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UN ARBËREŞË ADOTTATO DALA DEA PARTENOPE NEL MOMENTO DEL BISOGNO satë mëbàmj mendë mëmenë

Posted on 28 ottobre 2025 by admin

Mamma2NAPOLI (di Atanasio Pizzi arch. Basile) – Era l’aprile del 1985 quando decisi di fare ritorno a Napoli, la città che avevo lasciato con il cuore pieno di speranze, nostalgie e promessa data.

Vi tornai con l’intento di ricostruire una casa e una famiglia insieme a mia moglie e a mio figlio, portando con me il bagaglio delle esperienze e delle fatiche accumulate sino ad allora.

Le stesse che non furono semplici da esternare e non furono anni semplici, se poi aggiungo che in poco tempo persi molti dei miei antichi punti di riferimento, quei legami che avevano segnato la mia giovinezza e dato forma alle mie prime certezze, la salita che dovetti affrontare non fu solo quella della sapienza ma di molte altre battaglie sociali.

Per questo, per almeno due decenni, non mi voltai indietro a guardare e, Napoli, mi accolse come una madre ritrovata.

Partenopee mi offrì solo il suo seno generoso, ma apri tutte le su strade migliori, nutrendomi di cultura, di arte e di umanità.

Fu grazie a lei che trovai il coraggio e la forza di rinascere, di formarmi lentamente nelle botteghe dell’architettura, dalle scuole e dalle maestranze li nella “Furcillense Via” fino alle esperienze che mi avrebbero condotto oltre quei confini, verso nuove scoperte nutrizionali di cultura, sapere e titoli.

Inizia così un percorso di crescita parallelo a quello universitario, portato moralmente a termine ma non certificato per un esame mancante e la via fu quelle delle botteghe più prestigiose dell’architettura e del restauro della scuola Napoletana.

Tra il profumo della calce e il rumore del ferro battuto, si forma lo sguardo di chi impara che l’architettura non è solo progetto, ma gesto, materia, tempo.

Le giornate si susseguono tra tavole da disegno e cantieri storici, dove ogni muro racconta una stratificazione di vite.

È qui, nel cuore vivo della città, che la teoria incontra la pratica, e la conoscenza accademica si misura con la concretezza del mestiere.

Questo stato di cose hanno innalzato, un destino intrecciato tra memoria e vocazione e, mi condusse, quasi naturalmente, a frequentare le storiche botteghe di architettura napoletana e, tutte luoghi dove il tempo sembrava essersi fermato, sospeso tra il respiro delle pietre e il suono delle matite che graffiavano la carta da lucido.

Entrare in quelle stanze era come varcare una soglia invisibile e, il mondo di fuori restava lontano, e dentro si parlava un linguaggio antico, fatto di proporzioni, di luce e di silenzio.

Sin da ragazzo, avevo stretto un patto con mia madre, un patto semplice e assoluto, come sanno esserlo solo le promesse fatte col cuore, per rendergli merito a tutto quello che gli altri non gli avevano dato, ovvero: onorala con un titolo.

Un titolo da conquistarne e che potesse rendere giustizia ai suoi sacrifici, le sue speranze, ed è stato quel voto, più di ogni altra cosa, a guidarmi lungo gli anni della mia formazione, nei corridoi umidi delle accademie, tra i cantieri e le carte ingiallite di biblioteche dimenticate.

Tuttavia anche se, la strada fu lunga e aspra, per quasi due decenni patii la fatica del mestiere e della ricerca, muovendomi tra archivi da restaurare, biblioteche da salvare, palazzi nobiliari da risanare.

In ogni lavoro cercavo non solo la cura della materia, ma anche una forma di guarigione ambientale, come se ogni muro riportato alla luce potesse lenire una ferita mia, o del mondo.

Ho lavorato nelle case private dei collezionisti, nelle botteghe degli artigiani, dove ancora si respirava il profumo del legno, della colla di pesce, del ferro battuto.

Erano maestri veri, uomini e donne che avevano nelle mani la sapienza di generazioni e tutti mi accolsero come un apprendista, e forse lo sono rimasto per sempre, un apprendista del tempo e della materia.

La mia tesi di laurea fu essa stessa un atto d’amore verso quel mondo e, la discussi due volte: la prima, il 28 marzo del 1987, insieme al mio collega, come un’opera condivisa; la seconda, da solo, il 20 ottobre del 2004, per conquistare finalmente il titolo che avevo promesso.

In quel momento, più che un traguardo, mi sembrò di mantenere fede al giuramento fatto a mia madre, e forse, in fondo, era proprio questo il vero senso di tutto quel cammino.

Una madre che riconosce ai propri figli la stessa passione non è soltanto una donna, ma un principio antico e, in lei si rinnova il gesto della Dea che allatta, che nutre senza distinzione, vedendo in ogni creatura la stessa scintilla del mondo.

Così era mia madre e, così l’ho sempre sentita, partecipe di un destino più grande del suo, custode di una fiamma che non brucia ma scalda, e che passa di mano in mano, di cuore in cuore.

Come la terra, che accoglie e non domanda, ella non risparmiò né amore né fatica e, le sue mani, pur segnate dal tempo, erano sorgenti di forza.

Essa non conosceva l’egoismo del possesso, ma la gioia del dono, quella che si rinnova ogni volta che qualcuno impara, cresce o trova il proprio posto nel mondo.

Nel mio cammino tra archivi e botteghe, l’ho vista riflessa in molte altre madri, alcune reali, altre simboliche delle donne che vegliavano sui loro figli o sui loro allievi, su giovani apprendisti o su ragazzi perduti, restituendo senso a esistenze altrimenti disperse.

Madri che, come la Dea antica, nutrivano anche chi non aveva più una madre, accogliendo nel grembo del sapere, dell’arte o della cura chi cercava un’origine nuova.

E forse è proprio questo il mistero più profondo dell’essere una madre, partecipare, ed essere ovunque come un seme che cresce, un errore che si perdona, una speranza che si accende.

Nella sua semplicità, mia madre incarnava tutto questo e, ancora oggi, quando entro in una bottega, o quando mi chino su un muro da restaurare, mi pare di sentirla accanto, la sua voce calma, il suo sguardo che non giudica ma incoraggia, come a dirmi: “Ricorda, ogni gesto che ricostruisce è un atto d’amore e, ogni cosa che torni a vivere è un figlio che rinasce.

 

Atanasio Pizzi direttore A.R.S.A.N.  (Attento Ricercatore Storico Arbëreşë Napoletano)

Napoli 2025-10-28 – Martedì

 

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