 NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Nella strategia sostanziale al punto, 4 e 5, tra i settori principali dei Progetti Integrati Territoriali relativi alla Regione Calabria, vede un numero consistente di paesi arbëreshë che intendono investire le risorse alla Valorizzazione del Patrimonio Culturale Storico urbano e rurale.
NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Nella strategia sostanziale al punto, 4 e 5, tra i settori principali dei Progetti Integrati Territoriali relativi alla Regione Calabria, vede un numero consistente di paesi arbëreshë che intendono investire le risorse alla Valorizzazione del Patrimonio Culturale Storico urbano e rurale.
L’idea strategica si impegna a realizzare interventi in manufatti e negli ambiti di pertinenza storica minoritaria dismessa o da riqualificare.
È chiaro che i risultati cui sono giunti gli amministratori locali, in senso generale, sono da ritenere eccellenti e va riconosciuta la giusta lode.
Con i progetti, si vuole riacquisire il vecchio patrimonio e gli ambiti dismessi che a oggi si è ritenuto fossero irrilevanti e non idonei a rappresentare gli arbëreshë negli ambiti urbanistici ed architettonici.
Centri urbani sviluppati secondo quelle direttive dettate dal modello dell’Agglomerato diffuso, in cui insistono tipologie edilizie oltre che modelli e tecnologie di rara bellezza eseguiti secondo le metodiche dette dell’arte povera.
Allo stato va affermato un concetto fondamentale secondo cui gli arbëreshë dalla loro terra d’origine hanno identicamente riproposto i valori, della lingua, della religione, del modello sociale di famiglia allargata e del Sistema Diffuso Urbano, punti fondamentali in cui la comunità ha trovato i catalizzatori pere produrre quel blocco granitico configuratosi poi nell’Arberia.
Mentre i primi valori hanno avuto una continuità storica evolvendosi e amalgamandosi in se stessi, il Sistema Diffuso Urbano, acquisito in funzione degli scenari sociali e quindi non di facile lettura, ha avuto un pericoloso degrado che trascina l’intera minoranza alla perdita di tutte le caratteristiche linguistiche e rituali.
È chiaro che analizzare i centri albanofoni con perizia e precisi riferimenti storici, si può rileggere cosa ancora appartiene agli antichi sistemi edilizi e ciò che sono solo banali e sciagurate interpretazioni alloctone.
È risaputo che negli ambiti urbani e urbanistici di etnia albanofona si è operato considerandoli sempre in modo inappropriato, il che ha prodotto danni irreversibili; ripartire avendo come presupposto l’enunciato; per Restaurare bisogna Conoscere e per Progettare è indispensabile Capire, sicuramente darà più linfa a un territorio che è volto a perdere l’identità caparbiamente conservata per oltre quattro secoli.
Appare molto facile, oggi, ritrovarsi di fronte a sconcertanti episodi architettonici e urbanistici, depositati impunemente negli anfratti arbëreshë, il che porta alla conclusione che essi non hanno avuto come idoneo supporto, studi specifici e mirati, che utilizzassero come riferimenti della comunità le antiche tessiture.
Trame urbane concepite non secondo sistemi sociali piramidali, tipico dello scenario storico urbanistico meridionale, ma quelli cosi detti a maglia, adottato nei processi di crescita urbana degli insediamenti minoritari.
I presidi di origine arbëreshë, si sviluppano secondo il metodo degli Agglomerati Urbani Diffusi e assumono la disposizione a maglia o griglia, adagiata sul territorio in modo invisibile, seguendo le isoipse e le perpendicolari relative.
Il modello sub-urbano dei gruppi familiari allargati, allocati nelle connessioni della trama appena descritta, attraverso le mutazioni sociali ed economiche nel corso di un secolo, diedero origine alla divulgata gjtonia.
Il modello, griglia o maglia, così concepito ha fatto proliferare rigogliosi centri, di cui oggi rimane solo la toponomastica che meccanicamente ed inconsapevolmente si continua ad enunciare; Trapësa, LëmGlëtirith, ShiHatà, ScesciCaravonith, Carcareglieth, Kàsana, Spìzi e chissà quanti altri nei circa cento paesi di origine albanofona, riecheggiano negli scenari dei borghi d’Italia.
Per disegnare il percorso storico di un centro abitato, secondo una antichissima teoria, bisogna leggere volando come un’aquila, le pertinenze in esame, poi in seconda battuta, come una talpa, insinuarsi negli anfratti più intimi al fine di tracciare le reali mutazioni urbanistiche ed architettoniche.
Questo protocollo di analisi consente di avere i parametri per una ricerca storico-architettonica compiutamente realizzata all’esterno e all’interno dei paesi arbëreshë.
Le premesse storiche ritrovate, devono diventare parte fondamentale di un Manuale Unico, legittimato e riconosciuto all’interno della comunità arbëreshë, privo del quale, non è consentito produrre alterazioni urbanistiche, architettoniche, materiche e dei pigmenti, sia in ambito pubblico sia privato.
Le nozioni assieme ad altre specifiche ancora più complesse, dovrebbero tracciare le linee d’inviluppo, che siano di supporto ai tecnici che si trovassero a operare all’interno dei perimetri albanofoni.
La specifica conoscenza è finalizzata a dare un supporto fondamentale al mantenimento delle regole, unica via utile a produrre riqualificazione, senza manomettere l’identità culturale.
Il mio appello è rivolto a chi vuole tenere viva la tenace etnia arbëreshë e in particolare tutte quelle istituzioni che studiano, divulgano e promuovono la continuità vera di quest’anfratto Italiano.
Solo una concertazione così costituita è legittimata a incanalare nella stessa direzione esperienze multidisciplinari che diventino le pietre miliari di una cultura minoritaria sostenibile, in cui i veri aspetti che caratterizzano la minoranza, siano proposti univocamente in ogni contesto facente parte dell’arberia.








