Archive | In Evidenza

CatturaNapoli Adriano

PROGETTO: NAPOLI E LE SUE PROVINCE FUCINA DEGLI ARBËR

Posted on 27 giugno 2023 by admin

CatturaNapoli AdrianoNAPOLI (di Atanasio Pizzi Arch. Basile)

Progetto per la Regione Campania

    • Premessa

    La Campania come altre regioni ha accolto e dato seguito locale, alla legge nazionale in ambito di tutela delle minoranze storiche, nota come 482/99, secondo quanto disposto e, pubblicato nel Bollettino Ufficiale del 22 dicembre 2004 n. 63.

    La specifica applicazione ha trovato seguito in istituti e presidi civili e religiosi, in concertazione con le provincie, i comuni e luoghi dove le cose degli Arbëreshë, hanno trovato ambito per insediarsi e integrarsi.

    Le mire della Regione Campania, sono finalizzate a tutelare il patrimonio linguistico, storico e culturale del comune di Greci in provincia di Avellino, d’intesa con i presidi regionali preposti a divulgare, promuove e sostenere, l’inserimento della lingua, oltre a ricercare unitamente, gli effetti resi alla società in senso storico e culturale dell’operato arbëreshë.

    Valorizzare la memoria delle figure e le attività in seno al territorio regionale, hanno evidenziato questa eccellenza che dal punto di vista sociale e integrativo, risulta essere la più longeva del mediterraneo.

    La Regione, la Provincia e le Università della Campania concorrono tutte, con la comunità di Greci, all’istituzione, promozione, finanziando: biblioteche, attività multimediali, archivi documentali, i midia, i dati, con raccolta di materiali storici, folcloristici, artistici, linguistici e del Genius Loci Arbëreshë.

    Storiche eccellenze in diverse attività e momenti della storia della regione in senso generale, contribuendo alla valorizzazione, in senso generale della regione dal XVI secolo ad oggi.

    Lo scopo della legge regionale, punta a realizzare, premi letterari, artistici, iniziative e manifestazioni con finalità utile alla divulgazione di fatti di rilevanza con luogo Napoli e la Campania.

    La Legge regionale della Campania n. 63 del 22 dicembre 2004, ha trovato diversi momenti di applicazione in comune accordo con presidi universitari quali: l’Università Orientale, Federico Secondo, Suor Orsola Benincasa e l’Università di Salerno, aprendo nei diversi momenti di applicazione, le prospettive sempre più ampie di rilevare, l’utilità di studio comparato ben oltre il tema o esclusiva dell’idioma.

    Oggi a distanza di anni, e viste le nuove ricerche rivolte alla minoranza Arbëreshë, si vuole ulteriormente innalzare il Comune di Greci in quanto depositario dei momenti di eccellenza che hanno visto la Campania con protagonista il genio espresso in numerose discipline questo popolo di emigranti.

    A tal fine si propone n progetto che dia una misura o meglio una prospettiva più ampia l’insieme caratteristico e caratterizzante la minoranza, di quello che un tempo fu Regno di Napoli o delle due Sicilie, e oggi regione dell’Italia Unita.

    Vero è che a seguito dell’applicazione della legge, e trascorsi quasi due decenni, si vuole rilevare un dato inconfutabile mai posto compiutamente in essere, ovvero, i momenti di accoglienza, integrazione e cooperazione, in tutte le provincie della Campania degli arbëreshë, oggi ritenuto modello di accoglienza e integrazione, tra i più solidi del mediterraneo.

    Svelando ciò si dà anche merito alle cose buone realizzate in numerosi campi, generalmente attribuite quale merito dei regnati, o al momento storico, sminuendo generalmente il genio, la figura o l’uomo, che le ha immaginate, studiate e proposte, per diventare primato.

    • Introduzione

    Greci è un piccolo abitato in provincia di Avellino, allocato nei pressi di un antico tratturo che corre lungo la dorsale del fiume Cervaro, a ridosso delle paludi Sipontine, i Monti Dauni e l’Irpinia, menzionato dopo il 535, presumibilmente fondato, dal generale Belisario, per volere dell’imperatore di Costantinopoli, Giustiniano.

    La sua posizione di cerniera tra le regioni di Abruzzo, Puglia e Campania gli consentì di assumere un ruolo commerciale di rilevo nel corso della storica.

    Il 14 agosto del 1461, a seguito della gloriosa battaglia di Orsara, in località Terrastrutta, nelle vicinanze di Greci, il condottiero Giorgio Castriota, lasciò in quella zona diverse guarnigioni di albanesi a guardia dello strategico polo.

    L’insediamento degli albanofoni a Greci, non avvenne in tempi brevi giacché una vera e propria popolazione del piccolo agglomerato di case, ebbe modo di coagularsi tra il 1468, a seguito dell’accoglienza della famiglia del condottiero albanese a Napoli e poi dal 1533, (flussi migratori più consistenti e secondo un progetto di strategia predisposto secondo l’Ordine del Drago), iniziarono, cosi le vicende di confronto e integrazione con le genti indigene, garantita dal eguale rispetto per il territorio.

    Questi erano i tempi dell’Umanesimo, il fenomeno culturale germogliato appunto dal XIV secolo, secondo i canoni della riscoperta della cultura dell’antichità classica greco e romana, in tutto la capacità dell’uomo di agire nella vita civile e politica con la volontà di far rivivere, le virtù del mondo antico e, Greci, il Katundë degli Arbëreshë, su questi argomenti, aveva ben saldo nel suo costruito elementi per migliorarsi perché nata greca e ricostruita romana.

    A seguito di ciò, definiti i rapparti di scontro e confronto tra le genti indigene e i rifugiati della diaspora albanese, a fine seicento ha inizio l’illuminismo, ovvero, l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità in quanto stato generico, dell’incapacità di valersi del proprio intelletto, senza la guida di un altro.

    Questo naturalmente non per difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza decisionale in autonomia, altre parole il coraggio di far uso delle proprie forze intellettuali, senza essere guidati da altro, secondo il motto dell’Illuminismo che diventa:

    “Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!”

    Napoli per questo è stata meta principale di nuove leve pronte a definire e spargere il proprio genio senza però, dimenticare gli Studi nella città di Salerno, risalenti al secolo VIII d.C. ovvero, la “Scuola di Salerno “.

    Questa unica del suo genere si fondava sull’unione tra la tradizione Greco-latina e le nozioni acquisite grazie alle culture Araba ed Ebraica e, rappresenta un momento fondamentale nella storia della medicina, infatti introduce nel metodo l’impostazione della profilassi.

    L’approccio era basato fondamentalmente sulla pratica e sull’esperienza che ne derivava, aprendo così la strada alla cultura della prevenzione e della medicina empirica, la scuola comunque, oltre all’insegnamento della Medicina, impartiva anche insegnamenti di Filosofia, Teologia e Diritto.

    E è qui che si recò per conseguire il suo primo titolo accademico Pasquale Baffi, una volta espulso dal Collegio Corsine e, tra l’abazia di Cava dei Tirreni, l’Università di Salerno e nella sezione distaccata in Avelino dove insegnava, Greco e Latino, inizia la sua carriera senza eguali, come linguista e analista primo della lingua Arbanon, di cui la storia della minoranza proveniente dalle sponde dell’Adriatico, non ha ancora avuto occasione di acquisire consapevolezza, perché continuano da scoli a rimanere poco attenti.

    Dopo la parentesi negli antichi presidi culturali Salernitani, viene richiesto il suo apporto a dirigere il corso di Greco e di Latino nella Scuola Militare Nunziatella, che a quei tempi allocava i corsi della Marina a Portici e quelli Militari in Napoli, nel Castello di Ruggiero II, oggi presidio del giudice di pace, perché non ancora pronta la sede storica oggi nota per la formazione di ufficiali.

    Napoli dal periodo dell’illuminismo e senza soluzione di continuità ha allevato, un numero imprecisato di figure Arbëreshë e non solo, le quali per il loro lume e la dedizione che mettevano nelle cose in cui credevano, fecero brillare e affermarono il genio degli Arbanon, Arbërj o Kalabanon, in tutto il vecchio continente e oltre.

    Figure che dal punto di vista sociale, culturale, politico, intellettuale o in campo della scienza esatta, giuridico, e dell’uso del suolo comune, hanno depositato perle di saggezza ineguagliabili e, in molti casi hanno visto le province campane, meta scientifica per leggere e capire cose buone, le stesse poste in essere, per la salvaguardia e l’equilibrio geologico del territorio e in favore dell’uomo.

    • Progetto e Conclusioni

    Nasce qui l’esigenza di allestire un progetto supportato da un gruppo di lavoro con Associazioni (ACLI), Università, Istituzioni, tutte a garantire figure multidisciplinari, indispensabile unità di concertazione diretti da un referente capace di fornire nuova linfa interpretativa alla legge del 22 dicembre 2004 n. 63, raccogliendo catalogando, analizzando e studiando, dati fatti e cose, secondo una visione multi disciplinare moderna, che non si ferma al mero esperimento linguistico, ma che analizzi la radice delle cose, seguendo il tronco che unisce i vari rami, che germogliano e fanno quei fiori e frutti particolari: arbëreshë.

    Tutto questo al fine di e per compilare una mostra itinerante, in grado di esprimere luoghi e uomini secondo lo scorrere del tempo e senza prevaricazioni di sorta, ad iniziare da dalla terra madre degli Arbanon, poi Napoli seguendo le radici lungo gli oltre cento paesi di origine arbëreshë e terminare a Greci in Provincia di Avellino, dove in pianta stabile sarà allestito un edifico o polo di attrazione della storia degli Arbëreshë.

    I cui titoli seguiranno le vie dell’idioma, la consuetudine, gli ambiti attraversati per essere bonificati, i cunei agrari, il costruito i costumi, la casa e la credenza che uniscono i due termini adesso citati.

    La commissione in oltre avrà il compito di promuovere misure atte alla costituzione e la definizione della “Carta per la Tutela e Salvaguardia delle Minoranze Storiche”

    Tutto questo per evitare il susseguirsi di compilazioni a dir poco inesatte, di fatti, e cose materiali e immateriali dell’eccellenza impareggiabile, che dalla emanazione in avanti non dara più spazio a libere interpretazioni.

 

 

P.S. Il progetto è stato redatto dallo scrivente, per questo ogni utilizzo da parte di altri privati e/o associazioni senza consenso sottoscritto è sottoposto alle leggi del Copyrait, si adisce  secondo le normative di legge.

Comments (0)

GIUGNO IL TEMPO DEL RACCOLTO FATUO RIMASTO (tue mbiedur ghì e finghillë pa Zjarë)

GIUGNO IL TEMPO DEL RACCOLTO FATUO RIMASTO (tue mbiedur ghì e finghillë pa Zjarë)

Posted on 25 giugno 2023 by admin

cenere e carbomeNAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Ormai sta diventando una consuetudine a dir poco vergognosa, l’allestire fatuo storico, da giugno a settembre e, questo del 2023 in corso e la terza edizione che senza soluzione di continuità espone atti, fotocopie, inesattezze o guerre di pasqua vinte per fare festa.

La cosa ancor più grave resta stesa alla luce del sole, ed è il dato del perseverare con attività nell’aia del fatuo a termine, con abbagli storici, stesi senza vergogna, innanzi alle storiche case di quanti conoscono, sanno e così facendo, tutto diviene via crucis in pena di dolore, per chi osserva e ascolta le attività fuori loco e palmo.

Va tuttavia rilevata la pazienza dei saggi, i quali, si dimostrano comprensivi visto il gran numero di comunemente che, ballando e cantando, sventolano natalizi, spargono radici e, per mare tornando a casa.

Scendere con la scopa in mano nell’aia del “trapeso”, sarebbe la cosa più opportuna da farsi, ma chi è saggio usa la scopa per fare altre cose, perché spera che il buon senso deponga radice e, curi le menti di questa schiera d’incultura di “mezza festa”.

Ormai il mese di giugno è considerato la vigilia, “la mezza festa” il momento di tutto quello che rappresenta il nulla per l’Arbër, non resta altro da aggiungere, bisogna solo prendere atto del dato che sono anime in pena lontane dal proprio cuore.

Giugno ormai è da ritenere il mese in cui si manomettono le pietre fondali della storia e, tutto diventa “lecita magistralis”, infatti, sono tanti che scendono armati di chitarre, mantice e tamburello, per indirizzare i/le costumanti/e a turcofone ruotate, cantare e, cosa più grave sollevare la veste del marito e del padre.

Non è concepibile che dall’alto degli scanni, di quanti avrebbe dovuto garantire pubblicamente, misura, parole, atti e cose, come il dovere del ruolo assunto gli imponeva, affermare che: la storia letteraria, della minoranza più longeva del vecchio continente, sia iniziata nel 1831.

Poi se a quest’affermazione, affidano l’operato di nobili eccellenze risalenti al 1775, le stesse volutamente ignorate per dare spazio a una anomala figura, incerta persino della sua natura, il quale poco attento immaginò che catapultarsi a Napoli per cose, nessuno le avrebbe potute riconoscere, come ha fatto il figlio quando ha avut innanzi il copiati dell’opere paterna ancora violato.

Conferma resta il compilante, che si vide costretto a tornare indietro a ricamuffare ogni cosa, con più confusione della sua banalità culturale da allora in poi messa di lato.

Poi germogliarono gli anemici guerrafondai dal vallone senza bandiera, pronti ad armarsi e partire appena odorata la polvere da sparo dei venti rivoluzionari, i quali recatisi in ogni dove, chiedevano ai locali in rivolta, a chi, cosa e dove mirare per seminare morte.

A quanti hanno frequentato quel presidio di incultura “ilibërato” non resta che chiedere di smettere: Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta, Basta e Bastaaaaaaaa…….e se non lo avete capito BASTA, chiudete bottega e fate orti; si, a voi, proprio voi che dite di essere “titolo”, “titolati” e “certificatori”, smettetela una volta per tutte, di seminare grano a giugno, tanto non germoglierà mai e neanche di fatuo a settembre come inconsciamente avete promesso non fate nulla, dopo aver redarguito i saggi che vi superano in ogni dove.

Giugno rappresenta il baricentro della estate Arbanon, il tempo di raccogliere i seminativi per questo bisogna sapere bene quello che si coglie per separarlo dalle cose fatue.

Saper riconoscere e ripetere questi antichi gesti consente al futuro continuità del luogo, in comune convivenza con l’uomo, il mese è il primo momento di esposizione alla calura estive: e non certo è il luogo adatto per esporre neonati in fasce non all’ombra, altrimenti si terminano le cose buone della specie per pochi frutti acerbi.

Ora inizia luglio, riservandoci non certo cose migliori, del mese appena trascorso, certamente si continuerà nel non rispettare uomini, cose, vestizioni, civili, religiose e, si diventerà ancor più estremi, nello smarrire i sensi del protocollo di credenza e onorare, quei tragitti che uniscono tutte le case con la chiesa.

Si vuole sottolineare in questo breve discorso il rispetto che le grandi famiglie hanno sempre avuto per il ricorso dei propri figli, come quando nel 1799 i Serra di Cassano si videro impiccato in maniera a dir poco indecente il figlio Gennaro, rampollo 27enne, essi per questo chiusero il portone che affacciava verso la residenza reale e da oltre duecento anni rimane chiuso in senso di disprezzo verso quella corona, e ancora oggi quell’atto rimane vivo tra quei palazzi, nonostante la prospettiva sia mutata.

Questo, valga di esempio, per chi ha consapevolezza e cognizione di tempo, uomini sangue e cose, alla ricorrenza del luttuoso 18 Agosto, festeggiato perché risultato di conti errati, un falso storico e nulla più, quando a suon di fanfare e onorificenze, ironicamente, pure alla stessa ora, beffa storica di una duplice inforcatura  del 1799 e del 1806.

Non è diverso il ricordo degli altri uomini illustri, associato generalmente a nere figure antagoniste, nelle vicende che videro protagonisti glia Arbanon.

I nomi di questi tutti riversati in una cesta per fare estrazione o riffa e, per il sole cocente di mezzo dì, si finisce per estratti come eccellenza, un nero, collocandoli in lapide ricordo con il risultato di 64 certificato per 66 e quindi il giuoco risulta essere truccato.

La letteratura non riconosce a Pasquale Baffi, il dato di essere il primo letterato a comparare le parole Arbër con quanti, con questo popolo, si sino confrontati, per questo è il compositore primo di grammatica  e tutto il resto viene dopo.

Se a questo aggiungiamo le disertazioni gratuite di quanti millantano di saper leggere e non riconosce nei discorsi, lo svolgimento dei periodi ad opera del grande letterato sofiota, è il segno inconfutabile che per concorrere al titolo accademico, molti non hanno fatto i compiti a casa e, quello che più conta, non riconoscono la grammatica del maestro con quella di pesatori di grano per tomoli d’interesse.

Si fanno presidi universitari e si perde la mira per la quale scopo furono istituite, tutto questo succede quando non si ha una titolarità specifica dell’argomento, pellegrinaggio senza meta verso le cose moderne che hanno facile misura di tutela, in senso generale, ragion per cui si cerca di innestare l’età della pietra, con l’impero romano, il medio evo e l’era della globalizzazione, senza il minimo riguardo del tempo che tra queste le differenziate.

Il dato che emerge non presta alcuna attenzione alla storia in senso generale e poi come in tutte le cose nessuna attenzione è rivolta alla tutela delle architetture storiche o degli ambiti all’interno dei “centri antichi”, specie nell’esporre cose o fare ricerca verso le attività agresti o la dieta mediterranea, tralasciando i Cunei Agrari, che nella maggior parte dei casi, sono una meteora ignota, comunque non buona da tutelare.

Eppure basterebbe accogliere le figure giuste per intercettare cosa serve e cosa è fatuo, specie per avvicinare i canali turistici che contano, preferendo “bërlocarsi di tutto punto”, per annunciare rapporti intimi e distrarre le piazze divertite, in tutto, continuare ad essere ignari del messaggio inviato.

Cosa dire poi degli inesistenti “Borghi Arbëreshë”, di cui senza formazione si riferisce del costruito, risalente a detta dei cultori, a sei secoli orsono, anche se i materiali dei modelli indicati, descritti e circoscritti, come originali dell’epoca sono tipici delle superfetazioni degli anni sessanta del secolo scorso, a detta sempre degli espositori, ispirati dalle direttive del Cubismo Analitico e Sintetico, in tutto, un penoso falso storico per attrarre ignari turisti, della breve colazione, che partono senza nessuna memoria e contenti di aver mangiato a pranzo.

