Categorized | Architettura, In Evidenza

RELAZIONE ESPOSITIVA AL CONVEGNO INTERNAZIONALE SULLA DOCUMENTAZIONE, CONSERVAZIONE E RECUPERO DEL PATRIMONIO ARCHITETTONICO E SULLA TUTELA PAESAGGISTICA

Posted on 12 novembre 2014 by admin

Firenze611FIIRENZE (relatore Atanasio Pizzi) – La delocalizzazione è la soluzione più invasiva che una comunità è costretta a subire, in quanto, stravolge in maniera radicale la storia, i rapporti sociali e sin anche la psiche individuale, questi, già privati dei beni materiali, sono sottoposti anche alle scelte, con finalità di tutela (?), proposte in veste politica, religiosa e novità dell’ultima tendenza: di etnia; tutto ciò non fa altro che sottrarre i riferimenti immateriali ultimo baluardo rimasto nella memoria dei poveri malcapitati.

La casistica è molto vasta e abbraccia epoche diverse, tutte, indistintamente hanno prodotto inquietudini sociali irreversibili e in alcuni casi anche rivolte; tutto scaturisce da dinamismi non proprio naturali, poi sempre  associata a costumi tra i più disparati  con i quali  l’uomo li ha propinati.

L’atto della delocalizzazione perché si realizzi, deve coinvolge quasi tutta la comunità interessata e per questo invitata alla stipula di veri e propri atti d’impegno, materiale ed immateriale; la storia ricorda che sono stati utilizzati sempre singolari stratagemmi per attuare l’esodo senza che si potessero innescare furiosi dissensi; la casistica spazia dalla massoneria abbarbicata alla religione, per Filadelfia; sperimentazioni sociali per realizzare i sudditi ideali, per San Leucio, agro-politiche per La Martella e più recentemente etnico, con la “ Gjitonia” a Cavallerizzo.

L’abitato in esame è un caso emblematico, giacché ad essere sottoposti a questa metodica, sono stati dal 2007 i minoritari di origine albanofona, i cui oltre cinque secoli di storia gelosamente conservati sono stati  dismessi, anche se le istituzioni si ostinano a ritenere che sono stati riversati negli ambiti del nuovo agglomerato di carene.

È bene ricordare che gli insediamenti arbëreshë sono allocati nelle regioni del meridione e precisamente in Abruzzo, Molise, Campania, Lucania, Puglia, Sicilia e Calabria, quest’ultima, con la provincia di Cosenza capofila ha il numero più alto di parlanti.

Infatti, nella provincia citeriore si numerano circa sessantamila unità,  pari all’8% dell’intera regione calabrese, distribuiti in ventisette paesi, tutti adagiati in quella che geograficamente è identificata come la Cinta Sanseverinense, catena solidissima, realizzata nel XVI secolo, per proteggere e rilanciare i territori dei Principi di Bisignano.

Cavallerizzo, oltre ad essere un agglomerato della cinta è situato sulla linea di faglia; San Fili-San Marco Argentano, estesa, quest’ultima, per oltre 50Km. il che rende i paesi albanofoni, della cinta e quelli indigeni a essi adiacenti particolarmente vulnerabili dal punto di vista geologico sin dai tempi in cui vennero edificati.

Che gli albanofoni si siano insediati nel versante del monte Mula, proprio sulla linea di faglia dipende dal fatto che a quell’altitudine le famigerate zanzare anòfele, perdevano efficacia, in oltre era strategicamente la posizione migliore per usufruire delle eccellenze climatiche e territoriali parallele alle terre abbandonate in Albania, per la diaspora in corso.

Un territorio in lento movimento dalle caratteristiche di faglia che provoca spostamenti continui intorno a 1-2 cm/anno e la mattina del 7 Marzo 2005 gli fu attribuita la responsabilità  scatenante l’evento franoso; non ritenendo logico che l’innesco dello sciagurato movimento scaturiva dalla sommatoria delle prescrizioni per la buona gestione del territorio mai attuate.

Le note caratteristiche idrogeologiche, associate alle endemiche problematiche della condotta  Abate Marco, posta proprio a ridosso della corona di frana, notoriamente instabile e  che la saggia consuetudine arbhëreshë aveva appellato non a caso: Nxerta.

Quella mattina, l’incauto sviluppo edilizio, l’instabilità del versante, le perdite più volte annotate della condotta, sommate, alle precipitazioni invernali, innescarono un movimento franoso che cagionò gravi danni alle abitazioni realizzate nella zona di espansione su citata.

Il confronto della piovosità del 2005  e del 2009 indica che  fu molto più intensa alla fine del decennio, ma senza l’apporto dell’acquedotto Abate Marco prontamente deviato all’indomani dell’evento franoso, non si verificò alcuna modificazione in quell’ambito.

A oggi il piccolo centro antico non ha più subito alcun tipo di alterazione e sin anche gli edifici tutti compresi quanti in precario equilibrio dal 2005 rimangono  a dispetto di tutte le regola della scienza delle costruzioni e delle spogliature,  come li modificò la frana.

A fare da padrone invece sono l’incuria l’abbandono e il vandalismo, conseguenza naturale di una vetusta ordinanza, che oltre a ciò  conserva un fermo immagine della malsana gestione del territorio oltre alle caratteristiche idrogeologiche  pari a tutti i centri posti sulla faglia.

