirare l’opera “l’Annunciazione” XVII sec. di Girolamo Bresciano, seguace del Pietrafesa.

Sarà una grande occasione per scoprire i prodotti tipici lucani e testimoniare quanto la qualità dell’offerta enogastronomica e culturale possono costituire un volano di rilancio turistico ed economico”, come sottolineato dal presidente della pro-loco Daniele Bracuto, dal Sindaco di Barile Antonio Murano, dal presidente del Gal Sviluppo Vulture-Alto Bradano, Franco Perillo, dal prof. Donato Mazzeo e dalla responsabile sezione Donna della pro-loco, Sabrina Gagliardi, il giorno 9 agosto nella presentazione di questo evento avvenuto nel palazzo Frusci, sede della pro-loco

Ecco il  PROGRAMMA dettagliato

TUMACT ME TULEZ 2014
PERCORSO ENOGASTRONOMICO E CULTURALE
 

Programma

 

Martedì 12 Agosto 2014 

  • Ore      18:00Presentazione del libro

“Cristo si è fermato a Barile” del prof.Donato Mazzeoa cura di

Rocco Brancati( Rai Tv), Francesco Rubino ( Universitè Paris X)

Sala della Memoria, Palazzo Frusci

  • Ore 19:00       Apertura stand enogastronomici, mercatini e percorsi di luce

Via delle Cantine – Via Coronei – Largo XX Settembre

  • Ore 19.30Il Vulture e lo Sviluppo nell’azione learder 2014-2020 a cura del Gal

Sviluppo Vulture

Largo XX Settembre – Piazzetta di San Nicola

  • Ore 20:00Degustazione del piatto arbëreshë  “Tumact me tulez ”e dei prodotti tipici

Largo Coronelle – Via Coronei – Largo XX Settembre

  • Ore 20:30  Apertura della “Fontana del Vino” 

Largo XX Settembre  – Piazzetta San Nicola

  • Ore 21:00LAP|Laboratorio permanente di Arte Pubblica     

Urban Screen “PASOLINI 50” a cura di Art FactoryBasilicata

Facciata Chiesa di San Nicola – Largo XX Settembre

  • Ore 22:30Latin      mood con “ENTRE 8 OCHO CARAIBIC LIVE MUSIC”

                  musica latino americana, salsa y merengue

Largo XX Settembre – Piazzetta San Nicola

  • Ore 23:30  Noche Cubana con il Dj SILVIO SISTO

 e degustazione di rum e sigari

Largo XX Settembre – Piazzetta San Nicola

 

Mercoledì  13 Agosto 2014

  • Ore 18:00Presentazione      del libro

“BASILUCANIA – fra Vulture e dintorni” di Ernesto Grieco a cura di 

Armando Lostaglio

Sala della Memoria, Palazzo Frusci

  • Ore 19:00       Apertura stand enogastronomici, mercatini e percorsi di luce

Via delle Cantine – Via Coronei – Largo XX Settembre

  • Ore 20:00Degustazione del piatto arbëreshë  “Tumact me tulez ”e dei prodotti tipici

Largo Coronelle – Via Coronei – Largo XX Settembre

  • Ore 20:30  Apertura della “Fontana del Vino” 

Largo XX Settembre  – Piazzetta San Nicola

  • Ore 21:00  IL CORPO: L’ARTE IN MOVIMENTO

a cura dell’associazione culturaleARCIPELAGO EVA.
Performance live di Enrico Gambera per Isadora e performance body art live

painting Roberta Lioy,con la pittrice Michela Schettini. Spettacolo di Robert 

                   Po.Mostra fotografica Donna e… di Michele Volonnino

Scalinata Chiesa di San Nicola – Largo XX Settembre

  • Ore 22:30Bossa Nova, Samba Jazz e ritmi latini con i WATERMELON BAND –

Gisela Olivierio voce, Lewis Saccocci al piano,Dario Piccioni al basso,Mauro ” Daila”  Salvatore alla batteria, Gino Capobianco percussioni.

Largo XX Settembre –  Piazzetta San Nicola

  • Ore 23:30  Radio Hirundo Party con i Dj di Radio      Hirundo

Largo XX Settembre – Piazzetta San Nicola

 

Giovedì  14 Agosto 2014

  • Ore 18:00  Presentazione del libro

“ANAGRAMMA Italia” di Gennaro Grimolizzicon la presenza del Giudice

Silvana Arbia

Sala della Memoria, Palazzo Frusci

  • Ore 19:00       Apertura stand enogastronomici, mercatini e percorsi di luce

Via delle Cantine – Via Coronei – Largo XX Settembre

  • Ore 19:30Degustazione del piatto arbëreshë  “Tumact me tulez ”e dei prodotti tipici

Largo Coronelle – Via Coronei – Largo XX Settembre

  • Ore 20:00       Teatro di strada itinerante deiCONTAFATTI LUCANI a cura delCentro

Europeo di Drammaturgia

partenza presso Piazza Carlo Alberto Dalla Chiesa (Comune) su prenotazione
(spettacolo gratuito previa prenotazione a: prolocobarile@gmail.com) 

  • Ore 20:30  Apertura della “Fontana del Vino” 

Largo XX Settembre  – Piazzetta San Nicola

  • Ore 22:00       Barile Jazz|

DEIDDA-AMATO-SCASCIAMACCHIA

Basso, tromba e percussioni.