Se poi il tema diventa la tutela delle parlate locali, oggi tanto in voga e divulgato, per opera di meteore linguistiche a dir poco inopportune, non esistono temi in grado di dare in barlume di fondamento agli orgogliosi alfabetari locali, sbandierati e riverberati ai quattro venti, con le parole Autobus per la “A”;  Elefante per la “E”; Pinocchio per la “P”; Orologio per la “O”; Telefono per la “T”; Gorilla per la “G”; ritengo questi accenni siano sufficienti per evitare di scuotere il sonno eterno dei nostri Avi.

Chiaramente soffermarsi sul protocollo della vituperata Gjitonia è un obbligo, specie se diffusa come Vicinato o ancor peggio di Strade, Piazze e Palazzi, questi ultimi fatti di libri rari, portati dall’Albania dentro bauli(?), mentre le altre lastricate di pergamene scritte in latino e greco, tanta cultura alla pari, dei materiali edilizio per fare abusi, come ferro, amianto, plastica e ogni sorta di additivo inquinanti

Si cantano e si ballano valej non avendo alcuna ragione del significato, confuso per battaglia vinta, come se il popolo più antico del vecchio continente, per ballare e per cantare, doveva attendere la Pasqua del 1460 dopo aver fatto strage di uomini donne e bambini.

Altro dato mortificante è allestiscono musei biblioteche e archivi senza che si consulti un luminare titolato per innalzare o articolare questi presidi; potrebbero esser eccellenza, ma si preferisce averli “varruni”, di cose accatastate e delle quali non si conosce, senso direzione, tempo e regole utili alla sostenibilità locale abbandonata così al consiglio del primo viandante, il quale anche se formato non sa e non conosce nulla di quelle pieghe, diplomatiche o temi dirsi voglia locali.

Ormai non si distinguono cosa siano le cose di casa e le cose della credenza, all’interno dei perimetri civili di quelli sacri e le vie del culto, unite indelebilmente.

Ormai oggi tutto si è appiattito ogni cosa è stata cancellata, al punto tale che il capofamiglia del rione Kanun, viene emulato alla pari dei protettori di credenza che dovrebbero essere altra cosa.

Anelli, chiavi, battenti e mezze porte, sono cose della casa, ormai parte anche dei luoghi di culto e, senza misura, grazia, per i Santi che non descrivo più le vie della storia locale, ma diventano luogo dei sani all’inizio dell’evento e, non si ha misura o sostantivo plausibile per “sostenerli” al termine della processione fondamentale per incamerare visibilità degli accasati.

Essere sempre coerente e vicino alle cose, gli uomini, l’ambiente, la storia dai tempi in cui furono e rimasero Arbanon, non importa, resta solo il valore di quanti dicono di sapere, tanto sono e restano, molto più distanti del mio cuore, perché credo sempre nell’essere un Arbëreshë e, non importa altro,

Non bisogna aprissi mai alle cose nuove della vita senza avere riferimenti certi, ovvero come si è stati allevati dai sapienti Genitori e Gjitoni e, tutte le cose che affermano non si citano solamente, ma devono trovare conferma, solo così diventano e sono il momento di conferma per tutti noi.

Mantenere la mente aperta, per un modo profondo e sincero di vedere le cose, senza altri fini o campanili di persone del passato, è l’obbligo che perseguono le persone sagge Arbëreshë.

Viviamo questa vita con il ruolo che una famiglia albanofona, generalmente per discendenza affida a un abilmente dotato, compito non per tutti, ma solo per pochi; in quanto servono anche l’occhi nel cuore, nella mente e, non tutti sono designati per natura ad averne tre.

Non importato cosa cercano di sapere e fanno le altrui genti, né si deve dare peso di cosa sanno e non vogliamo sapere, perché essi comunque vivono lontano dal cuore, perché noi viviamo orgogliosi di essere abilmente dotati.

Ignota rimane l’unità di misura con cui calcolano le cose fatte, sicuramente loro sono molto lontani dal proprio cuore, in quanto non hanno mai provato a credere in cosa siamo e, poco importa cosa diffondono, non importa cosa conoscono e di quanto e di cosa preferiscono contare, ballare o apporre bërlocun.

Esprimersi ermeticamente è l’unico modo per difendere le cose buone, perché quando essi proveranno a capire si comprenderà chi sono i veri ricercatori e quanti vivono a modo inverso, per copiare ricerca altrui.

Tutte queste parole non si affermano per cercare croci di bosco, ma riferisco la fiducia che giunge ogni giorno con cose nuove grazie all’occhio della fronte, del cuore e della mente.

Quello che poi appare è un problema di chi ti deve accogliere e si vergogna, immaginando che due occhi sono meglio di tre.

La mente deve essere aperta per vede cose in Arbanon, non riservare altri fini è obbligo, non importa altro, non importa quello che dicono, non importano i giochi di storia, non importata quello che fanno, non è mai importato quello che sanno, perché la visione trittica non ha rivali e camminare con il vero e, sicuramente state sempre vicino al cuore, credendo per questo sempre in chi e cosa siamo e, non importa nient’altro.

Io sostengo la storia, quella vera, la stessa che ha un inizio, uno svolgimento e il continuo secondo la dinastia di oltre Adriatico ereditata; credo nel Castriota, nella Comneno, nel Baffi, nei Bugliari, nei Giura, nei Torelli, gli Scura e, non importa altro, tanto il resto è noia copiata o riportata per essere illuminati nel palco dei cantanti.

Per terminare si potrebbe ironizzare affermando che tutto quello che è stato fatto per la tutela è finito con il distruggere con largo anticipo, quando doveva essere tutelato e avere più vita e, a ben vedere osservando le ondate che arrivano ad est del fiume Adriatico da un poco di tempo a questa parte, per fini di tutela e cooperazione, peggiora ancor più le cose, cancellando quello che dovevamo difendere.

Restano solo le cose giuste degli ostinati buoni, armati dell’occhio della fronte, del cuore e della mente, i quali continuano a catalogare e scrivere, per lasciare almeno l’impronta di un essere umano, lungo quel solco tracciato il giorno prima del 17 gennaio del 1468 dal Castriota e i suoi fidi.

A queto punto torna in mente uno dei principi delle storiche massaie Arbëreshë, le quali durante la settimana per fare cose dal maiale dove valeva la regola che: nel dubbio mettete tutto nella madia: alla fine facciamo Nduja, tanto, uno disposto a cibarsi, lo troverete sempre da giugno a settembre, dopo il duro lavoro sotto al sole dei campi che hanno già dato.

Comments (0)

ERA IL 17 GENNAIO DEL 1977

ERA IL 17 GENNAIO DEL 1977

Posted on 21 giugno 2023 by admin

pifferaio

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Ero poco più che un bambino, non frequentava ancora l’asilo, quando nel giardino che circondava l’INA-Casa, giocavo gridando e immaginando epiche battaglie e T.C. Miracco che faceva da sostegno alla madre anziana e sofferente della vecchiaia, io chiamavo rispettivamente Nanë Carmè e Kumbaclè.

Questi, per non interrompere i miei rumorosi sogni cavallereschi, al quanto riecheggianti, mi invitavano a sedermi in mezzo a loro e ripetere le parole Arbëreshë che diffondevo in maniera a dir poco anomala.

Una volta seduto e fermo delle mie frenesie cavalleresche, mi dicevano: Shànà ripeti bene le parole, perché così come fai, se vai in piazza a giocare e ti sente parlare un viandante, ti mette nella sporta dell’asino e ti porta a San Demetrio perché loro parlano e fanno così, e poi diventerai Shimitrotë.

Per questo ogni volta che vedevo il figlio sostenere la madre per sedersi a conversare sedevo in mezzo a loro e chiedevo di essere interrogato sulla mia origine di parlatore sofiota senza ombre o dubbi.

Passarono circa due decenni da quelle ripetute verifiche e, decisi che l’università, avrei dovuto continuarla definitivamente a Napoli, era di pomeriggio quando mi accingevo a salutare parenti ed amici, perché il giorno seguente, 17 gennaio del 1997, sari partito.

Alle ore 15, 00 durante uno dei miei ripetuti andar vieni, da casa e piazza, incontrai il proff. E.A. Miracco, il nipote e figlio dei due storici verificatori, il quale mi faceva gli auguri per l’inizio della mia nuova carierà, aggiungendo che: finalmente uno studioso, data la mia volontà di essere architetto, avrebbe fornito alla storia del nostro paese, risposte valide di cosa rappresentassero palazzi, case orti e strade per noi Arbanon, e della stessa Trapesa dove ci fermammo a conversare.

Quelle parole oltre all’impegno assunto con mia Madre e mio Padre, sono diventati la meta o meglio la strada che non ho mai smesso di seguire, per migliorarmi.

Infatti dal giorno che giunsi a Napoli, l’Università gli Archivi, le Biblioteche e i luoghi di culto, tutti, sono stati i mira di studio e apprendimento per la mia formazione e di ricercatore e professionista.

Oggi posso affermare che il mio dovere di studente, tirocinante estremo, professionista e ricercatore è stato svolto con una tale dovizia di particolari, che per molti comuni viandanti è ritenuta, troppo elevata, anche se in cuor mio ritengo che tutto si può migliorare, avendo cuore e mente vicino alle cose che contano.

Stare vicino alla propria radice non sarà mai molto più lontano dal cuore, se crediamo sempre in quello che siamo nient’altro importa.

Non mi sono mai espresso in questo modo la vita è nostra, la viviamo a modo nostro, tutte le parole non si dicono, ho sempre cercato la fiducia e la trovo e nelle persone a me più care.

Ogni giorno è qualcosa di nuovo, basta avere la mente aperta per un modo diverso di vedere le cose, non importa altro.

Questi sono le diplomatiche che ho seguito per giungere alla definizione stoica culturale dell’edificato minoritario di radice Arbanon, avendo cura di appuntare fatti luoghi e avvenimenti con le vicende di tempo e di luogo dove e quando sono avvenute.

Non fanno parte della mia natura di studioso campanili, palchi o specchi di travaglio comune, gli stessi che piegano le cose della storia ridicolizzando sin anche prestigiosi gruppi musicali, presidenti e rappresentanti di varia levatura i quali, attratti a partecipare a luminarie inopportune, denotano la precaria qualità culturale minando irreparabilmente la forza politica, rivela dei comunemente manovrabili.

Il Genius Loci espresso nelle Kalive, Katoj, Palazzi, Rioni, Chiese, Toponomastica, Costume  e tutte le attività del trittico mediterraneo sono i componenti pazientemente studiati e assemblati per poter restituire o meglio fornire un percorso, una metrica unica e inattaccabile, la stessa che ha dato lezioni a uomini politico di levatura estrema, da poco scomparsi, in quanto le diplomatiche poste in essere, sono un macigno, per quanti da decenni, senza sapere di cosa parlano, espongono e valorizzano faccendieri economici o esponenti culturali, che definire copiatori è poco.

Esiste un luogo in Calabria citeriore, che grazie alla fortuna di essere allocato a favore di vento, rispetto a un antico presidio di cultura e, per questi i figli li nati e allevati hanno acquisito note senza stonature culturale, diversamente da chi è cresciuto a ridosso di mulino che a seconda del macinato cambiavano tono.

Oggi invece di far rivivere e creare presupposti sociali condivisi, si disegnano le cose del futuro, invece di ricordare il passato, in oltre si insegna come appellare gli animali della giungla o attrezzare veicoli comunicativi moderni aggiungendo una” J” una “ë” o chissà quale lettera alfabeta greca per sentirsi più elevati.

Due anni orsono, la previsione di Miracco poteva concretizzarsi, ma purtroppo la scelta di puntare nella fotocopia più assurda che la politica poteva esporre, si è preferito ballare tarantelle travestiti da sposo, sposa e prete non titolato, invece di ascoltare e rendere di eccellenza storia.

A tale misura urge predisporre attività di tutela più solidi e allestiti da gruppi disciplinari e non da singoli senza tirocinio, almeno ventennale; per quanto mi riguarda il consiglio/augurio del proff. E.A. Miracco, è stato portato a buon fine, adesso spetta ai preposti organizzare, scena e attori,” assecutando” i comuni parlatori nella Trapesa dopo quel 17 gennaio 1977.

Commenti disabilitati su ERA IL 17 GENNAIO DEL 1977

9_original_file_I0

I PIONIERI ARBËR DELLA LINGUA, DEL GENIO, LA LEGGE E DELL’EDITORIA

Posted on 02 giugno 2023 by admin

9_original_file_I0NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Esiste una via che unisce la saggezza linguistica, la scrittura, la diffusione, il genio e la saggezza di applicare leggi, secondo il genio Arbër, purtroppo ancora oggi ignota a quanti lo avrebbero dovuto sapere, largamente divulgare e sostenere.

Esistono quattro colonne, o meglio Figure, vere e proprie istituzioni della storia Arbër, che non sarà mai possibile superare, nonostante la pubblicità multimediale dei comunemente, semini piccole cose dei campanili senza ne corde e né campane.

Esiste un tempo per copiare, non fare i compiti, bighellonare, cantare in tutto marinare la scuola, poi viene giugno e il maestro saggio tira le somme e, nonostante le raccomandazioni dei potenti, promuove quattro, il resto è rimandato a settembre e i rimanenti tre sono bocciati e devono ripetere tutto.

Esiste la strada che unisce le quattro colonne e, quanti non studiano non conoscono neanche o hanno la ben che minima consapevolezza del valore di univoco che si dà alla storia; essa parte dalle colline della Sila, segue la via Erculea, intercetta la Traiana in “Aequum Tuticum” e per le trionfali arche della Traiana poi da Benevento segue l’Appia Antica, per finalmente vede il sole della cultura a Napoli.

La strada unisce senza soluzione di continuità, gli studi e il genio primo di Pasquale Baffi il Linguista; Luigi Giura il Genio di Scienza Esatta; Rosario Giura il Procuratore e, Vincenzo Torelli il genio della cultura di Massa.

Questi sono il genio della cultura del mondo Arbër, tutto il resto è contorno, associati di comodo, o “riverberatori seriali di comodo domestico”, che non avranno mai le carte in regola, per essere promossi a giugno.

Queste quattro colonne che sostengono i valori fondamentali della regione storica diffusa degli Arbër, saranno qui analizzati brevemente, tanto basta lo stesso per rendere merito al loro genio, mai da nessuno analizzato con dovizia di particolari o breve serenità di saggezza.

In questa diplomatica rivelatrice della storia, non si parlerà di cavalieri, elmi, spade, gabelle o alfabetari, ma della storica consuetudine caratteristica del genio di uomini semplici, che con il loro sapere hanno unito genti e difeso la storia, da protagonisti silenziosi del mondo Arbër.

Per questo il tema si svolgerà con il rispetto dei tempi dei luoghi e delle cose divulgate secondo l’esigenza e svelare senza protagonismo come hanno avuto luogo le cose materiali ed immateriali della sostenibilità del buon nome degli Arbër.

Quattro sono le figure, a cui poi come si fa con il miele versato, si avventano formiche, zanzare e ogni sorta di invertebrato a caccia perché affamato o senza gloria.

In definitiva esso sono, rispettivamente per nascita: Pasquale Baffi Linguista; Luigi Giura Genio di Scienza; Rosario Giura Procuratore e, Vincenzo Torelli istituto della cultura di Massa, sono loro che dal fiume della Calabria Citeriore e dal Vulcano Vulture, resero servigi di radice culturale e sociale impareggiabili dal 1775 e per oltre un secolo.

E da questi quattro elementi forti, poi prendono spunto e si dirama, il pensiero e le gesta di altre figure, alcune buone come i maestri e purtroppo, anche tre note stonate degeneri o replicanti seriali, ma noi qui parleremo solo delle colonne.

-Prima Colonna: Pasquale Baffi

Chi dei ricercatori moderno, ha studiato le gesta del Baffi, con dovizia di particolari, comprende subito che il solco dritto e indeformabile, nonostante numerosi contadini moderni, cercano di storcerlo, sono la prima icona dello studio e la comparazione della lingua Arbër, anche sulla scorta dei suggerimenti, forse mai letti da nessuno, degli studi del professore M. Gigante, uno dei più importanti papirologi italiani del dopoguerra e, in senso lato, studioso delle antichità classiche e bizantine.

Conferma resta la prima comparazione delle parole più comuni utilizzate dagli Arbër scritta con lettere greche, risale al 1775-76-77 stampata all’estereo senza errori, diversamente da come decenni dopo per tutelarsi si trascrive a premessa, perché a Napoli a quei tempi nessuna Stamperia era fornita di quei caratteri, diversamente dalle stamperie del nord Europa più evolute.

Resta un dato inconfutabile, comunque, anche conservato, nella biblioteca nazionale nel fascicolo Baffi, dove sono trascritte a mano comparazioni Arbër, co le lingue indo europee, al fine di estrapolare la radice di numerose parole.

Da ciò è bene ricordare a quanti asseriscono che il Baffi non è da ritenere eccellenza, ma eroe, perché non ha scritto nulla, per la divulgazione della lingua scritta Arbër, ritenendo che i pionieri sono giovani leve che nel 1775-76-77, non erano ancora né seme e né stelline, sbaglia quindi chi costruisce campanili da cui sparge veli di polvere e fatuo.

Il primi e unico pensatore colto, che aveva titoli formazione, garbo educazione, in tutto forza culturale per non esporsi come comunemente avviene ad errori scritti, è stato il Baffi e, se nel 1831, qualche avventore immaginava che a Napoli nessuno avrebbe riconosciuto il copiato o il riportato di altri, ha fatto una penosa figura, quando quei racconti, sottoposti alla verifica di Michele Baffi, figlio di Pasquale, esperto in Diplomatiche, è stata solo la sua educazione nel tacere sugli gli scritti, in silenzioso dispiacere, riconoscendo il maltolto paterno.

Per terminare la parentesi della colonna linguistica non vi è alcun dubbio, sul dato che il primo, il solo e il più elevato comparatore della lingua Arbër scritta, resta senza ombra di dubbio, Pasquale Baffi e, se a qualche istituto, istituzione, associazione o scriba dell’ultima ora, non ha ancora chiaro il concetto; Venga in Biblioteca a Napoli, non come turista per allungare la coda, ma essere almeno attento “studiatore” che legge,  in italiano, le cose sagge del Baffi.