I toponimi dei rioni di Cavallerizzo, comparati con la storia degli albanesi delineano in maniera inequivocabile quale evoluzione urbana ha avuto il piccolo centro arbëreshë, Bregù, Sheshi, Katundi e Moticèlleth e nel secolo scorso Nxerta rappresentano la sintesi dello sviluppo urbanistico del centro antico dalla fine del XV secolo, espressione delle città policentriche  e dei principi di famiglia allargata albanofona.

Gli arbëreshë, unica minoranza Europea che tramanda il suo patrimonio attraverso la sola forma orale, la consuetudine e la religione Greco Bizantina, non ha mai avuto alcun testo scritto se non il passaggio da padre in figlio, divenendo così il popolo più enigmatico del continente; ancora oggi solo un arbëreshë può decifrare e tradurre adeguatamente quel patrimonio di gestualità e consuetudine.

All’indomani dell’evento franoso, pur se furono coinvolte solo 25 abitazioni su 260 pari all’11% dell’intero edificato, gli organi preposti, imposero la delocalizzazione come unico rimedio, attribuendo il dato relativo al movimento della faglia San Fili – San Marco Argentano; di esclusiva per il centro di Cavallerizzo, dando avvio al progetto irrispettosi della legge 482/99 a tutela del patrimonio materiale ed immateriale albanofono,  come prescritto dalla legge, di quel determinato ambito e non di altri in atto.

Sin dalle prime scelte urbanistiche e architettoniche appare quale piega inadeguata segue il progetto, l’inesistente relazione storica; ambiti mai visitati o interpretati divengono la caratteristica principale; se a queste si somma il fatto della errata traduzione dei valori ancora vivo nella popolazione di Cavallerizzo, ha illuminato la mente, al signore dei  miraggi algerini.

La sintesi architettonica mai sostenuta e fatta propria perché alloctona, dall’Associazione Cavallerizzo Vive, fu sottoposta al giudizio del Consiglio di Stato che pur non entrando nei meriti della produzione, ha identifico il nuovo insediamento abitativo: Abusivo, perché doveva essere sottoposto a V. I. A. (Valutazione di Impatto Ambientale); oggi con sforzi politico-burocratici si cerca di ottemperare a quanto richiesto dal TAR del Lazio.

Qualsiasi piega prenderà la disposizione di ottemperanza, l’opera realizzata non avrà mai i valori caratteristici di tutti i paesi che vivono di economia derivante da produzioni locali e di quel terziario che è la vera ricchezza dei paesi del meridione italiano, che ogni volta che viene raccontata affascina ogni tipo di ascoltatore.

Purtroppo le  valutazioni di ricerca su citate, hanno snaturato l’intera valle del Crati, dove sono state innalzate forme e schemi fuori da ogni regola, costringendo le genti arbëreshë a vivere come nelle periferie metropolitane, senza metropolitana e prive di ogni minimale servizio che i grandi centri offrono, trapiantando dinamiche sociali che rispecchiano le regole dei paralleli geografici, invece di quelli meridiani del mediterraneo.

Il progetto doveva avere come fine modelli urbanistici e architettonici trasmessi oralmente poiché appartenente a metodiche legate a processi proto industriali che solo un arbëreshë conosce, però gli antiquari  della piramide gerarchica hanno preferito omettere in fase di studio.

Non aver considerato fondamentale, nel nuovo insediamento, le innumerevoli produzioni di artigianato allocate nei Katoi, chiusa la chiesa e allestita l’area industriale(?) ha spogliato la popolazione dai legami inscindibili racchiusi nel concetto della tanto vituperata Gjitonia.

Aver ignorato il concetto di Cortile, Kaliva e Giardino nella loro dimensione metrica equivale a spogliare gli albanofoni del concetto di famiglia allargata fondamenta della consuetudine e del sociale arbëreshë.

Allo stato attuale, per recuperare il vecchio centro sarebbe necessaria l’immediata sospensione dell’ordinanza comunale, l’attivazione dei sottoservizi sospesi irresponsabilmente, la mitigazione dello stato dell’area della frana, la demolizione degli edifici danneggiati con il conseguente ripristino dello stato dei luoghi nel rione Nxerta, la restituzione delle abitazioni a tutti gli abitanti ancora legati agli ambiti dei quattro rioni storici, attivare le attività ecclesiali dismesse, al fine di far ripartire l’antica consuetudine minoritaria.

In seguito realizzare il progetto per la messa in opera della stazione di rilevamento che fornisca costantemente i valori di faglia dinamici e idrografici di tutta la valle del Crati, l’istituzione di un campus universitario, l’albergo diffuso e la messa a dimora di piantumazioni e attività agro-pastorali, al fine di chiudere il cerchio e dare dignità a quel territorio che per le sue caratteristiche intrinseche da sempre si prodiga per il benessere e la prosperità della provincia cosentina, al fine di realizzare un esempio turistico culturale per tutta la regione storica arbëreshë.

 

Comments are closed.

Advertise Here
Advertise Here

NOI ARBËRESHË




ARBËRESHË E FACEBOOK




ARBËRESHË




error: Content is protected !!