Largo XX Settembre  – Piazza San Nicola

  • Ore 23:30  Radio Hirundo Party con i Dj di Radio      Hirundo

Largo XX Settembre – Piazzetta San Nicola

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Barile. A cinquant’anni dal film “Il Vangelo secondo Matteo”

Posted on 05 agosto 2014 by admin

Barile iniziative per pasoliniBARILE (di Lorenzo Zolfo) – Nel piccolo centro arbereshe, di Barile quest’anno ricorrono i 50 dalle riprese di alcune scene del film“ Il Vangelo secondo Matteo” del noto regista Pier Paolo Pasolini. Fino ad oggi, solo l’associazione culturale Sisma, da alcuni anni, indice un concorso letterario “premio Pasolini” che vuole essere appunto un omaggio al grande regista e scrittore e un riconoscimento all’originalità dell’intellettuale, assunto come emblema ideale e punto di riferimento di estrema attualità. La pro-loco, da quest’anno, ha pensato di non far cadere nell’oblio questa ricorrenza, realizzando una mostra fotografica di scene di allora nella sede di palazzo Frusci. A sollecitare l’amministrazione comunale, guidata da Antonio Murano, per un maggiore interesse per questa ricorrenza, ci ha pensato il consigliere comunale di minoranza, del gruppo politico “Orgoglio Barilese”Gennaro Grimolizzi:”Il Comune di Barile si faccia promotore di un coordinamento dei luoghi visitati in Basilicata dal regista Pier Paolo Pasolini cinquanta anni fa, in occasione della realizzazione del film “Il Vangelo secondo Matteo”. Nei giorni scorsi ha depositato la sua proposta al sindaco del borgo vulturino. A Barile vennero girate nel 1964 alcune delle principali scene del film di Pasolini: la strage degli innocenti e la nascita di Gesù. Il regista rimase colpito dalla particolare conformazione del quartiere delle Cantine, in grado di rievocare al meglio gli scenari della Terra Santa ed i luoghi delle Sacre scritture. Numerosi cittadini di Barile furono scelti da Pasolini per interpretare i personaggi delle scene girate cinquant’anni fa. «La proposta presentata da Orgoglio Barilese – dice l’avvocato Gennaro Grimolizzi – mira a creare un “coordinamento dei luoghi pasoliniani” in Basilicata, con Barile capofila, con il fine di promuovere l’intero territorio lucano. Si potrebbero avere ricadute positive per il nostro comune, dato che, come è stato annunciato, verrà riqualificato il Parco urbano della Cantine. Si tratta di un luogo legato indissolubilmente alla figura di Pier Paolo Pasolini». “Il Vangelo secondo Matteo” è stato girato anche a Lagopesole e Matera. «Quale occasione migliore – evidenzia il consigliere Grimolizzi – per fare squadra tra i Comuni interessati e promuovere tutti insieme i territori lucani nel nome del regista e scrittore?». Grimolizzi auspica che a Barile vengano incrementate tutte le iniziative culturali «atte a ricordare il legame tra il borgo albanofono e Pasolini». «A questo riguardo – aggiunge Grimolizzi – bisogna coinvolgere tutte le associazioni culturali, migliorare e rafforzare il ruolo della cosiddetta “Casa Pasolini”, collocata nel Palazzo Frusci per renderla maggiormente fruibile al pubblico. È necessario rendere più articolato ed omogeneo ogni intervento. Mai come in questo momento è necessario il gioco di squadra tra associazioni ed ente comunale. La cultura deve essere davvero considerata, e non solo percepita, come volano per lo sviluppo civile, oltre che economico, delle nostre comunità». Qualche anno fa Enrique Irazoqui, protagonista nei panni del Cristo del “Vangelo secondo Matteo”, ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Barile. Nel novembre 2007 il Comune, in collaborazione con la Rivista “Basilicata Arbereshe”, ha avviato un Progetto internazionale denominato “Barile come Betlemme” dal quale sono scaturite diverse iniziative a Potenza (presso l’Università), Bologna (Cineteca Pasolini), Torino, Parigi (Università Sorbona), Barcellona (Filmoteca de Catalunya) e Tirana (Ambasciata d’Italia). Sono state, inoltre, realizzate due edizioni del libro fotografico “Cristo è nato a Barile” (AA.VV., Melfi, 2007-2009) e due mostre fotografiche in bianco e nero itineranti, con l’ausilio del giornalista Rai Rocco Brancati.

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