– Seconda Colonna: Luigi Giura

Se un comune pensatore avesse misura della grandiosità di questo Arbër, smetterebbe di pronunziare il nome di fuggitivi seriali, guerrafondai da quattro danari e ogni genere di polverosa figura senza definizione svelata.

Una considerazione anzi due, valgano per tutte;

  • La prima per sottolineare il dato che se oggi si elevano ponti su catenarie in tutto il mondo, compreso l’atteso ponte dello stretto di Messina, lo si deve all’intuito e l’innovazione tecnologica frutto delle ricerche dell’Ingegnere/Architetto Arbër di Maschito, Luigi Giura che il 10 Maggio del 1831, inaugurò con successo la stagione dei ponti sospesi su catenarie.
  • La seconda operazione assume storicamente un valore ineguagliabile in quanto dove per secoli I grandi ingegneri romani non riuscivano ad avere ragione della bonifica del lago carsico del Fucino; è qui che il suo ingegno superò ogni tipo di aspettativa, in quanto il suo progetto, posto in essere dopo la sua morte resiste al logorio del tempo e rende quella valle produttiva, senza più soluzione di continuità.

Se questo è poco e vale meno di chi prova a scrivere alfabetari da tempo, offre la misura o le mire storiche di istituti e istituzioni preposte a valorizzare le cose della Regione storica diffusa degli Arbër.

– Terza Colonna: Rosario Giura

Personaggio con una grande e instancabile rispetto delle leggi e il valore che attribuiva alla vita delle persone, fu lui che nel corso delle vicende che caratterizzarono la storia del regno nel 1848 a ribellarsi al volere del re, opponendosi con forza, quando a capo della procura Napoletana si oppose, alle preferenze del regnate, che desiderava, chiunque e senza misura di azione condannato a morte, se facente parte di quegli eventi contro la corona; condannato preferì l’esilio e dopo la sua morte a Marsiglia, la provincia di Potenza, traslò la sua salma, che riposa sepolto nel termine marmoreo vicino al fratello Luigi, nel cimitero monumentale di Napoli in Poggioreale.

– Quarta Colonna: Vincenzo Torelli-

Editore, critico musicale e tra i più innovativi dell’ottocento, sulla cui falsa riga si è allineata tutta l’editoria moderna, resta un’icona fondamentale delle eccellenze Arbër, qui riportate non perché secondo o a nessuno dei su citati, ma solo per ordine di nascita.

Fu il primo ad analizzare la differenza che corre tra le popolazioni come gli Arbër  che affidano la loro metrica di memoria al canto di genere, noto come Valje.

Tra i suoi editi era famoso un giornaletto, dove i personaggi che si sfidavano nelle articolate avventure, era il canto e la musica.

Famose restano le vivaci discussioni in un famoso locale partenopeo dove nascevano confronti a favore di uno o dell’altro personaggio e, lui conoscitore profondo della storia Albanofona faceva trionfare sempre il Canto e mai la Musica.

È lui l’editore di Omnibus e l’Albanese d’Italia, come di tante altre pubblicazioni che nel corso della sua vita passò alle stampe; è il Torelli l’ideatore degli inserti popolari, dei suoi giornali, convinto che a fine anno ogni famiglia avrebbe posseduto un libro, dove le giovani leve, pure se povere avrebbero avuto occasione di illuminare il sapere.

Torelli nella sua struttura diffusa in tutto il territorio della Napoli capitale, aveva la sua sede nei pressi della chiesa di San Giovanni Maggiore, dove campeggiava la scritta e per chi non la notava, era lui a dare il ben venuto a, ogni Arbër, che li si recava a confrontarsi o a editare, con il saluto; ”Jaku i shërishiur su harrua”.

Per terminare, va sottolineato il dato che numerose sono le eccellenze Arbër che vanno ricordate e, qui non è il caso di citare per non dilungarsi e diventare noiosi, diversamente, dai tre “moschettieri della vergogna” che resteranno sempre noti come: il rissoso guerrafondaio, il copiatore seriale e il traditore per danaro.

Comments (0)

Disegni-di-Giura.2

Un Ponte che parte da Napoli dalla via Furcillense e, collega Tirana tkë Sheshi Skënderbej

Posted on 01 giugno 2023 by admin

Disegni-di-Giura.2

 

 

 

 

 

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) –  In Italiano/Skip

-PROGETTO RICORSI MEDITERRANEI: LA REGIONE STORICA DIFFUSA DEGLI ARBËR-

 

-Piani d’indagine: cose, fatti, presidi, uomini e finalità-

1  Introduzione;

2  La via Egnazia e le stazioni di sosta;

3  Scanderbeg; la lungimirante strategica diaspora;

4  Capitoli e Onciari

5  Il fuoco la casa, il cortile e l’orto botanico;

6  I vocaboli che uniscono Arbër e Albanesi;

7  Il centro Antico della Napoli purpignera di Valori Arber a confronto con il centro storico di Tirana;

8  L’Orientale di Napoli prima Università di lingua Arbër d’Europa: nata “Collegio dei Cinesi”;

9  Conclusioni e attività per il buon esito del progetto;

  1   -Introduzione –

L’Adriatico assieme all’alto Jonio e il Tirreno sono mari le cui caratteristiche geografiche si configurano come un golfo allungato dove si insinuano le terre peninsulare e, nello specifico le più estreme dell’Italia meridionale.

È qui che la storia focalizza gli sviluppi culturali più espressivi per i quali l’insieme assume il ruolo di sintesi, del più esteso, Mediterraneo.

La naturale configurazione, rende il “golfo Adriatico-Jonë”, una risorsa mediterranea, di cui hanno beneficiato i regnanti che gestivano le terre prospicienti; veste complementare rispetto alle grandi rotte, distinguendosi come protagonista nella navigazione costiera unilateralmente, per le configurazioni delle sponde.

L’invaso, prevalentemente di forma allungata, assumere più la caratteristica fluviale, che unisce due sponde, diversamente di come notoriamente è dei mari che separano lunghe distanze.

Il bacino, dalla punta ionica della puglia, sino alla laguna veneta, diventa protagonista nelle vicende che segnarono la storia di relazioni fra i popoli che in esso affacciano, tra queste, il regno di Napoli, con la capitale medesima e le terre dei governariati d’Albania con Tirana Capitale.

All’interno di questo golfo allungato nasce la navigazione, senza rischi e per questo ha da sempre assunto il ruolo di ponte per il dialogo civile e confronto tra i popoli che vivono le sue sponde.

Il suo utilizzo in forma di navigazione, per questo si può definire, allo steso modo di un cammino lento, i cui tempi sono paragonabili alla risalita di chine collinari.

Questo lento camminamento marittimo, si pone alla stessa stregua di quanti si trovarono con lentezza a superare valli, canaloni e colline, per giungere nei parallelismi territoriali su cui insediarsi grazie a intese politiche, culturali e religiosi tipici delle popolazioni prospicienti vivere in comune condivisione.

Le condizioni geografiche sono dunque l’elemento fondamentale per spiegare le vicende storico/culturali del mondo adriatico/jonico, che svolse essenzialmente una funzione di tramite.

L’Adriatico, anche rispetto al cruciale problema storico della suddivisione tra Impero d’Oriente e Impero d’Occidente e la relativa opposizione tra «latinità» «grecità» e «alessandrino», che interessò tutti gli ambiti, da quello politico a quello linguistico, religioso e culturale, ebbe una posizione particolare.

La divisione interessò, sostanzialmente solo il basso Adriatico, mentre, la parte compresa tra le due sponde fino al confine meridionale della Dalmazia rimase sotto l’influenza occidentale.

Le ragioni che hanno permesso il reciproco scambio tra meridione e la Dalmazia sono tanto di ordine geografico quanto economico.

La prima forniva ai territori dalmati prodotti agricoli, soprattutto grano e sale; la seconda ricambiava con legname, pellame e altre materie prime.

Secondo Aristotele Grekoj, la radice dell’appellativo “Greci”, erano un’antica tribù dell’Epiro Vecchia e nel periodo dell’Impero romano, il termine fu adottato per indicare popolazioni della stessa area culturale, linguistica o religiosa.

Più volte s’è discusso e parlato dell’insediamento degli albanesi in Italia, nel meridione in particolare, e della integrazione nel tessuto sociale ed economico accettato ed arricchito con impegno convinto e costruttivo in tutti i settori determinanti del vivere civile.

La massa di profughi sbarca in buona parte nei porti sicuri del meridione, dopo la morte dell’eroe Nazionale, Giorgio Castriota, allocandosi verso le colline, e disponendosi nei pressi di quei governariati principesche che poi sono i residui degli antagonisti Aragonesi fondano i paesi, a tutti noi noti e da noi abitati.

Gruppi consistenti si insediarono diffusamente nelle colline insulari e peninsulari del Regno di Napoli, Abruzzo, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania i luoghi già abitati dagli Arbanon, vennero rimarcati in maniera più consistente in quei principati in cui la fiducia era riposta più verso Gli angioini che gli Aragonesi creando delle vere e proprie enclave Arbanon, con il duplice compito di controllare il territorio a favore degli Aragonesi e sollevarne le sorti economiche, visto lo stato di abbandono in cui versavano questi territori, affermando le macroaree più importanti di questi gruppi etnico-albanofoni.

Emerge comunque il lungo legame storico tra le due terre, con l’Italia meridionale in modo più forte e, per certe considerazioni successive, anche vantaggiose per le due comunità.

Lo sviluppo e la crescita di queste popolazioni, nel corso del tempo, hanno ben tenuto saldo il legame con le loro terre d’origine, da qualcuno verranno definiti “italiani di origine albanese”

-La via Egnazia e le stazioni di sosta-

La rete stradale romana cominciò a svilupparsi già nel II secolo a.C. All’inizio fu usata soprattutto con scopi di
espansione militare, per poi divenire un sistema ben organizzato Nell’ambito del sistema viario romano, la via Egnazia
era una delle più importanti e antiche, costruita tra il 146 e il 120 avanti Cristo e poi estesa nel III-IV secolo).

La Via collegava colonie romane che si estendevano dal Mar Adriatico al Bosforo, del Mar Adriatico, un collegamento diretto di Roma con le colonie dei Balcani meridionali.

La via ha accolto per secoli Ambasciatori, Pellegrini, Cavalieri e Crociati, provenienti da ogni anfratto o capitale dell’Europa, qui transitavano per recarsi nei luoghi di confronto di credenza e nel transitare ricevevano conforto dalle genti Kalabanon, Arbanon e Arbër e, sono proprio queste genti ad iniziare confronti con varie dinastie e negli atti di accoglienza, si estendeva il confronto della parlata di queste terre, le stesse espressioni dialettali o parlate intercettate dal letterato Baffi nel 1775 e nessun delegato o presidio linguistico, che avesse come mira o tema le parlate di tramando idiomatico degli Arbër, unici in tutto il territorio dell’est o di ogni anfratto europeo, ha mai approfondito, o capitolo il valore dei rudimentali accenni del Libero pensatore Sofiota.

3 -Scanderbeg; la lungimirante strategica diaspora –

Gli Ottomani, all’indomani dell’espansione dell’impero romano d’oriente verso l’occidente, si attivarono per imporre religione, dopo le armi seguivano i temi dell’inculturazione.

Senza correre e perdere il senso di questo discorso, è opportuno iniziare dalla battaglia della Piana dei Merli.

Le regole cui si attenevano i Turchi in questi frangenti di conquista, consistevano nella consegna dei figli maschi, i discendenti legittimi.

Anche Giovanni Castriota, consegnati i suoi fili seguirono, pur avendo ottenuto ampie garanzie sulla libertà di religione, giunti a corte furono battezzati e circoncisi secondo i riti mussulmani, cambiandone anche il nome.

Nel 1443, si diffuse la notizia che il padre, di Giorgio Castriota Giovanni, era passato a miglior vita, e com’era consuetudine, l’antico patto andava messo in atto e, fu inviato il generale Sabelia, a impossessarsi delle terre di Krujë.

E nel marzo del 1444, ad Alessio, Giorgio Castriota, il minore dei figli di Giovanni, fu proclamato all’unanimità guida cristiana

Giorgio Castriota dal 1444 si distinse in numerose battaglie, intervenne a favore degli Aragonesi contro le armate Angioine, nella battaglia di Troia in località Terra Strutta presso Greci.

Dopo il 1468, anno della morte, restano le gesta irripetibili, la fama e l’impegno di mutuo soccorso dell’Ordine del Drago, accogliendo a Napoli Andronica Arianiti Comneno, vedova di Giorgio.

Al tempo la scelta preferita della vedova di Giorgio, lasciò perplessi il Papato e i Dogi veneziani e altre

Grazie a quest’atto di fiducia e stima reciproca, in seguito anche altri esuli trovarono la strada spianata in accoglienza nelle “Arché dell’infinito arbëreshë”.

A tal proposito è bene, rilevare, gli eventi politico religiose in atto:

  • i primi segnano il territorio a favore del re per controllare i Principi legati alla corona francese;
  • i secondi, oltre a incrementare il numero in senso di forza lavoro si insediarono in quell’antica disposizione subito dopo la venuta di Anidrotica Arianiti Comneno.

Arche abitative per la difesa, Katundë ripopolati da profughi arbëreshë, cui fu affidata la missione di evitare futuri confronti con i nuovi popoli che con gli indigeni condividevano quelle terre.

Giorgio Castriota per gli arbëreshë rappresenta la svolta storica di quanti abitarono le terre una volta dell’Epiro Nuova E dell’Epiro Vecchia, lungo la via Egnazia per tutelare l’originaria essenza Linguistica, Metrica, Consuetudinaria e Religiosa, oggi ancora vivi in quelle macro aree che identificano la Regione Storica Diffusa Arbëreshë.

I parlanti questa lingua antica, senza ne segni, né tomi, rappresentano i prosecutori di un modello senza eguali, ancora oggi, capace di mantenere vivi i valori di integrazione tra le più antiche.

Gli Arbëreshë assumono il ruolo di conservatori fedeli della radice identitaria originaria, quella che si compone di gruppi familiari allargati.

I risultati di questa intuizione li apprezziamo ancora oggi con gli Albanesi (il tangibile) e gli Arbër, i tutori dell’antica radice identitaria (l’intangibile).

 4  -Capitoli e Onciari-

Capitoli:

Spesso si odono regole sui diritti religiosi e civili, riferite sulla base di tradizioni, o documenti gelosamente conservati nell’archivio, che nessuno sa leggere e applicare.

Diffusamente si insiste nel ritenere che alcune Colonie Albanofone siano di radice militare e presentano anche argomenti a sostegno tale stranissima e curiose tesi, emergendo le somiglianze delle loro strutture urbanistiche e dei Capitoli in casali preesistenti e disabitati, a differenza di quanto avveniva per i paesi di nuova fondazione.

Certamente i Capitoli sono la prima documentazione scritta di buona parte delle usanze seguite dalla società Albanofona, trapiantatasi nel meridione con tutta la sua struttura sociale e la sua organizzazione.

Sono queste che dopo la caduta di Scutari nel 1479, vede le famiglie dell’antica Albania, che si assunsero l’onere di preservare il modello sociale e identitario definito dal Kanun.

Questi gruppi e a tutti gli altri che si sovrappongono o si aggiungono, si applicava la norma di reggersi secondo i loro dettami, in tutte le parti dove essi decidessero d’impiantarsi.

Un elemento che lega tutti i profughi che trovarono ristoro nelle colline del meridione è sintomatica ed esemplare la diffusione del culto della Madonna Odigitria.

Essi lo esercitavano nei vari paesi dove si andavano trapiantando e dove si radicava presso le locali popolazioni e sopravviveva anche quando i pochi si assimilavano con gli abitanti del luogo o si trasferivano altrove.

Questo principio continuò a diffondersi e ad affermarsi in modo sorprendente in vari organismi religiosi del meridione e sin anche nella capitale partenopea e siciliana, da cui tendeva anche a trasferirsi negli organismi sociali.

I Capitoli costituivano la parte più antica e certamente la più importante del Kanun detto di Dukagjini, questa osservazione ci permette di fare un ragionevole collegamento col resto delle consuetudini che non sono registrate in quei Capitoli, ma che sono consuetudini radicate nella regione storica ed hanno una notevole corrispondenza con le concezioni Kanunali.

Se poi volessimo allargare la ricerca anche ai movimenti culturali e socio-politici determinati sulla base dello spirito di quei Capitoli, allora il campo di ricerca diventerebbe troppo ampio.

Onciario:

Il Catasto Onciario è una fra le più importanti fonti per lo studio della storia economica e sociale dell’Italia Meridionale.

Iniziato a compilare dalla fine del seicento e dopo decenni di accumulo di dati del 4 ottobre 1740 re Carlo III di Borbone dispose per il Regno intero la compilazione dell’onciario per la quantificazione d’imposta.

Dal 1741 al 1742, la Regia Camera della Sommaria, autorità fiscale, organo amministrativo e consultivo dell’antico regime aragonese operante nel Regno di Napoli, emanò istruzioni per la compilazione dei Catasti e il 28 Settembre 1742 stabilì i termini di consegna del censimento catastale entro quattro mesi.

Dieci anni più tardi molte Università non avevano ancora completato il lavoro, ed il Re, nel maggio 1753, decise di inviare suoi Commissari per supportare quei Comuni che non erano stati in grado o non avevano ancora completato la redazione. Il risultato fu una sorta di censimento dell’intera popolazione dell’Italia meridionale completo di età, professioni e proprietà, non escluso il bestiame. A ciascuna Università (Comune) era dato il compito di redigerne due copie, una da conservare presso l’Università per eventuali aggiornamenti e l’altra da inviare a Napoli alla Regia Camera della Sommaria. Da allora molte delle copie conservate localmente sono andate distrutte o consegnate agli archivi provinciali. Le copie inviate a Napoli sono ora conservate in una speciale sezione dell’Archivio di Stato.

La finalità era quella di uniformare e mettere ordine nel campo tributario, rilevando con precisione l’ammontare della popolazione e garantendo la ripartizione del carico fiscale in base alle effettive possibilità e i beni posseduti. In realtà le informazioni demografiche sono da ritenersi lacunose poiché non risultano iscritte nel Catasto le famiglie prive di beni e quelle esentate dai pagamenti.

Le categorie iscritte erano i cittadini abitanti e non, vedove e vergini, ecclesiastici secolari cittadini e forestieri, forestieri abitanti e non abitanti laici, chiese, monasteri e luoghi pii.

5 – Il Fuoco, la Casa, il Cortile e l’Orto botanico-

Gli agglomerati diffusi arbëreshë nascono secondo regie disposizioni e grazie al modello di famiglia allargata, i rioni rappresentano il percorso evolutivo dell’abitato per restituirci l’attuale assetto planimetrico, il processo di trasformazione dell’ambiente naturale in quello costruito è avvenuto secondo i parametri morfologici, orografici e climatici; fondamentali per gli esuli, giacché simili a quelli della terra d’origine.

È in queste macro aree che le costanti dei sistemi urbani: il fuoco, la casa, il recinto, e il giardino, hanno trovato l’ambiente ideale per restituire gli ambiti odierni; il recinto delimita il territorio, ove la famiglia allargata aveva il controllo assoluto; il fuoco acceso appena raggiunto il luogo parallelo di residenza, venne acceso, mai più spento e, attorno ad esso che si riunirono i componenti della famigli allargata a prospettare strategie in Arbër, alimentato e gestito dalla regina del fuoco è stato il centro della luce e delle prospettive di uguaglianza, sociale e civile ;la casa, era costituita da un unico ambiente in cui conservare le poche suppellettili e alimenti; il giardino è luogo della prima spogliatura, dimora dell’orto stagionale, la farmacia dei casa, l’indispensabile “orto botanico”.

Nel periodo che va dal XV al XX secolo, gli esuli lentamente hanno riposto il modello familiare allargato per quello urbano e poi, in tempi più recenti vive quello della multimedialità.

Lo sviluppo degli agglomerati tendenzialmente accoglie le direttive dell’urbanistica greca che allocava gli accessi degli abituri sulle strette vie secondarie, rruhat.

La Gjitonia, (dove vedo e dove sento), sin dal XVI secolo ha resistito alla modernità diventando il luogo della ricerca dell’antico legame indispensabile per la consuetudine Arbër, essa ha origine dal tepore del focolare, si espande con cerchi concentrici, nella piazzetta sheshi e si estende lungo le rruhat, sino a giungere negli angoli più reconditi dei territori e non solo.

Gli agglomerati Albanofoni rappresentano il cardine che lega lingue, religioni e storie in grado di produrre il modello d’integrazione più riuscito del mediterraneo. Il piccolo abituro, shëpia, in origine realizzato con espedienti estrattivi, in seguito, è stato ottimizzato attraverso l’utilizzo di materiali autoctoni più idonei secondo metriche additive. Dopo il terremoto del 1783, gli stessi ambiti urbani minoritari ebbero un nuovo sviluppo architettonico e gli agglomerati iniziarono a svilupparsi verticalmente allocando i magazzini e le stalle al piano terra mentre le abitazioni erano al primo livello. I successivi frazionamenti, richiesero l’uso delle scale esterne, profferlo, modificò radicalmente le prospettive all’interno dei centri antichi. Il ciclo di crescita si arricchisce ulteriormente dopo il decennio francese, con la costruzione dei nuovi palazzotti nobiliari, solo per le classi più elevate perché quelle meno abbienti continuano a occupare i vecchi abituri e quella media esterna la nuova posizione sociale, imitando frammenti dei palazzi

6 -Il vocabolario che unisce l’Albanese e l’Arbër-

La ricerca di favole e racconti locali, riferiti in Arbër, è il percorso da imitare come venne fatto dai fratelli Grimm.

Tuttavia i fratelli G., per tracciare la lingua unitaria, usando le favole diffondevano unitariamente gli elementi che compongono il corpo umano e, gli elementi naturali comuni, in altre parole tutto ciò che consentiva la vivibilità sul territorio, vita condivisa tra uomo e natura.

Questo è un dato rilevantissimo che sfugge in questa disciplina, presumibilmente, si può ipotizzare che, nella foga di voler primeggiare non si sia terminato di leggere la frase, che descriveva, l’operato dei fratelli germanici.

Esiste un principio secondo il quale le radici danno linfa, solidità del tronco di un albero e i rami con le foglie forniscono il giusto equilibrio energetico per tutelare il sistema vitale.

Se si comprende questo principio, si è in grado di dedicarsi a progetti di una tutela condivisa, per sostenere nel tempo, la solidità di un idioma privo di segni e tomi condivisi.

Quanti sino a oggi si sono adoperato per produrre elementi utili in campo linguistico, letterario, storico, sociale, antropologico, urbanistico e architettonico, all’interno della regione storica Arbër, senza seguire i protocolli storici, non hanno fatto altro che produrre inutili focolai di contaminazione.

Una lingua per essere analizzata compresa ed eventualmente tutelata, la si deve sanzionare iniziando da presupposti storico identitari, per poi muoversi secondo le tematiche di progetto; avendo come prioritari la figura umana e l’ambiente; “la descrizione e al modo di appellare il corpo umano; Apparati, Organi e Sistemi, ben legati alle opportunità che offre l’ambiente naturale per la sopravvivenza”.

Una teoria nasce secondo i canoni del progetto a favore dei fruitori, la radice è il cuore e i sensi, evitano di confondere cosa vuol dire essere un Arbër o gli odierni Albanesi, ovvero l’antico e il nuovo del glorioso popolo.

 7 -Il centro Antico della Napoli purpignera di Valori Arber a confronto con il centro storico di Tirana-

Dopo l’esodo latente degli Arbanon nelle regioni del meridione, ebbe avvio un consistente esodo, a seguito della morte dell’eroe Giorgio Castriota, agevolato dalla scelta della consorte, Donica Arianiti Comneno, nel preferì Napoli quale porto sicuro, di lei, la sua discendenza e il popolo ad essa rimasto fedele.

Ebbe così luogo un esodo epocale di Arbër, negli approdi del regno; cui seguì il pellegrinare lungo le coste adriatiche, joniche, e del Tirreno, verso le colline dove furono intercettati i luoghi paralleli, innescando così il breve periodo scontro e il medio confronto, le basi di conoscenza del protocollo dell’integrazione.

Nascono in sette regioni dell’odierno meridione Italiano, le ventuno macroaree in consistenza di oltre cento agglomerati, facente parte la Regione Storica Diffusa degli Arbër, presidi paralleli caratterizzati tutti dai quattro tipici rioni e tutti desiderosi di innestare le radici della terra da cui furono costretti a fuggire.

Devono trascorrere circa due secoli per veder nascere le prime scintille del fuoco culturale dove numerosi Arbër, prima in forma religiosa e poi sempre più diffusamente laica, nella Napoli capitale primeggiano in tutti i titoli culturali d’Europa.

Un numero di eccellenze che segano la stessa storia del regno positivamente, in ogni provincia partono formati da quelle che all’epoca erano considerate scuole dell’obbligo minimo, e tracciano un nuovo sapere moderno, relativamente al sociale culturale, la scienza esatta, la politica, la sociologia e purtroppo, sin anche nelle vicende di profitto economico che lasciarono qualche perplessità ancor oggi non chiara, che diventano certezza pei pochi che sanno interpretare la storia.

La parentesi culturale prende il suo avvio, grazie ai presidi monastici attraverso cui diffondere credenze, lingue antiche, arte e storia, questa indirizzata a un ristrettissimo gruppo o fortunati addetti, devono attendere l’insediamento sul trono di Napoli di re Carlo III, per avere la svolta epocale senza più termine la platea estesa, che la stessa Europa si affacciava spesso a osservare, apprendere per poi articolare politiche di non principi a dirsi nobili.

Dall’insediamento del re, si avvia una vera e propria rivoluzione culturale, istituendo presidi e luoghi per conoscere e mostrare le cose del passato.

Ginnasi, università, musei accademie luoghi di studio e restauro di reperti, arti ceramiche, giardini botanici, in tutto una vera e proprio rilancio colturale senza precedenti.

Generalmente, genericamente e comunemente, si preferisce illuminare e valorizzare quanti si sono particolarmente affannati o meglio ostinati ad allestire alfabetari e racconti secondo regole grammaticali a dir poco inutili, tuttavia e, nonostante questa preferenza locale o campanili afonici, sono gli altri uomini della regione storica a brillare per giungere riveriti in tutti i salotti d’Europa, senza allargare troppo la platea.

Se dal punto di vista linguistico Pasquale Baffi seminava le fondamenta di indagine indirizzate alla provenienza idiomatica, mai continuata, figure altre, intuendone le potenzialità, giungevano da tutta Europa per dilettarsi e apprendere, il nuovo pensiero politico, culturale, sociale e storico Albanofono.

8 -L’Orientale di Napoli prima Università di lingua Albanofona in Europa: nota come “Collegio dei Cinesi”-

L’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” trae le sue origini dal Collegio dei Cinesi, fondato da Matteo Ripa, sacerdote secolare e missionario, che dal 1711 al 1723 aveva lavorato, in qualità di pittore/incisore su rame, alla corte dell’imperatore mancese Kangxi.

Sarà Clemente XII, con breve del 7 aprile 1732, ad offrire un riconoscimento ufficiale al Collegio dei Cinesi, che aveva come scopo la formazione religiosa e l’ordinazione sacerdotale di giovani cinesi destinati a propagare il cattolicesimo nel loro paese.

Dal 1747, furono ammessi al Collegio giovani provenienti dall’Impero Ottomano (albanesi, bosniaci, montenegrini, serbi, bulgari, greci, libanesi, egiziani) allo scopo di ricevere formazione religiosa e ordinazione sacerdotale perché poi potessero svolgere attività missionaria nei paesi di origine.

Dopo l’Unità d’Italia il Collegio dei Cinesi fu trasformato nel 1868 in Real Collegio Asiatico, articolato in due sezioni: quella, antica, missionaria e una nuova, aperta a giovani laici interessati allo studio delle lingue parlate nell’Asia Orientale.

Dopo la riforma De Sanctis furono inaugurati gli insegnamenti dell’hindi e dell’urdù, nonché del persiano e del greco moderno. Nel dicembre del 1888 una legge dello Stato trasformò il Real Collegio Asiatico in Istituto Orientale.

Attualmente “L’Orientale” è specializzata negli insegnamenti linguistico-letterari e storico-artistici inerenti l’Oriente e l’Africa, senza trascurare le culture espresse dai paesi mediterranei, dall’Europa e dalle Americhe.

Nel 1900, presso l’allora Istituto Universitario Orientale di Napoli, città alla quale fu riconosciuto il suo ruolo di centralità avuta in tutto l’Ottocento per la “questione albanese, è stata istituita la prima cattedra universitaria di lingua e la letteratura albanese in Europa.

Giuseppe Schirò, illustre studioso e attento raccoglitore delle tradizioni poetiche Arbër, fu il primo professore universitario, presso l’Istituto Orientale di Napoli, di cui fu anche direttore.

Egli fu tra gli iniziatori di una letteratura che dall’Arbër andò sempre pi allargandosi accogliendo prospettive autorevoli, ispiratore degli intellettuali del suo tempo ed ebbe un ruolo importante nel movimento della Rinascita Albanese e nell’indipendenza dell’Albania, partecipando attivamente insieme alle élite intellettuali albanesi.

Dopo aver frequentato il Seminario Italo-Albanese di Palermo, si laureò in legge e affrontò in prima persona la questione albanese vissuta tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX frequentando gli ambiti albanesi e per questo meritorio di Salire nella prima cattedra dell’istituto.

Non meno significative furono le indagini condotte nel campo delle tradizioni letterarie popolari Arbër, egli attinse da tutte le parlate, nella prospettiva di unificarle, di particolare importanza sono gli studi nel campo della filologia letteraria e della dialettologia e del tutto eccezionali rimangono gli anni trascorsi a Napoli, dove incaricato quale primo docente di Lingua e Letteratura Albanese presso l’Istituto Regio Orientale, insegnò dal 1900 sino alla morte.

In questa veste rilanciò presso gli ambienti culturali e politici italiani l’idea nazionale albanese e si fece promotore di iniziative editoriali e pubblicistiche, come Arbër i rii.

9 – Conclusioni e attività per il buon esito del progetto –

Alla luce di quanto emerso o meglio lamentato e posto in evidenza è palese la necessità di tutelare i centri Antichi e i protocolli per le cose che poste nelle disposizioni di istituti e istituzioni che non hanno forza, o meglio capacità interpretativa per realizzare progetti di continuità storica di questi luoghi, cose e genti.

La rara consuetudine minoritaria, inghisata in questi ambiti, attende l’idoneo restauro che la collochi con rispetto nello scenario sociale, culturale e scientifico di tutto il Mediterraneo cosi come integrato prima delle libere interpretazioni succedutesi dalla fine del secolo scorso.

La Regione Storica Diffusa Degli Arbër nasce perché è il risultato dell’azione di una civiltà indissolubile, non frutto dell’azione costruttiva di un singolo o di singoli senza formazione che fanno gruppo; essa è una cerniera di culture e perciò va salvaguardato. Dopo gli avvenimenti succedutisi negli ultimi decenni e precisamente dagli anni settanta del secolo scorso, o meglio dopo il devastante sessantotto, alla luce degli eventi, si dovrebbe giungere a un ragionevole esame e seguire il fine di depositare in sicurezza gli ambiti degli oltre cento paesi Arbër. I centri antichi in modo particolare, attraverso opportuni interventi indispensabili a far rivivere il patrimonio storico costruito in 550 anni di vita Arbër. Il recupero dell’agglomerati assieme alle cose materiali ed immateriali, l’ambiente naturale, i cromatismi pittorici devono avere come fine, la ricollocazione della minoranza storica che va condivisa non solo con le associazioni, eventi e appuntamenti a dir poco inadeguati da tutta la regione arbëreshë. Serve, urge o è indispensabile avviare progetti che hanno come indicatore la storia albanofona, qui in itali e dalla terra di origine Albanese, i luoghi dove sono ancora intrise le ostinate murature, le quali continuano a riverberare una lingua antichissima con radice nuova e antichissima.

Se a Queste innestiamo le attività i costumi e il genio locale in consuetudini agro, silvicole e pastorali, in solida convivenza con il territori Della regione Storica e della odierna Albania, possiamo rendere solida, resiliente e indistruttibile il nostro protocollo.

Esiste una regione storica ad ovest dell’Adriatico con 109 paesi di origine Arber con Capitale Napoli; esite una Nazione Albanese Capitale Tirana ad est dell’Adriatico; la storia insegna che cavalieri e re si uniscono o meglio convergono nelle rive di un fiume, per iniziare nuove stagioni di progetti comuni e valorizzare le cose e gli uomini.

La geografia spiega che cosa sia un mare e cosa sia un fiume; storicamente l’Adriatico ha più l’aspetto di un fiume anche se lo si appella mare, per questo a ben vedere, costituire un momento di fraterna cooperazione sociale e culture, nel momento storico che viviamo è un bel esempio per tutta la popolazione del vecchio continente.

Abbiamo tutti gli elementi a disposizione, ovvero, Scuole, Università, Istituzioni, Associazioni, Acli (Associazioni, Cristiane Lavoratori Italiani), oltre a numerose Figure Culturali forti, per innescare attività di cooperazione, i cui temi di proposta iniziali sono i seguenti:

  • Percorsi Storici, Linguistici e Teologici;
  • Figure storiche Arbër e Albanesi; risorsa culturale del Vecchio Continente
  • Storia dell’Urbanistica e dell’Architettura;
  • Storia della Consuetudine Sociale;
  • Storia del Costume;
  • Il vocabolario che unisce le sponde dell’Adriatico
  • Aspetti sociologici Mediterranei;
  • Aspetti e risvolti Filosofici;
  • Aspetti Storici e Antropologici;
  • Relazioni Internazionali tra l’Est e l’Ovest dell’Adriatico;
  • Pompei, Butrinto, Ercolano
  • La via Appia. La via Traiana, La via Egnatia;

 

————————————————————————————————————————————–

 

NAPOLI  (i Shanasi Pici Basilitë) ndë Skip

PROJEKT APELI MESDHETAR: KRAHINA HISTORIKE I SHPËRFARË I ARBËR

– Planet e hetimit: gjërat, faktet, parimet, njerëzit dhe qëllimet –

 1) Hyrje;

2) Nëpër Egntia dhe stacionet e pushimit;

3) Skënderbeu; diaspora strategjike largpamëse;

4) Kapitujt dhe Katastra

5) Zjarri, shtëpia, oborrin dhe kopshtin botanik;

6) Fjalët që bashkojnë Arbër dhe shqiptarë;

7) Qendra Antike e Napolit “të Purpurt” e Vlerat arbërore duke e krahasuar me qendrën historike të Tiranës;

8) Universiteti i Napolit Orientale e Napolit, i pari universitet arbërfolës në Evropë: themeluar si “Colegj Kinez”;

9) Konkluzionet dhe aktivitetet për suksesin e projektit;

1) -Hyrje –

Adriatiku së bashku me Jonin e sipërm dhe Tirrenin janë dete, me karakteristikat gjeografike të konfiguruar si një gji i zgjatur, në të cilat futen tokat gadishullore dhe veçanërisht ato më ekstremet të Italisë jugore. Historia e zhvillimit kulturor përqendrohet pikërisht në këtë pikë e tëra merr rolin e sintezës, të e zgjeruar, mesdhetare.

Konfigurimi natyror e bën “gjirin Adriatik-Jonë”, një burim mesdhetar, nga i cili përfituan pushtetarët që menaxhonin tokat përballë, duke u dalluar si protagonist në lundrimin bregdetar të njëanshme, për shkak të konfigurimeve, të brigjeve.

Forma e saj kryesisht e zgjatur, merr më shumë karakteristikën lumore, që bashkon dy brigje, ndryshe nga sa njihet për detet që ndajnë distanca të gjata.

Pellgu, nga maja joniane e Pulias, deri në lagunën veneciane, bëhet protagonist në ngjarjet që shënuan historinë e marrëdhënieve midis popujve që e anashkalojnë, mes tyre mbretëria e Napolit, dhe trojet e Shqipërisë me kryeqytet Tiranën.

Lundrimi ka lindur brenda këtij gjiri të zgjatur, pa rrezik dhe për këtë arsye ka marrë gjithmonë rolin e

urë për dialog civil dhe ballafaqim mes popujve që jetojnë në brigjet e saj.

Përdorimi i tij në formën e lundrimit, për këtë arsye, mund të përkufizohet njësoj si një shteg i ngadaltë, kohët e së cilës janë të krahasueshme me ngjitjet në shpatet kodrinore.

Ky vendkalim i ngadaltë detar vendoset në të njëjtën mënyrë si ata që e gjetën veten duke kapërcyer ngadalë luginat, gryka dhe kodra, për të arritur paralelet territoriale mbi të cilat do të vendosesh falë marrëveshjeve politike, kulturore dhe fetare, tipike për popullatat që jetojnë në ndarje të përbashkët.

Prandaj kushtet gjeografike janë elementi themelor për shpjegimin e ngjarjeve historike/kulturore të botës së brigjeve Adriatik/Jon, i cili në thelb kryente një funksion ndërmjetësi.

Adriatiku, ngelet një nyje me problemin vendimtar historik të ndarjes midis Perandorisë Lindore dhe Perëndimore, dhe kundërshtimit relativ midis “latinishtes” “grekes” dhe “aleksandrian”, i cili preku të gjitha fushat, nga ajo politike në ai gjuhësor, fetar dhe kulturor, dhe pati një pozicion të veçantë.

Ndarja përfshiu në thelb vetëm Adriatikun e poshtëm, ndërsa pjesën ndërmjet dy brigjeve deri në kufiri jugor i Dalmacisë mbeti nën ndikimin perëndimor.

Arsyet që kanë lejuar shkëmbimin e ndërsjellë mes jugut dhe Dalmacisë janë gjeografike dhe ekonomike.

I pari furnizonte territoret dalmate me produkte bujqësore, mbi të gjitha drithëra dhe kripë; e dyta reciproke me lëndë druri, lëkurë dhe lëndë të tjera të para.

Sipas Aristotelit Grekoj, rrënja e emërtimit “grek”, ishin një fis i lashtë i Epirit të Vjetër dhe në periudhën

të Perandorisë Romake, termi u miratua për të treguar popullsinë e së njëjtës zonë kulturore, gjuhësore apo fetare.

Shpesh është folur dhe diskutuar për ngulmimet e shqiptarëve në Itali, veçanërisht në jug, dhe të

integrimit të tyre në strukturën sociale dhe ekonomike të pranuar dhe pasuruar me përkushtim të bindur dhe konstruktiv në të gjithë fushat kryesore të jetës civile.

Masa e refugjatëve zbarkoi në pjesën më të madhe në portet e sigurta të jugut, pas vdekjes së heroit kombëtar, Gjergj Kastrioti, duke u ndarë drejt kodrave dhe duke u rregulluar pranë atyre qeverive princërore që janë mbetjet e antagonistëve aragonistë, themeluan qytetet, të njohura për të gjithë ne dhe të banuara prej nesh.

Grupe të konsiderueshme të vendosura gjerësisht në kodrat ishullore dhe gadishullore të Mbretërisë së Napolit, Abruzzo-s, Siçilisë, Kalabrisë, Basilicata-s, Puglia-s dhe Campania-s, vende të banuara tashmë nga Arbër, u vërejtën në mënyrë më të qëndrueshme në ato principata në të cilat besohej më shumë. Anzhuinët dhe aragonezët krijuanenklavat e vërteta arbëror, me detyrë të dyfishtë për të kontrolluar territorin në favor të aragonezëve dhe për të lehtësuar pasuritë e tyre ekonomike, duke pasur parasysh gjendjen e braktisjes në të cilën ranë këto territore, duke afirmuar makro-zonat më të rëndësishme të këtyre grupeve, folës etnikë-shqiptarë.

Megjithatë, lidhja e gjatë historike midis dy tokave shfaqet, me Italinë jugore në një mënyrë më të fortë dhe, për disa konsiderata të mëvonshme, gjithashtu të dobishme për të dy komunitetet.

Zhvillimi dhe rritja e këtyre popullsive, me kalimin e kohës, e kanë mbajtur të fortë lidhjen me tokat e tyre të origjinës, disa do t’i përcaktojnë si “italianë me origjinë shqiptarë”;

2)Rruga Egnatia dhe stacionet e pushimit

Rrjeti rrugor romak filloi të zhvillohej qysh në shekullin II para Krishtit. Në fillim ajo u përdor kryesisht për qëllime të zgjerimit ushtarak dhe më pas u bë një sistem i organizuar mirë. Brenda sistemit rrugor romak, rruga Egnazia ishte një nga më të rëndësishmet dhe më të vjetrat, e ndërtuar midis viteve 146 dhe 120 para Krishtit dhe më pas u zgjerua në shekullin III. -shekulli IV).

Ruga lidhte kolonitë romake që shtriheshin nga deti Adriatik në Bosfor, të detit Adriatik një lidhje e drejtpërdrejtë e Romës me kolonitë e Ballkanit jugor.

Rruga prej shekujsh ka pritur ambasadorë, pelegrinët, kalorës dhe kryqtarë, të ardhur nga çdo luginë apo kryeqytet i Evropës, që kalonin këtu për të shkuar në vendet e ndryshme  apo të besimeve, kalimthi merrnin ngushëllim nga Kalabanët, Arbanët dhe Arbërit përballeshin me dinasti te ndryshme dhe në aktet mikpritese u zgjerua ndeshja e të folurit të këtyre trojeve, të njëjtat shprehje dialektore apo të folura të përgjuara nga studiuesi Baffi në vitin 1775 dhe asnjë delegat apo garnizon gjuhësor, që kishte si synim apo temë dorëshkrimin idiomatik të arbërit, unik në të gjithë territorin lindor apo në çdo luginë europiane, nuk e ka thelluar apo kapitulluar vlerën e elementit rudimentar, sugjerime të mendimtarit të lirë Sofiot.

3)  -Skënderbeu; diaspora strategjike largpamëse –

Osmanët, si pasojë e zgjerimit të Perandorisë Romake Lindore drejt Perëndimit, ndërmorën veprime për të imponuar fenë, pasi armët ndoqën temat e inkulturimit.

Pa u nxituar dhe pa humbur kuptimin e këtij fjalimi, është me vend të fillojmë nga beteja e Piana dei Merli.

Rregullat që ndoqën turqit në këto momente pushtimi konsistonin në lindjen e fëmijëve meshkuj, d.m.th

pasardhës të ligjshëm. Edhe Gjon Kastrioti, pavarësisht se kishte marrë garanci të shumta për lirinë e fesë, pasi erdhën në oborr  fëmijët e tyre u pagëzuan dhe u bënë synet sipas riteve myslimane, duke ndryshuar edhe emrin.

Në vitin 1443, u përhap lajmi se babai i Gjergj Kastrioti, Gjoni kishte vdekur, dhe siç ishte

zakoni, pakti i lashtë duhej zbatuar, kështu që  gjeneral Sabelia u dërgua për të marrë në zotërim tokat e Krujës.Dhe në mars 1444, në Lezhë, Gjergj Kastrioti, më i riu nga djemtë e Giovanni-t, u shpall njëzëri udhërrëfyes i krishterë. Gjergj Kastrioti nga viti 1444 u dallua në beteja të shumta, ndërhyri në favor të aragonezëve kundër ushtrive Anzhuinëve, në betejën e Trojës në Terra Strutta afër Grecit.

Pas vitit 1468, viti i vdekjes së tij, mbeten veprat e papërsëritshme, fama dhe angazhimi për ndihmë reciproke të Urdhrit të Dragoit, duke mirëpritur në Napoli Donikën Arianiti Comneno, të venë e Gjergjit.

Zgjedhja e preferuar që bëri vejusha e Gjergj Kastriotit,hutoi Papatin, Dozhët venecianë si dhe të tjerët.

Falë këtij akti besimi dhe vlerësimi reciprok, gjetën rrugën e shtruar në mikpritje edhe mërgimtarët e tjerë “princip e arbëreshëve të pafund”.

Në këtë drejtim, është mirë të theksohen ngjarjet e vazhdueshme politiko-fetare:

– e para shënuan territorin në favor të mbretit për të kontrolluar princat e lidhur me kurorën franceze;

– e dyta krahas rritjes së numrit për nga fuqia punëtore, u bënë ngulimet e tyre, kjo erdhi menjëherë pas mbrritjes së Donikës Arianiti Comneno.

 Katunde u ripopulluan nga refugjatë arbëreshë, të cilëve iu besua misioni për të shmangur përballjet e ardhshme me popujt e rinj, e me vendasit ndanë ato troje.

Gjergj Kastrioti për arbëreshët përfaqëson kthesën historike të atyre që dikur banonin në trojet e Epirit.

Lindja e Re e Epirit të Vjetër, përgjatë rrugës Egnatia, për të mbrojtur thelbin origjinal gjuhësor, metrik, zakonor dhe fetar, ende i gjallë sot në ato makro zona që identifikojnë Rajonin e Përhapur Historik arbëreshe.

Folësit e kësaj gjuhe të lashtë, pa shenja e toma, përfaqësojnë vazhduesit e një modeli të pabarabartë, ende sot, të aftë për të mbajtur gjallë vlerat e integrimit ndër më të vjetrit.

Arbëreshët marrin rolin e ruajtësve besnikë të rrënjës origjinale identitare, asaj që përbëhet nga grupet e gjera të familjes.

Rezultatet e kësaj intuite i vlerësojmë edhe sot me shqiptarët (e prekshme) dhe arbërit, rojet e rrënjës së lashtë identitare (të paprekshmes).

4)  –Capitoli e Onciari-\ kapitulli i kadastrave të njësisë me Ons

Kapitulli\ Marrëveshja

Shpesh dëgjohen rregulla për të drejtat fetare dhe civile, të referuara në bazë të traditave apo dokumenteve,të ruajtura me xhelozi në arkiv, të cilat askush nuk di t’i lexojë dhe t’i zbatojë.

Besohet gjerësisht se disa koloni albanofone kanë rrënjë ushtarake të cilat paraqesin argumente në mbështetje të kësaj teze shumë të çuditshme dhe kurioze, duke zbuluar ngjashmëritë e strukturave të tyre urbane si dhe të marrveshjeve në fermat para-ekzistuese të pabanuara, ndryshe nga ajo që ndodhi për qytetet e reja të themeluara.

Sigurisht që Kapitujt(Marrveshjet), janë dokumentacioni i parë i shkruar i një pjese të madhe të zakoneve të ndjekura nga shoqëria albanofone, e cila u zhvendos në jug me gjithë strukturën dhe organizimin e saj shoqëror.Janë këta që pas rënies së Shkodrës më 1479, familjet e Shqipërisë së lashtë, morën përsipër barrën e ruajtjes së modelit social dhe identitar të përcaktuar nga Kanuni.

Këto grupe dhe të gjitha të tjerat që shtohen me njëra-tjetrën, qeveriseshin nga rregulli sipas diktatit të tyre, në të gjitha pjesët ku u ngulitën.

Një element që lidh të gjithë refugjatët që gjetën freskim në kodrat e jugut është përhapja simptomatike dhe shembullore e kultit të Madonna Odigitria. Refugjatët e ushtronin atë në vendet e ndryshme ku u ngulitën dhe ku ajo zuri rrënjë në popullsinë vendase dhe mbijetoi edhe kur të paktët u asimiluan me banorët vendas ose u shpërngulën gjetkë.

Ky parim vazhdoi të përhapet dhe të vendoset në mënyrë të habitshme në organe të ndryshme fetare të vendit në jug dhe madje edhe në kryeqytetin napolitan partenope dhe sicilian, nga i cili tentoi të kalonte edhe në organizmat shoqërore.

Kapitujt përbënin pjesën më të vjetër dhe sigurisht më të rëndësishme të Kanunit të thënë për Dukagjinin, ky vëzhgim na lejon të bëjmë një lidhje të arsyeshme me pjesën tjetër të zakoneve që nuk janë regjistruar në ata kapituj, por që janë zakone të rrënjosura në rajonin historik dhe kanë një korrespondencë të shquar me konceptimet kanunali. Nëse atëherë do të donim ta shtrinim kërkimin edhe në lëvizjet kulturore dhe socio-politike të përcaktuara në bazë të frymës së atyre kapitujve, atëherë fusha e kërkimit do të bëhej shumë e gjerë.

 

Onciario\ Ons :

Catasto Onciario është një nga burimet më të rëndësishme për studimin e historisë ekonomike dhe sociale të Italisë Jugore.

Filloi të përpilohej nga fundi i shekullit të shtatëmbëdhjetë dhe pas dekadash grumbullimi të të dhënave më 4 tetor 1740, mbreti Charles III i Bourbonit urdhëroi përpilimin e onciarios për përcaktimin e sasisë së taksave për të gjithë Mbretërinë.

Nga viti 1741 deri në 1742, Regia Camera della Sommaria, autoriteti fiskal, organi administrativ dhe këshillimor i regjimit të lashtë aragonez që vepronte në Mbretërinë e Napolit, nxori udhëzime për përpilimin e regjistrave të tokës dhe më 28 shtator 1742 përcaktoi kushtet e dorëzimit të regjistrimi kadastral brenda katër muajve.

Dhjetë vjet më vonë shumë Universitete nuk e kishin përfunduar ende punën, dhe Mbreti, në maj 1753, vendosi të dërgonte Komisionerët e tij për të mbështetur ato Bashki që nuk kishin mundur ose nuk kishin përfunduar ende hartimin. Rezultati ishte një lloj regjistrimi i të gjithë popullsisë së Italisë Jugore, i plotësuar me moshën, profesionin dhe pronën, duke mos përjashtuar bagëtinë.

Secilit universitet (bashki) iu dha detyra të hartonte dy kopje, njëra për t’u mbajtur në Universitet për çdo përditësim dhe tjetra për t’u dërguar në Napoli në “Regia Camera della Sommaria”.

Që atëherë, shumë nga kopjet e ruajtura në vend janë shkatërruar ose dërguar në arkivat provinciale.

Kopjet e dërguara në Napoli tani ruhen në një seksion të veçantë të Arkivit Shtetëror.

Synimi ishte standardizimi dhe vendosja e rregullit në fushën e taksave, duke zbuluar me saktësi shumën e taksës popullsia dhe garantimi i shpërndarjes së barrës tatimore mbi bazën e mundësive efektive dhe të pasurive në pronësi.

Në realitet, informacioni demografik duhet të konsiderohet i paplotë pasi familjet pa pasuri dhe ato të përjashtuara nga pagesa nuk janë të regjistruara në Regjistrin e Tokës.

Kategoritë e regjistruara ishin banorë dhe jobanorë, të veja dhe virgjëreshat, klerikët laikë, shtetasit dhe të huajt, laikët e huaj dhe jobanorët, kishat, manastiret dhe vendet e devotshme.

5) – Zjarri, Shtëpia, Oborri dhe Kopshti Botanik

Aglomeracionet e shpërndara arbëreshe lindin sipas dispozitave mbretërore dhe falë modelit të familjes së gjerë, rrethet përfaqësojnë rrugën evolucionare të zonës së banuar për të na rikthyer strukturën planimetrike aktuale. Procesi i shndërrimit të mjedisit natyror në të ndërtuar është zhvilluar sipas parametrave morfologjikë, orografikë dhe klimatikë; themelore për të mërguarit, pasi janë të ngjashëm me ata të atdheut të tyre.

Pikërisht në këto makro zona konstantet e sistemeve urbane: zjarri, shtëpia, gardhi dhe kopshti, kanë gjetur mjedisin ideal për të rikthyer mjediset e sotme; gardhi kufizon territorin, ku familja e gjerë kishte kontroll absolut; zjarri u ndez sapo mbërriti në vendbanimin paralel, u ndez, nuk u shua kurrë dhe, rreth saj që u mblodhën anëtarët e familjes së gjerë për të parashikuar strategji në Arbëri, ushqeheshin dhe e menaxhuar nga mbretëresha e zjarrit ishte qendra e dritës dhe perspektivat për barazi, sociale dhe civile;

shtëpia, ishte i përbërë nga një dhomë e vetme në të cilën mund të ruheshin pak orenditë dhe ushqimet; kopshti është shtëpia e perimeve sezonale,  si edhe të barërave mjeksore, farmacia e shtëpisë, “kopshti botanik” ishte i domosdoshëm. Në periudhën nga shekulli i pesëmbëdhjetë deri në shekullin e njëzetë, të mërguarit zëvendësuan ngadalë modelin e familjes së gjerë për atë urbane dhe më pas, në kohët më të reja jeton atë të multimedias.

Zhvillimi i aglomerateve tenton të jetë në përputhje me direktivat e urbanistikës greke, të cilat i caktonin akseset në banesat në rrugët e ngushta dytësore, rruhat.

Gjitonia, (ku shoh e ku dëgjoj), i ka rezistuar modernizmit që në shekullin gjashtëmbëdhjetë, duke u bërë vendi i kërkimit të lidhjes së lashtë të domosdoshme për zakonin arbër, buron nga ngrohtësia e vatrës, zgjerohet me rrathë koncentrikë, në sheshin e vogël dhe shtrihet përgjatë rruhatit, derisa arrin në qoshet më të fshehura të territore dhe më gjerë.

Aglomeracionet albanofone përfaqësojnë gurin themelor që lidh gjuhët, fetë dhe historitë e aftë për të prodhuar modelin më të suksesshëm të integrimit në Mesdhe. Banesa e vogël, shëpia, e ndërtuar fillimisht me pajisje nxjerrëse, më vonë u optimizua përmes përdorimit të materialeve më të përshtatshme vendase sipas metrikës shtesë. Pas tërmetit të vitit 1783, të njëjtat zona urbane minoritare iu nënshtruan një zhvillimi të ri arkitekturor dhe aglomerateve filluan të zhvillohen vertikalisht duke ndarë magazinat dhe stallat në katin përdhes ndërkohë që shtëpitë ishin në nivelin e parë. Ndarjet e mëvonshme kërkuan përdorimin e shkallëve të jashtme, duke ofruar ndryshim rrënjësisht perspektivat brenda qendrave antike.

Cikli i rritjes pasurohet më tej pas dekadës franceze, me ndërtimin e pallateve të reja fisnike, vetëm për klasat më të larta, sepse më pak të pasurit vazhdonin të zinin banesat e vjetra  formonin pozicionin e ri shoqëror, duke imituar fragmente pallatesh.

6) -Fjalori që bashkon shqipen dhe arbërishten

Kërkimi i përrallave vendase, të përmendura në Arbëri, është rruga për tu imituar siç u bë nga vëllezërit Grimm.Megjithatë, vëllezërit Grimm për të gjurmuar gjuhën unitare, përdorën përralla dhe përhapën në mënyrë të unifikuar elementet që përbëjnë trupin e njeriut dhe elementet e përbashkëta natyrore, me pak fjalë, gjithçka që lejonte jetueshmërinë në territor, jetën e përbashkët midis njeriut dhe natyrës.

Ekziston një parim sipas të cilit rrënjët japin limfë, qëndrueshmëria e trungut të pemës dhe degët me gjethe ofrojnë ekuilibrin e duhur të energjisë për të mbrojtur sistemin jetësor.

Nëse ky parim kuptohet, njeriu është në gjendje t’i përkushtohet projekteve të mbrojtjes së përbashkët, për të mbajtur me kalimin e kohës qëndrueshmërinë e një gjuhe pa shenja dhe vëllime të përbashkëta.

Ata që kanë punuar deri tani për të prodhuar elementë të dobishëm në fushën gjuhësore, letrare, historike, sociale, antropologjike, urbanistike dhe arkitekturore, brenda rajonit historik të Arbërisë, pa ndjekur protokollet historike, nuk kanë bërë gjë tjetër veçse kanë prodhuar shpërthime të kota kontaminimi.

Në mënyrë që një gjuhë të analizohet, kuptohet dhe mundësisht të mbrohet, ajo duhet të sanksionohet duke u nisur nga supozimet e identitetit historik dhe më pas duke lëvizur sipas temave të projektit; duke pasur si prioritet figurën njerëzore dhe mjedisin; “përshkrimi dhe mënyra e thirrjes së trupit të njeriut; Aparatet, organet dhe sistemet, të lidhura mirë me mundësinë që ofron mjedisi natyror për mbijetesë”.

Një teori lind sipas kanuneve të projektit në favor të përdoruesve, rrënja është zemra dhe shqisat, duke shmangur ngatërrimin se çfarë do të thotë të jesh arbër apo shqiptarët e sotëm, ose më mirë çfarë është e lashta dhe e reja e popullit të lavdishëm.

 7) -Qendra Antike e Napolit Purple, vlera e Arbërve, ne krahasim me qendren historike te Tiranës-

Pas eksodit latent të Arbanve në rajonet jugore, pas vdekjes së heroit të Gjergj Kastrioti, dhe zgjedhjes së gruas së tij, Donika Arianiti Komneno, e cila preferoi Napolin si portin e saj të sigurt, pasardhësit e tij dhe njerëzit që i qëndruan besnikë filloi një eksod i konsiderueshëm.

Kështu ndodhi një eksod epokal i Arbërit, në zbarkimet e mbretërisë; i cili pasoi pelegrinazhin përgjatë brigjeve të Adriatikut, Jonit dhe Tirrenit, drejt kodrave ku u kapën vendet paralele, duke shkaktuar kështu periudhën e shkurtër të përballjes dhe përballjen mesatare, si dhe bazat e njohurive të protokollit të integrimit. Në shtatë rajone të Italisë së sotme jugore, lindën njëzet e një makro-zonat që përbëheshin nga mbi njëqind grumbullime, duke qenë pjesë e Rajonit të Përhapur Historik të Arbërit, garnizone paralele të karakterizuara nga katër rrethet tipike dhe të gjithë të etur për të shartuar rrënjët e tokës nga e cila u detyruan të iknin.

Duhet të kalojnë rreth dy shekuj që të lindin shkëndijat e para të zjarrit kulturor ku arbërit e shumtë, fillimisht në formë fetare dhe më pas gjithnjë e më laike, në kryeqytetin e Napolit  shquhen në të gjithë titujt kulturorë të Evropës.

Një numër ekselencash që panë pozitivisht të njëjtën histori të mbretërisë, në çdo krahinë fillojnë të formohen nga ato që në atë kohë konsideroheshin si shkolla minimale të detyrueshme dhe gjurmojnë një njohuri të re moderne, në raport me atë sociale dhe kulturore, shkencën ekzakte, politikën, sociologjinë dhe për fat të keq, edhe në ngjarjet e përfitimit ekonomik, të cilat ende sot lanë disa huti të paqarta, të cilat bëhet një siguri për ata pak që ata dinë të interpretojnë historinë.

Ndërhyrja kulturore merr fillimin e saj, falë princave monastike përmes të cilave përhapen besimet, gjuhët e lashta, arti dhe historia, kjo i drejtohet një grupi shumë të vogël ose të brendshëm fatlume, të cilët duhet të presin fronin e Napolit të Mbretit Charlesin e III, për të pasur pikën e kthesës epokale. Që nga inaugurimi i fronit të mbretit, filloi një revolucion i vërtetë kulturor. U ngritën gjimnazet, universitetet, muzetë, akademitë, vendet e studimit dhe restaurimit të artefakteve, artet qeramike, kopshtet botanike, në të gjitha një rinisje kulturore reale dhe e paprecedentë.

Në përgjithësi, në mënyrë të përgjithshme dhe të zakonshme, preferohet të ndriçohen dhe të vlerësohen ata që kanë punuar shumë ose më saktë me kokëfortësi vendosin libra alfabetësh dhe tregime sipas rregullave gramatikore, të cilat janë të padobishme për të thënë të paktën, dhe pavarësisht nga kjo preferencë, lokale ose afonike. Janë burrat e tjerë të rajonit historik që shkëlqejnë për të arritur të nderuar në të gjitha dhomat e ndenjjes së Evropës, pa e zgjeruar shumë audiencën.

Nëse nga pikëpamja gjuhësore Pasquale Baffi mbolli themelet e hetimit drejtuar origjinës idiomatike, duke ndjerë potencialin e tij, erdhën nga e gjithë Evropa për të marrë dhe mësuar mendimin e ri politik, kulturor, shoqëror dhe historik albanofon.

8) – Orientale e Napolit, Universiteti i parë Albanofon në Evropë: i njohur si “Kolegji i Kinezëve”-

Universiteti i Napolit “L’Orientale” e ka origjinën nga Collegio dei Cinesi, i themeluar nga Matteo Ripa, një prift laik dhe misionar, i cili nga viti 1711 deri në 1723 kishte punuar, si piktor/gdhendës bakri, në oborrin e Mançus,Perandori Kangxi.Do të jetë Klementi XII, me një përmbledhje të datës 7 prill 1732, i cili do t’i ofrojë njohje zyrtare Kolegjit të Kinezëve, i cili kishte si qëllim formimin fetar dhe shugurimin meshtarak të të rinjve kinezë të destinuar të përhapnin katolicizmin në vendin e tyre.

Nga viti 1747, qenë të rinjtë nga Perandoria Osmane (shqiptarë, boshnjakë, malazezë, serbët, bullgarët, grekët, libanezët, egjiptianët) me qëllim të marrjes së formimit fetar dhe shugurimit priftëror, sepse atëherë ata mund të kryenin veprimtari misionare në vendet e tyre të origjinës.

Pas bashkimit të Italisë, Kolegji Kinez u shndërrua në 1868 në Kolegjin Mbretëror Aziatik, i ndarë në dy seksionet: e vjetra, misionare dhe një e re, e hapur për të rinjtë laikë të interesuar për studimin e gjuhëve të foluranë Azinë Lindore.

Pas reformës De Sanctis, u inauguruan mësimet e hindishtes dhe urdusë, si dhe persishtes dhe greqishtes moderne. Në dhjetor 1888, një ligj shtetëror e transformoi Kolegjin Mbretëror Aziatik në një Institut Oriental.

Aktualisht “L’Orientale” është e specializuar në mësimet gjuhësore-letrare dhe historiko-artistike në lidhje me Orientin dhe Afrika, pa lënë pas dore kulturat e shprehura nga vendet e Mesdheut, Evropa dhe Amerika.

Në vitin 1900, në Institutin e atëhershëm Universitar Oriental të Napolit, qytet i cili u njoh për rolin e tij si qendror gjatë gjithë shekullit XIX për “çështjen shqiptare u krijua katedra e parë universitare e gjuhës dhe letërsia shqipe në Evropë.

Giuseppe Schirò, një studiues i shquar dhe mbledhës i vëmendshëm i traditave poetike arbër, ishte profesori i parë universitet, në Institutin Oriental të Napolit, drejtor i të cilit ishte edhe ai.

Ai ishte ndër nismëtarët e një letërsie që nga arbërit zgjerohej gjithnjë e më shumë, duke mirëpritur këndvështrime autoritar, frymëzues i intelektualëve të kohës së tij dhe luajti një rol të rëndësishëm në lëvizjen e Rilindjes shqiptare dhe në pavarësinë e Shqipërisë, duke marrë pjesë aktive së bashku me elitat intelektuale shqiptare.

Pasi ndoqi Seminarin Italo-Shqiptar në Palermo, ai u diplomua për drejtësi dhe u përball me

Çështja shqiptare ka jetuar nga fundi i shekullit të 19-të deri në fillim të shekullit të 20-të duke frekuentuar viset shqiptare dhe për këtë meriton për t’u ngjitur në karrigen e parë të institutit.

Jo më pak domethënëse ishin hetimet e bëra në fushën e traditave letrare popullore arbërore, nga të cilat ai tërhoqi të gjitha gjuhët, me synimin për njësimin e tyre. Një rëndësi të veçantë kanë studimet në fushën e filologjisë letërsia dhe dialektologjia dhe vitet e kaluara në Napoli mbeten të jashtëzakonshme

Ai qe mësuesi i parë i Gjuhës dhe Letërsisë Shqipe në Istituto Regio Orientale dha mësim nga viti 1900 deri në vdekjen e tij. Në këtë rol ai rifilloi idenë kombëtare shqiptare në qarqet kulturore dhe politike italiane dhe promovoi nismat editoriale dhe reklamuese, si Arbër i rii.

9) – Konkluzionet dhe aktivitetet për suksesin e projektit –

Në dritën e kësaj linje, vë në pahë ankesën dhe nevojën e qartë për të mbrojtur qendrat antike dhe protokollet për gjërat e vendosura në dispozitat e instituteve dhe institucioneve që nuk kanë forcën, ose më mirë aftësinë interpretuese për të realizuar projekte të vazhdimësisë historike të këtyre vendeve, sendeve dhe njerëzve, është evidente.

Zakoni i rrallë i pakicës, i ankoruar në këto zona, pret restaurimin e duhur që e vendos atë me respekt në skenarin social, kulturor dhe shkencor të të gjithë Mesdheut si dhe të integruar përpara interpretimeve të lira që pasuan njëri-tjetrin nga fundi i shekullit të kaluar.

Krahina e Përhapur Historike e Arbërit lindën sepse është rezultat i veprimit të një qytetërimi të pazgjidhshëm, jo ​​fryt i veprimit konstruktiv të një individi apo individësh pa formim që formojnë një grup; është një varëse kulturash dhe për këtë arsye duhet të mbrohet. Pas ngjarjeve që kanë ndodhur në dekadat e fundit dhe pikërisht që nga vitet shtatëdhjetë të shekullin e kaluar, ose më mirë pas gjashtëdhjetë e tetë, në dritën e ngjarjeve, duhet të bëhet një shqyrtim i arsyeshëm dhe të ndiqet synimi i depozitimit të sigurt të zonave më shumë se njëqind vendeve arbërore. Në veçanti qendrat antike, përmes ndërhyrjeve të duhura thelbësore për të ringjallur trashëgiminë historike të ndërtuar në 550 vjet jetë arbërore. Rimëkëmbja e aglomerateve së bashku me gjërat materiale dhe jomateriale, mjedisin natyror, kromatikët piktoreske duhet të kenë si përfundim, zhvendosjen e pakicës historike që duhet të ndahet jo vetëm me shoqatat, ngjarje dhe takime që janë të pamjaftueshme për t’u thënë më së paku nga i gjithë rajoni arbëresh. Është e nevojshme, urgjente ose e domosdoshme të nisin projekte që kanë si tregues historinë shqipfolëse, këtu në Itali dhe nga toka me origjinë shqiptare, vendet ku janë ende të njomur muraturat e gurta, të cilat vazhdojnë të kumbojnë një gjuhë të lashtë me rrënjë të reja e shumë të lashta.

Nëse në këto shartojmë veprimtaritë, zakonet dhe gjenialitetin vendas në zakone agro, pyjore dhe baritore, në mënyrë solide bashkëjetesa me trevat Historike dhe Shqipërisë së sotme, ne mund ta bëjmë protokollin tonë solid, elastik dhe të pathyeshëm.

Ka një rajon historik në perëndim të Adriatikut me 109 vende me origjinë arbërore me kryeqytet Napolin; ka një kryeqytet të kombit shqiptar Tirana në lindje të Adriatikut; historia mëson se kalorësit dhe mbretërit bashkohen ose më mirë konvergojnë në brigjet e një lumi, për të nisur sezonet e reja të projekteve të përbashkëta dhe për të përmirësuar gjërat dhe njerëzit.

Gjeografia shpjegon se çfarë është deti dhe çfarë është lumi; historikisht Adriatiku ka më shumë pamjen e një lumi edhe nëse quhet det, për këtë, me një vështrim më të afërt, të përbëjë një moment bashkëpunimi vëllazëror social dhe kulturor, në momentin historik që ne jetojmë, një shembull i mirë për të gjithë popullsinë e kontinentit të vjetër.

Ne i kemi në dispozicion të gjithë elementët, pra shkollat, universitetet, institucionet, shoqatat, ACLI (Shoqatat, Cristiane Lavoratori Italiani), si dhe figura të shumta të forta kulturore, për të nxitur aktivitete bashkëpunimi, të cilëve Temat e propozimit fillestar janë si më poshtë:

– Kurse Historike, Gjuhësore dhe Teologjike;

– Figura historike arbër dhe shqiptare; burim kulturor i kontinentit të vjetër

– Historia e Urbanistikës dhe Arkitekturës;

– Historia e zakoneve shoqërore;

– Historia e kostumeve;

– Fjalori që bashkon brigjet e Adriatikut

– Aspektet sociologjike mesdhetare;

– Aspekte dhe implikime filozofike;

– Aspekte historike dhe antropologjike;

– Marrëdhëniet ndërkombëtare midis Lindjes dhe Perëndimit të Adriatikut;

– Pompei, Butrint, Ercolane

– Rruga Apia,Traiana,Egnatia;

Comments (0)

-IL CICLOPE ARBËR, SORIDE AL COSPETTO DEI SOLITI GIOCOLATORI SUI CAMPANILI -

-IL CICLOPE ARBËR, SORIDE AL COSPETTO DEI SOLITI GIOCOLATORI SUI CAMPANILI –

Posted on 28 maggio 2023 by admin

imagesxx

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Gli istituti e le istituzioni preposte alla salvaguardia della regione storica, notoriamente distratte verso la conoscenza delle cose indispensabili, relativamente al sancito di valorizzare e promuovere la storia di cose e uomini, in tutto, le eccellenze locali.

Le stesse “maliziosamente” taciute, per dare valore con men­daci ed ingrate osservazioni, proposte da alcuni stranieri che, non potendo fug­gire dalle nebbie, le miserie, e le turbolenze delle contrade di provenienza, non avendo altrove trovare agio, sanità e quiete, pro­pongono le nostre regole con maliziose cose, invece di  onorarci come fanno gli ospiti buoni quando sono accolti per fame.

E così facendo, compromettono lo stato dignitoso di ogni cosa, dell’equilibrio culturale dei distratti lettori, o di quanti li preposti a deliziarsi di sapere, che tutto potrà essere, men che storia di noi Arbër.

In teoria si crede vi siano sempre più opzioni per fare ricerca, ma nella realtà la soluzione è sempre una sola, nota anche come inconfutabile somma di eventi, l’unica capace di seguire la logica del     sole dal sorge del mattino, quando instancabilmente illuminare tutti i luoghi, disposti in ordinata attea.

Le attività di studio qui condotte, mirano a rendere nota una storia del mattino mediterraneo, colmo di auspici e meritevoli confronti di convivenza civile tra culture e religioni.

Contesti genuini, ancora oggi in svolgimento, i cui luoghi hanno come scena, le terre che si insinuano al centro del mediterraneo; l’Italia meridionale.

Un percorso contornato da valori e avvenimenti, che elevano territorio e le genti, secondo principi di convivenza tra popoli, tutti desiderose di conservare le cose della propria identità, specie se questa è l’identità più antica del vecchio continente.

È stato per questo indispensabile, rivestire ruoli specifici per la continuità culturale in movimento, seguendo le epoche che la volevano mutare e, per evitare questo, si è ritenuto far nascer un nuovo movimento letterario, linguistico, politico, religioso, in tutto un pensiero popolare tramandato in forma completa, priva di favoritismi e campanili di sorta, per questo solo chi è in grado di avvertire e comprendere il messaggio, ha diritto di apparire e diffondere, partecipandovi secondo l’antico patto tipico degli Arbër: “Besa”.

Questo teorema di nuovo pensiero, vale solo per la qualità delle cose tramandate all’interno di un circoscritto gruppo o di ambito parallelo ritrovato, innalzato da più discipline familiari, ovvero, principi di incultura colma di significati riassunti, nelle testimonianze in conformità della filiera generazionale saggia e non di falsi curriculi o curriculati.

Ciò significa che le realtà trasmesse sono verificate e controllate dalla saggezza degli adulti protagonisti, in definitiva il valore che resistite con forza nelle consuetudini, pur nel variare delle circostanze dei portatori acerbi o malsani.

Talvolta capita anche brandelli del protocollo vengano riferiti male, ma a questo punto interviene lo “studioso capace” ad intercettarli, al fine di ricucirli per lavarli e stenderli al sole, restituendo così la visione delle cose, in esempio di modestia, locale.

Lo studioso, a questo punto riveste il ruolo del sarto saggio che ricuce il lume e, risvegliare, dopo un sonno buio oltre misura, della grandiosa saggezza senza termine, la stessa che vaga nelle menti di quanti si ostinano a violentare le cose della nostra tradizione, leggendo e riferendo atti di una storia che nasce e termina nello spazio mentale di perverse figure, pronte ad allungare la coda nel mio archivio.

Ad oggi sono numerosi i facoltosi delle consuetudini locali o di area e, fa impressione l’equilibrio e la saggezza di questi scambiatori di olio usato e capelli tagliati, per sapone.

In tutto episodi utili al degrado sociale, realizzato con incoscienza da quanti, mirano a scambiare il costume e le coperte in ricami armonici antichi, con vestizioni volgari, oltremodo private dei minimali espedienti che dovrebbero generare famiglia.

Spesso si odono regole sui diritti religiosi e civili, su base di tradizioni, o documenti, gelosamente conservati nell’archivio o imprecisi anfratti, comunque realizzati da scriba d’occasione e nessuno sa ne leggere e ne applicare, banalissime sottrazioni matematiche, per capire che sono falsi, come se la consuetudine e l’idioma più antico del globo, possa essere depositato non si sa da chi e come nei fascicoli di uno scriba che non poteva esistere, perché mai nato.

Diffusamente si insiste nel ritenere che alcune Colonie siano di radice militare e presentano anche argomenti a sostegno tale stranissima e curiose tesi, come per essere accolti come ospiti a casa di altri è bene presentarsi brandendo armati.

Ma quello che si racconta di veramente anomala è la leggenda secondo cui ripetere ogni anno le stesse noiosissime manifestazioni, elevare ad eccellenze vili cultori, che di fronte alle proprie responsabilità, prendevano la via di casa e si nascondevano sotto il letto o salivano nella soffitta di casa, immaginando di fare battaglie con il fucile senza animo di coerenza umana di valori per i propri simili locali, ostruendo sin anche le feritoie di areazione dei sottotetti.

Basta con gli stessi noti, o locali di turno, è il tempo di parlare ed elevare le figure buone, perché sempre illuminate e, mi riferisco a quanti hanno primeggiati nel costruire ponti, dialogando e aiutano sin anche Giacomo Leopardi, a vivere qui a Napoli la sua stagione migliore.

Questi sono intellettuali di spessore Arbër, in campo della comunicazione e, del rilancio sociale, quelli veramente capaci di essere esempio di terminazione del seme dell’ignoranza in ogni dove, valorizzando con il loro ingegni l’intera Europa, per comunicare, produrre e affermare cose nuove.

Intanto il Ciclope resta sempre vigile pur se ancora deluso e stupito da quanti dicono di sapere e poi per dare misura della loro forza pubblica, leggono e rileggono i postulati di cui non hanno padronanza o misura.

No ha mai convinto e mai avuto gloria il teorema secondo cui solo chi si cimentava a compilare alfabetari e componimenti scritti in Arbër, era da ritenere eccellenza, mentre quanti avevano dato la vita, costruito ponti, compilato teoremi per l’istruzione di massa, fossero ritenuti senza gloria.

La storia moderna degli Arber va compilata con dovizia di particolari, senza mai dimenticare che se una lingua rimane il riferimento primo di una determinata popolazione, un motivo ci deve essere e certamente non va fissata nei campanili di conventi o nelle polveri delle macine dei mugnai, che senza dignità non distinguevano, crusca per i suini, con il cose per fare frese e pane buono; a Napoli è stata inventata la pizza, dopo secoli che gli Arbër si cibavano con “Bukvallje per misurare il forno prima e dopo fatto il pane”, nel mentre allestivano, cunei agrari, per cibare e rendere più lucide le menti comuni di tutto il regno.

Comments (0)

Z., TEBE E AGNOIA (Zëtònàtë)

Z., TEBE E AGNOIA (Zëtònàtë)

Posted on 20 maggio 2023 by admin

Laffresco-in-cui-è-rappresentato-il-mito-di-EdipoNAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – È facile immaginare una scena pittorica realizzata, tra due episodi emblematici della vita di “Terra”, secondo la volontà del tempo breve (dove raffigurare la nascita ad Est, e il Termine a Ovest); concretizzando così, il tutto, in tre momenti distinti: Z., la Ricerca dell’inesistente; Tebe, la città di Edipo ed Agnoia, la capacità di trascurare il sapere.

Zètema è per Socrate, Zëtònàtë per la R.s.d.A. sono la ricerca certa e rigorosa di ogni nozione, di ogni valore utile a delineare la storia vera e, noi potemmo aggiungere, privata di ogni sorta di gàllinarë.

Il tema che ogni proclama deve seguire non può esclusivamente mirare a diventare leggenda o filosofia di mito, ostinandosi a innalzare cose che non fanno altro che arricchire di contenuti i disastrosi percorsi dell’ignoranza.

Quando si affronta un tema per rilevare ed esporre i trascorsi della storia, non si tratta di illustrare o comporre la più suggestiva, conveniente o illusoria leggenda, oltremodo orfana dei minimali principi di confronto, altrimenti si termina con l’alimentare il braciere dell’ignoranza, col la polvere degli errori rubata per innalzare glorie occulte.

Non si opera producendo o disegnando tragedie inventate da altri paralleli o meridiani e, siccome sono del passato dovrebbero essere vere, una favola una leggenda rimane sempre tale, pur se è stata garantita da Z.

Per questo, ad oggi urge spiegare e raffigurare, avvenimenti, luoghi e stipule di archivio, in tutto, una tessitura attenta, confrontata con le cose esistenti, questo e solo questo è il modo per fermare il mitizzare o auto eleggere, sé stessi, per il riconoscimento, con variegati colori della palese non conoscenza.

Questi accenni di cromatica apparizione, della moderna storiografia, sono l’introduzione per risvegliare l’interesse verso, un’emergenza a dir poco epocale, alla quale, per certi versi, non hanno voluto rispondere eccellenze senza eguali, e chi legge e compone le cose della storia, si deve rendere conto che il momento che viviamo ha bisogno, di gruppi di lavoro in molteplici discipline e, non di semplici giullari di corte, sempre meno formati dei cortigiani e falsi regnanti.

Andare alla ricerca di Z. con le inquietudini di Edipo in compagnia di Agnoia, al giorno d’oggi e molto semplice, giacché non tutti studiano leggendo le cose del Baffi, con l’educazione profusa da Teresa Caldora, come ebbe fortuna di avere il figlio Miche.

Essere un esperto in diplomatiche non è certo mestiere che possono fare i comuni giullari/e, in altre parole, tutti quelli/e, allungano la coda in archivio e nel contempo allungare le orecchie, per capire lo strombazzare dei Doria con le navi per il macero.

Non sono più concepibili esposizioni a dir poco inesistenti di fatti uomini cose e luoghi privi di alcuna struttura di ricerca comparata, il cui fine termina sempre con lo svolgersi di fatti e cose banali, se non addirittura inesistenti o attribuite ad altri faccendieri dell’epoca.

Ripetere due giorni di letture e componimenti dell’ultima ora e, quindi senza radice, serve solo ad incantare i comuni viandanti; certamente, non quanti hanno nel cuore, nella mente la storia e, non abbisognano di leggere le cose, perché gli esperti leggono a casa per poi esporre in pubblica conferenza.

Oggi non servono gli scolaretti furbi, i quali non avendo studiato a casa, interrogati alla lavagna, lasciavano il libro aperto, al primo banco per truffare il professore.

Certamente sono bugiardi con se stessi e con il sistema sociale denominato sapere per questo ancora oggi per ricordarsi le menzogne devono scriverle, giacché, figure storiche di poca memoria.

I bugiardi nella storia si dice che siano tutti cresciuti nei pressi dei reflui che dal Trapeso, ai torrenti producevano maleodoranti vitamine per la mente e quanti li respiravano in adolescenza, non certo incameravano lucidi sostanze per la mente.

Solo quanti hanno avuto la fortuna di sviluppare il proprio acume, seguite da madri e nonne speciali, note come Basile Caruso, Guido e Miracco hanno ereditato i principi della decenza, garbo, solennità e del fuoco, perché la formazione della saggezza viene trasmessa con somma di completa grazia, solo da regine, del costume, del conversare, del fuoco e della casa.

Solo chi è stato allevato con questi protocolli, oggi prova dolore immenso nel vedere o sentire compromesso senza misura i quattro principi cardinali del nostro essere minoranza, ovvero, Idioma, Consuetudine, Canto, Costume e Religione.

Vedere spezzettate queste storiche radici, ritenendole al pari della “nduglja insaccata a gennaio “e, ricevere sin anche l’avvallo delle istituzioni di ogni ordine e grado, è il termine della disciplinare Zetema, dove ad essere protagonista di ogni cosa non è la storia.

Le competenze di ricerca non sono delle istituzioni che hanno solo il compito di formare, un po’ come facevano le quattro nonne; la mono disciplina, fa solo danno e se un dipartimento si illude perché ha avuto esperienze, in discipline specifiche mente e fa danno.

Vero è che riferire di storia, architettura, ambiente e ogni sorta disciplinare non presente nei risicati piani di studio perseguiti, senza riferimento a cose materiali ed immateriali di una ben definita macroarea, è solo auto eleggere i portatori di code e origliatomi delle navi al macero.

E terminato il tempo di appellare le cose o i gruppi di generi secondo termini di “IA” perché chi studia e conosce i processi sociali, sa bene che il temine non ha radice di nobili principi anzi è tutto il contrario di buone cose e nobili principi.

Ormai si va avanti con l’esempio di bambini e dei peggiori che vogliono dare lezioni si ambiente costumi e progetti pei i domani e nel contempo all’uomo accadono le cose più penose che l’uomo comune avrebbe ma immaginato accadessero.

Irriverenze di una tale leggerezza che un tempo si prospettavano per spaventare le nuove generazioni o spaventare le più adulte, oggi si organizzano con una tale incoscienza, che non ha precedenti, come rievocazioni delle peggiori giornate della nostra storia accompagnati da incoscienti suonatori; santi protettori presentati con effigi a dir poco blasfeme, imponendo alla mano benedetta, di dover apparire come quella dei mammasantissima o appiattire il confine tra cosa pubblica e credenza religiosa.

Non è concepibile che sia rimasta la natura l’unica capace di redimere e far riflettere gli omini del continuo poltrire, sicuri che poi gli astanti un giorno possano essere premiati.

Oggi si vorrebbe tutto elettrificato dalla luce del sole, e vagare con e pile cinesi, senza guardare che chi viaggia per cielo, ogni volo di passaggio, inquina più di mille auto che fanno traffico nelle nostre città.

Alle cose della natura che dovrebbero rendere migliore la vita degli uomini, mancano solo picconi, pale, carriole e zappe; ora mi chiedo, invece di fare e raccontare le inesattezze della storia che è cosa raffinata e complicata che altri compilano da decenni.

I tanti addetti, perché non tornano alle cose del passato e, senza migrare come fecero i genitori, i quali vergognosi di fare i contadini a casa propria lo andavano a fare nelle terre di confine.

Oggi nella nostra regione serve rendere l’agro migliore, sotto l’aspetto produttivo dei cunei agrari, senza bisogno di risalire al tempo del Monte del Grano, o magari fare solo attività utili dell’equilibrio idro geologico, senza appesantire cementificando anfratti, che ormai sono pronti per la tragedia.

I bambini devono andare a scuola e studiare, i genitori produrre e confrontarsi tra loro per valorizzare al meglio tutte le consuetudini in eredità in fraterna continuità con l’ambiente naturale buono; i preti benedire e infiorare le chiese, le mamme crescere ed educare i figli, almeno, presentarli con decenza di colori e significati beneauguranti per l’onore della casa, senza esporre i minori, per una irragionevole grazia, con l’incompreso collare di una scellerata attesa materna.

Gli istituti e le istituzioni preposte alla salvaguardia della regione storica, notoriamente, incantate e distratte verso la conoscenza, utile o meglio indispensabile, per la valorizzare e promuovere la storia le cose e gli uomini, in tutto, le eccellenze locali, “maliziosamente”, hanno taciuto o per così dire, con il braccino della mente molto corta o incolta, danno valore con men­daci ed ingrate osservazioni di alcuni stranieri che, non potendo fug­gire dalle nebbie, le miserie, e le turbolenze delle loro contrade, non hanno potuto altrove trovare agio, sanità e quiete, sotto  questo cielo Arbër, proposto con la pro­tezione delle nostre maliziose regole, nate per valorizzare le cose migliori che avrebbero dovuto onorarci con tutta l’umanità.

Purtroppo così non avviene, perché siccome i preposti, furono scelti tutti di piccola statura, una volta saliti in cattedra hanno scambiato il ruolo, immaginandolo campanile.

P.S. Figure testi e conclusioni non sono liberamente interpretabili o diffuse se non con il consenso di liberatoria dell’autore che ne detiene il significato e il valore culturale fruibile in sola lettura.

Comments (0)

I PORTICATI IN TERRA DI SOFIA (Deretë Thë Valljtë)

I PORTICATI IN TERRA DI SOFIA (Deretë Thë Valljtë)

Posted on 07 maggio 2023 by admin

CatturaNapoli AdrianoNAPOLI (di Atanasio Basile Pizzi) – L’abitato del casale Terra di Sofia, specie la parte antica e, antecedente al secolo XVIII, si articolava lungo vie, incrociate da vichi e spazi circoscritti, da cui si accedeva anche da porticati generalmente Arcuati a tutto sesto, con orizzontamento in legno nello sviluppo lineare.

Il sistema consentiva di accedere al tessuto urbano dove ruderi, fondaci, botteghe e case, disegnavano un labirinto, privo di edificati di rappresentanza, complessi monastici, se non la chiesa matrice.

Un insieme costruito di rudimentali elevati o componimento caotico di chiara ispirazione orientale/bizantina, influenza trasportata nel cuore e nella mente, di quanti giungevano dall’Oriente Mediterraneo, per unirsi, previo confrontarsi, con gli indigeni in sofferenza.

All’interno della maglia edilizia della Iunctura così organizzata, i vicoli ciechi, anticipavano, la ‘privatizzazione’ o ‘semi privatizzazione’ di un ben identificato contesto di famiglie, legate da vincoli di parentela allargata, e per questo in contiguità; i fondaci relativi di primo insediamento, per tanto, erano comparti abitativi con Giardino e Orto Botanico annesso.

I porticati rappresentano la misura o meglio il metro di afflusso e deflusso di un a ben identificata porzione dell’abitato gli sheshi, oggi noti come Rione di pertinenza, la cui radice si può identificare nella toponomastica consuetudinaria o ancora se presente e non violata, in quella di primo approdo della legge 1188/1927.

I porticati ancora presenti o meglio che resistono alle innovazioni di recupero, non secondo la scuola del restauro, restituiscono ancora oggi un piano strategico secondo il quale, chi veniva e volesse confrontarsi con i residenti, non aveva un accesso all’interno del centro antico, sormontando cavalli o animali da soma, ma procedere al seguito o o anticipando il transito del quadrupede.

Sono tre che delimitano il rione di “Ka Rìnë Relletë”; quattro, il Rione Spizj; due sono quelli che delimitano l’antico Trapeso; e tutti allestiti lungo il confine del centro antico di radice bizantina.

Tutti i supportici, uniscono i primi livelli di abitazioni in sicurezza dagli estranei in osservazione, essi sono realizzati tra abitazioni nobiliari o comunque famiglie e casati, legati da patti o vincoli di parentela, per gestire in sicurezza abitazioni e nel contempo, circoscrivere vanelle di pertinenza, corti, giardini, orti botanici comuni o privati, in tutto, spazi di scambio e confronto, denominate in Arbër “Vallj”.

Sicuramente l’abitato in Terra di Sofia, aveva altri supportici, ma le vicende storiche del costruito, sottoposto alle prove degli eventi tellurici, che non hanno mai smesso di mettere alla prova il genio degli elevati, lasciano presupporre, un antico costruito storico, con altri passaggi di inchino a completare la parte esposta a sud e sud-ovest.

Fare un resoconto del sistema urbanistico dell’epoca e una impresa non semplice ma con le dovute cautele, magari confrontando altri impiantì urbani limitrofi o di macro area, si potrebbero estrapolare misure parallele, se non simili e, definire teoremi, storicamente provati, da affidare come memoria delle generazioni a venire per componimenti più complessi.

Comments (0)

ED ECCO APPARIRE ALL'ORIZZONTE DI APPRODO LA CAPITALE DEGLI ARBË PER QUANTI DILETTANO CRESCERE CODE IN ARCHIVIO (Duali edè Mesj i Katundëve Arbër)

ED ECCO APPARIRE ALL’ORIZZONTE DI APPRODO LA CAPITALE DEGLI ARBË PER QUANTI DILETTANO CRESCERE CODE IN ARCHIVIO (Duali edè Mesj i Katundëve Arbër)

Posted on 17 aprile 2023 by admin

aaaaa

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Le istituzioni, l’organizzazione e le curiose considerazioni sversate verso la Regione storica diffusa degli Arbër, ad oggi, perché poco conosciuta o per meglio dire maliziosamente velata, per meglio dare spazio e lustro a ignari osservatori stranieri, parlanti e non.

Questi che fug­gendo dalle miserie e le turbolenze delle loro contrade di provenienza, si sono illusi di trovare, altrove,  pace, sanità o quiete mentale; quella che sotto il nostro immenso tetto di accoglienza e rispetto per lo straniero, come disposto dalle consuetudini, le migliori che onorano l’umanità; per  ignari fosforescenti luminari, sono stati intesi come arretratezza culturale, traducendo le nostre fondamentali attività di rispetto dell’ospite vagante, in prostrazione, ignoranza o inadeguatezza di cogliere cose della storia che ci appartiene.

A ben vedere ciò che allo straniero, appena colto è sfuggito è il rispetto, o meglio, il decoro della, ingiustamente, malmenata patria, la quale, siccome storicamente non usa un libro di manuale ne usa stendere al sole pubblico le proprie intimità, o stato fisico delle cose, a quanti volessero deliziarsi di materiali curiosità, diventa impossibile per lo straniero errante trovare le notizie che rendono facile l’acquisto di tutte le comodità che fan la vita dilettevole solo a un Arbër.

Questo è lo scopo che si vuole con­seguire col il presente lavoro e, chi volesse apprendere deve leggere così può conoscere cosa è la nostra regione storica per capire anche cosa è una capitale, e diventare giudice esterno pubblico e imparziale.

Nel comune conversare, pubblicare e diffondere le cose che dicono siano parte essenziale delle regioni, di quella lingua di terra che si insinua, fiera nel mediterraneo centrale, manca sempre il concetto di guida capitale.

Si riferisce per non seguire la scia incompiuta delle terre che segnano i contorni della Regione storia diffusa degli Arbër, qui accade spesso che quanto si fa la conta, dei centri abitanti di questo insieme diffuso, questa varia e si modifica, seconda del bimbo in età scolare che conta, e secondo dell’impegno e la volontà che in genere hanno gli scolaretti, la conta varia da ventisette a cinquanta, senza mai comunque contemplare mai capitale, per cui dovrebbero essere solo paesi senza una regola.

O meglio se volessimo essere severi, come avrebbero dovuto fare molti, anzi, troppi maestri della età scolare vissuta, si sarebbe dovuto iniziare prima indicando una capitale e, poi la variopinta conta, di Casali, Borghi o fossati con ponti levatoi in difesa.

Questi generalmente un elenco di sostantivi di aggregati urbani, senza tempo epoca e senso, in tutto una regione culturale priva di contenuti identitari, palesando, che l’insieme culturale al centro mediterraneo è resta ignoto agli attori, o meglio a quanti fanno il mestiere di comparse culturali.

Mai nessuno ha saputo contare e spiegare perché la regione storica è composta da 109 agglomerati edilizi paralleli edificati dagli Arbanon, a cui sia stata mai aggiunta aggiunge la capitale che dal IV° secolo, prima di Cristo, senza soluzione di continuità, si esprime con la metrica dell’idioma Arbër.

Nessuno espone mai i motivi perché siano stati edificati o quale esigenza ha intercettato proprio quei luoghi e chi li ha circoscritti in ventuno macro aree.

Ad oggi non vi è alcuna consapevolezza del dato fondamentale che Napoli sia la capitale di questa regione storica, irremovibile, o dei morivi che la determinarono e fecero scaturire il protocollo di accoglienza e integrazione di un numero rilevante di minoritari, i quali con educazione dei fatti della storia non si sono mai sovrapposti o insediati in luoghi appartenenti o dove vissero altri popoli ancora presenti.

Chiese, conventi edificato civile, luoghi di confronto, percorsi articolati, farmacie private, vicoli articolati e supportici completano il senso della capitale dald0le per diritto l’inclusivo numero di 110.

Vero è che proprio in questo luogo antico si evidenziano per la prima volta le forme Alessandrine, importate dalle regioni del Nilo bizantino, menzionato, immaginato e, mai smesso di formarsi, parlando solo ed esclusivamente la lingua antica, avendo come riferimento le tipiche disposizioni urbanistiche e architettoniche, mai compromesse e ancora presenti nella capitale così come nei restanti 109 Katundë.

Napoli per questo è il luogo dove storicamente, tutte le eccellenze dei paesi Arbër si sono formate, riverberando poi il loro sapere senza eguali in tutto il globo, luogo illuminato e illuminante, che senza soluzione di continuità da oltre un millennio è ritenuto porto sicuro per la formazione degli Arbër, provenienti da ogni parte della regione storica.

Un luogo dove il tempo non consuma la consuetudine, l’idioma, il genio, la religione, i costumi, le buone intenzioni sociali degli uomini, perché qui tutto viene opportunamente tutelato per il futuro delle generazioni a venire.

È a Napoli che nasce la prima università che doveva tutelare l’idioma degli Arbër e non come avviene nell’enunciato della legge 482/99 dove si tutela la lingua moderna di quella terra abbandonata dalla metà dei residenti proprio per evitare le regole della su citata legge.

Oggi purtroppo e con rammarico duole affermarlo, con dati di certezza, l’essere forgiati a valorizzare gli ultimi, ovvero quelle figure, che hanno fatto danno in tutto l’ottocento, sino agli inizi del novecento, rimanendo perennemente scolaretti a cui venivano oltremodo corretti i compiti stilati in malo modo, perché capaci solo di accompagnare la mula che doveva far ruotare la macina ed essere inutili accompagnatori di quadrupedi da traino in luogo circoscritto.

Mentre ne contempo a Napoli educati e discreti esperti professori delle diplomatiche delinearono le linee guida della lingua degli Arbër, mai da nessuno comprese per essere arricchite, interpretate e divulgate, anzi utilizzati vilmente per attribuire colpe di una infamia senza precedenti.

La conferma che la metropoli partenopea sia Palepoli che Neapolis, non sia una cattedra a misura dei comunemente, lo racconta l’episodio qui citato per grandi linee, avvenuto poco tempo addietro, i cui protagonisti abituati a esporre argomenti e cose a platee di incultura o mediocre formazione, hanno dovuto correre ai ripari e cambiare titolo all’evento.

Questi mai approdati nella capitale nel trasferitisi, a presiedere un evento a dir poco inopportuno hanno dovuto piegare la loro debolezza culturale, “del discorso di tizio” poi rendendosi conto della presenza di una saggia platea, cambiare registro e seguire i consigli di chi sedeva nel fondo della sala, che con saggezza e garbo suggeriva di variare il tema e riferire “con il sottratto di tizio, a spese di sempronio” oltremodo quest’ultimo lasciato in pena ad essere ancora inforcato un’altra volta idealmente, perché di questo luogo resta a tutt’oggi resta figura illustre e complicata da comprendere per la mandria approdata nella capitale.

La figura rima della storia culturale degli Arbër, qui in questa nota su citata, oltretutto è la stessa che tracciò nel 1765 le prime trame dei sostantivi linguistici spiegati e grammaticalmente riportati, mai compresi capiti e saputi leggere da alcuna figura, o addetto preposto di questa storica e incompiuta grammaticale.

La stessa ripresa dal figlio di questi, con garbata educazione e fine riferimento, cercando di far emergere per essere diffuse, nel 1860, analizzando e diplomaticamente confrontando, documenti e attività, che doveva avere come risultato, quanto non era stato mai prestito, ma vere e proprie rapine di documenti, ricambiati con pene di studio, le stesse che restano, ancora accatastati, in chissà quale scaffale privato, preferiti lasciarli marcire, in quanto conferma scritta.

La capitale degli Arbër è il luogo ideale dove apprendere come vivere e apprendere atteggiamenti e principi, per dare solida continuità alla patto che gi Arbër hanno fatto con la terra di origine; la capitale è il luogo dove per fare abiti femminili di rappresentanza e da sposa, si tessevano, seta e cotone in egual misura; la prima per dare lucentezza e la seconda per imprimere memoria di piega; la capitale è il luogo dove la mente degli uomini produce cose buone e le strade portano il nome delle più antiche attività; la capitale ha le chiese orientate per rispettare la maggiore che indica l’origine di provenienza e di credenza degli storici abitanti.

La capitale è un luogo da vivere e non per appuntare gli episodi e le persone care del passato solcandone o sminuendone la memoria con fatica e pene fuori misura; la capitale non si disegna sui muri degli elevati della memoria, perché le cose vanno vissute e dare continuità agli uomini migliori che hanno saputo distinguersi.

La capitale non è uno sversatoio pubblico dove fare cumuli per galli che segnano il tempo, abbagliati dal sole; la capitale non è neanche un lavinaio dove indossare la parte meno nobile del vestito da donna e andare china e schiena agli ospiti, esaltandosi a ballare con la zòghà sollevata e senza vergogna dare il fiore quando si parte.

La capitale è il luogo dove se saggi con misura, avrai sempre un palco da dove esporre cose in apparenza contorte, perché chi ti è amico fraterno. Pronto ad aiutarti a estrapolare il meglio di luogo e cose.

La capitale ti accoglie anche al tempo della guerra, ti fa studiare per migliorarti e salvare gli altri, senza preferenze di genere o di ricchezza.

Va a questo punto sottolineato con forza, il dato secondo cui, è questa città ad aver dato i natali culturali alle figure più emblematiche della storia espressa in forma di puro genio, sono proprio questi ad aver seminato una realtà culturale che tutt’Europa dal XVII secolo al IXX secoli ci ha invidiato e corsi nella capitale a copiare o prendere appunti dai testi,

Cosi come hanno fatto i mediocri o meglio, gli eterni secondo, che per viltà correvano nei paesi di famiglia, a rifugiarsi per non assumersi tutolo di responsabilità o pene di carcere.

Napoli è la capitale poco dopo l’insediamento del Re Carlo III, dopo la compilazione della sua guardia privata, denominata Real Macedone, viene preferito un prete Arbër, per la guida spirituale dei suoi fidi militari, una scelta non casuale, infatti il prete venne chiamato dal piccolo Katundë di Calabria Citeriore nelle colline della Sila greca.

Nella Capitale partenopea e in particolare nel fianco ad ovest della “Cala di Chino” aveva luogo il presidio storico culturale Europeo, dove furono preparate le strategie portarono il collegio di San Benedetto Ullano a Sant’Adriano.

L’opera irripetibile, o meglio scissa oltre un secolo dopo, venne sostenuta e proposta caparbiamente ad opera del Baffi, i Bugliari e del Bellusci, con il vile a remare contro e pensare terminazioni dei liberi pensatoi, gli stessi che con la loro opera consentirono a Garibaldi il passaggio senza confronto, nelle terre in Calabria citeriore e non solo.

E sempre nella capitale che venne pensato, progettato e poi realizzato il primo ponte al mondo, su catenarie e pilastri singoli, che lasciò senza respiro la migliore ingegneria europea dell’epoca, che sperava di vedere il re cadere nel fiume e bagnarsi le vesti dal pubblico corso solo per questo risultato, che come ben sanno gli autori, l’opera ancora oggi resite alle innumerevoli battaglie degli uomini e del tempo.

Sempre nella capitale della Regione storica diffusa degli Arbër nacquero i primi giornali e settimanali con gli inserti di cultura, avvenimenti e costume, al fine di rendere merito alla cultura diffusa iniziando dal basso, o porre le basi canore delle manifestazioni oggi ritenute a torto memorie di battaglie e guerre cruenti.

Le vicende che confermano che la capitale degli Arbër, che tutelano il nostro patrimonio identitario in esilio perenne è “NAPOLI”.

Se alcuno, avesse dubbio o ripensamento, è solo da considerare al pari di quelle figure estranee segnalate in premessa, se poi la loro caparbietà vuole ragione, venite a Napoli: ma questa volta non come ospiti, ma allievi con il ricamo a contorno del collo, come quello appeso al muro, mi raccomando non dimenticate di apporvi il fiocchetto blu sopra il grembiulino.

Commenti disabilitati su ED ECCO APPARIRE ALL’ORIZZONTE DI APPRODO LA CAPITALE DEGLI ARBË PER QUANTI DILETTANO CRESCERE CODE IN ARCHIVIO (Duali edè Mesj i Katundëve Arbër)

VALIJE” ABRACCI DI UNA INTEGRAZUINE A BUON FINE O FESTA DI SANGUINARIA BATTAGLIA VINTA? (Mëma thòi ezënj Vale Vale)

VALIJE” ABRACCI DI UNA INTEGRAZUINE A BUON FINE O FESTA DI SANGUINARIA BATTAGLIA VINTA? (Mëma thòi ezënj Vale Vale)

Posted on 13 aprile 2023 by admin

photo_2023-04-13_08-40-03

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Nelle trattazioni pubblicate e oralmente diffuse, relative all’argomento Valije, non si producono altro che strappi lungo il Lavinaio e, quando trascinati dalla corrente assieme ei tronchi infruttuosi, degenera ogni cosa in banalità senza futuro, come non faceva la consuetudine tramandata per valori indelebili Arbër.

L’argomento, ormai ha superato tutti i limiti della decenza, dirsi voglia, spaziando oltremodo dal ballo, a battaglie e ogni sorta di attività, che vorrebbe la storia colma esclusivamente di attività negative, dimenticando oltre modo i tempi che furono Kalabanon, Arbanon, Arbër, questi ultimi in particolar modo, inclini a dare sé stessi per le giuste cause di amore e fratellanza.

Qui non si tratta di Pasqua, Pasquetta o giorni non comandati, non si tratta del calendario Bizantino, Giuliano, Gregoriano, Romano, del Popolo Napoletano Marmoreo o di qualsiasi odine cavalleresco in voga o alla moda del momento passato, ma a ben vedere si confondono, Cruente battaglie di sangue, con una festa, un momento di giubilare incontro, tra esuli Arbër e indigeni delle colline del mediterraneo peninsulare, per confermare lo storico patto di integrazione tra popoli con diversi e distinti attività di credenza, mai più avvenuto e concordato nelle colline o di un qualsiasi anfratto del mediterraneo.

Tuttavia a ben vedere e dare senso forte e completo a questa manifestazione è opportuno riportare quanto scriveva Pasquale Baffi nel 1775, pubblicato dall’editore anonimo nel 1835 in terza edizione, del discorso sugli albanesi, senza citare la fonte illustre che forniva quelle antichissime nozioni tradotte dal geco antico e trovate, non nella casa di Salita Sansebastiano 16, ma nello “studio al 61” della medesima cala”.

Testualmente qui riportato: “primo pensiero de’ bugliaart d’Albania che sul cadere del secolo XV esularono in Italia, quello di fondare una patria che salvasse contra al tempo, ei figli, e la propria memoria che lasciavano a loro. Non che ponessero in libri alcuna legge, ma ad imitazione di Licurgo piantavano gli statuti ne’costumi e nella disciplina per l’eternità. Essi nelle chiese su’ cui altari i più distinti impressero i loro stemmi, separarono per ogni famiglia i luoghi, e i sepolcri; e come nella patria antica, qui ancora si reputò degradato chi avesse contratte nozze co ‘ forestieri. Essi anche designarono un mese a primavera durante il quale i villaggi degli Esuli ereditari fossero aperti ad ospitare le mutue rusalles, quei grandi cori mascherati che celebravano l’antico paese e gli alti fatti che vi si erano compiuti. “

Se a queste aggiungiamo le note delle eccellenze del XIX secolo, dell’Arbër, critico musicale, Vincenzo Torelli di Maschito, del Magistrato scura Vaccarizzo e del Civitese Serafino Basta.

Questi sono alcune citazioni che chiudono solidamente l’interpretazione della Valije e, non consente in alcun modo a gratuite interpretazioni, senza fondamento storico e consuetudinario, di fare parte, con forme a dir poco inopportune del motivo di questo appuntamento, sigillo di un’integrazione solidamente portata a buon fine.

Torelli/Scura:” Nei Villaggi vivono dei ricordi delle cose gloriose della patria cantano le gesta di Miloscino, Costantino e del Castriota, cantano melodie mai accompagnate da strumenti musicali e le loro giaculatorie sono insieme di tonalità, femminili e maschili adeguatamente e ritmicamente eseguite a voce o gruppi di voci, queste attività prevalentemente erano svolte in maniera maniacale ogni giorno nel andare a svolgere le attività agro, silvicole e pastorali, durante l’esecuzione e al ritorno a sera sviliti dal lavoro.

Se a queste brevi note rilevate dal critico musicale e poi pubblicate dal noto Vaccarizioto, aggiungiamo le note storiche del “Basta”; il quadro di cosa siano e cosa sono alcune Valije e completo; vero è che non lasciando vie di interpretazione inopportune o addirittura gratuite.

Nel Volume XI Calabria Citeriore Fase I; dal titolo” Il Regno delle due Sicilie Descritto e illustrato – opera dedicata alla Maestà di FERDINANDO II: Seconda Edizione, Alla fine della Pagina 84 e l’inizio della successiva nel paragrafo: Etimologia è trascritto quanto segue: “E’ tradizione tra noi, che i nostri padri avessero edificato i primi abituri in due punti diversi, e la vetustà delle case esistenti nel Piano di Magazzino, e nell’estremità superiore del paese ci persuadono a favore. Esistevano in questi due piccoli villaggi due diverse famiglie condizionate entrambe di cognome [……….]; dominate dallo spirito di ostilità, l’influenza che esse estendevano sui loro coabitanti manteneva una viva dissensione, e coglievano l’occasione nei tre giorni di Pasqua, quando solennizzavano i Piekisit (Vecchi), per venire a fatti d’arme, e sfogare i loro rancori. Le cause produttrici dei loro rancori dell’odio dei [……….], che indusse la colonia a scindersi in due partiti, hanno dovuto essere valevoli anche a dare una diversa denominazione ai rioni che abitavano. Nella platea della Curia Arcivescovile con Porcile nel 1469 e San Basile nel 1510 Vien ricordato il nostro paese col nome di Castrum Sancti Salvatoris, la denominazione che apparteneva a piano di Magazzino”

A questo punto è doveroso trare conclusioni e delineare una nuova è più appropriata strategia di studio interpretativo, dell’evento Vallija, le stesse divulgate senza ragione di essere storia o atti reali che appartengono a tutta la Regione storica, la stessa che così facendo, nel breve tempo non avrà più ragione di essere annoverato e riproposto con queste inadatte divulgazioni orali.

Notoriamente il sostantivo Vale, sta ad indicare il conviviale accompagnarsi e non essere mai soli, ezënj valè-valè, raccomandavano che le nostre madri dicevano al fratello che accompagnava la sorella adulta, o un fratello più piccolo, nell’andare da un posto ad un altro, in onore e sicurezza.

Ma era anche il recarsi ogni giorno nei campi a lavorare, che era semplice da attuare soli o senza un momento canoro conviviale, ironica e stimolante canzone, di genere, specie se diretta alla propria amata o amato.

Erano proprio questo modo di procedere a rendere piacevole il duro lavoro agreste; con canti di genere come annotava Scura su indicazione dei principi del canto di Torelli, in genere ad iniziare, erano le donne a cui rispondevano gli uomini, aprendo un suggestivo e stimolante susseguirsi di ironiche e sotto intese affermazioni.

Tutto avveniva con suggestivi e cavallereschi atteggiamenti, in forma malinconica alcune volte, ma sostanzialmente ironia di genere, dove ad essere poste in evidenza, erano le gesta di uomini o donne per la particolare attitudine, non solo fisica, ma questa, pur se piacevole sempre presentata e coperta da solide velature o similitudini ambientali.

Malinconiche sì, ma la maggior parte delle volte erano abbracci ideali o dichiarazioni d’amore, nei confronti del genere amato o ambito ad essere corrisposto.

Oggi tutto è tradotto e confuso in atti di guerra gli abbracci ideali in forma di ballo sono scambiati in atti di accerchiamento e pene di o ricatti da infliggere, ma non è cosi, infatti i conduttori generalmente due maschi per lato del semicerchio, rappresentano l’uomo, ovvero l’operosità o la forza, di contro  le ragazze o donne che lo completano, rappresentano la parte gentile, ovvero il corpo che genera, da difendere equando ti avvolge tutto diventa magia e genera specie, identità: la vita di quel popolo.

Le Valie non sono una festa di un popolo bellicoso, violento e bellicoso, pronto a presidiati e ricattarti, in quanto esse rappresentano la lucentezza e contengono tutte le cose migliori di ogni Arbër, in forma di generi, costui, credenza; i colori migliori che il genio degli Arbër ha saputo selezionare per riverberare a conferma dell’integrazione e il buon fine a cui si è addivenuti per la conservazione della identità del popolo più longevo del bacino mediterraneo.

Comments (0)

Advertise Here
Advertise Here

NOI ARBËRESHË




ARBËRESHË E FACEBOOK




ARBËRESHË




error: Content is protected !!