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PALAZZO BUGLIARI DREGLIÀRTË

Posted on 26 marzo 2016 by admin

Palazzo Bugliari dregliarthNAPOLI (di Atanasio Pizzi) – La fragilità morale e le ristrettezze culturali producono molti più danni di un cataclisma, specie nelle persone che vivono convinti che appartengono alla categoria che dice di far parte di quanti del rispetto per ogni cosa ne fanno una ragione di vita.

Ostinarsi a presentare come malevolo l’emblema della propria crescita morale e spirituale, perché non si ha la forza di accettare ‘l’identità,  che ognuno di noi non sceglie è un atteggiamento che esula da ogni di buon senso di convivnaza.

Trovare le parole adeguate per esprimere il disappunto verso tanta ostinazione non è impresa semplice, alla luce del fatto che i segni e le gesta del passato, tuttavia hanno contribuito a rendere più solida la nostra morale e prepararci ad affrontare la vita.

È chiaro che non siamo tutti uguali, per questo, chi ha preso consapevolezza che il rispetto esiste continua l’ascesa culturale, mentre chi ha vissuto solo per coprire il proprio disagio, vive la vita sotto forma di commedia.

Alla luce di quanto premesso Palazzo Bugliari il teatro di una moltitudine di vicende sofiote, la storia del manufatto ha origini antiche e la sua tipologia appartiene al periodo rinascimentale del meridione italiano, l’essenza riporta alla cultura bizantina, araba, angioina, sino al predominio aragonese, con innesti della consuetudine arbër.

Il Regno delle due Sicilie, la Provenza e Valenza, descrive un perimetro, entro la quale furono stipulati intrecci artistici ancora oggi misteriosi, sensi comuni in cui le linee di scambio sono difficili da estrapolare, rimangono la constatazione di un’osmosi regolare, sequenze evolutive dei modelli che gli albanofoni fanno propri per miscelarli ad antichissime consuetudini.

Questi non sono altro che gli ingredienti fondamentali che divengono architetture all’interno della regione storica arbëreshë, elementi fondamentali per lo studio di questi ambiti.

La notorietà del riferimento culturale per tutti gli albanofoni: il Collegio Italo-Greco di Sant’Adriano; si deve alla caparbietà del Vescovo/Presidente Monsignor Francesco Bugliari da Santa Sofia d’Epiro.

Egli nacque il 14 ottobre 1742 da Giovanni e Maria Baffi, nel rione detto Bulëravetë; e il complesso fa parte di quelle architetture degli enunciati in premessa.

La residenza dei Bugliari, realizzata lungo una degli assi viari a monte dell’agglomerato urbano, collegava il rione lëmi litirith e la conca naturale detta kasàna.

L’insula, (manxsana), si presenta ad andamento pressoché lineare secondo l’asse Nord-Su e si compone di quattro moduli abitativi simili, eccetto l’ultimo quello allocato più a oriente che crea un insenatura al continuo edilizio, secondo la direttrice Ovest-Est.

L’edificio ingloba al suo interno alcune di quelle murature che i Bugliari come altre famiglie realizzarono secondo le disposizioni dei principi di Bisignano dal 1535, per questo conserva le diverse stratificazioni che si sono succedute nelle varie epoche

Gli elevati, nonostante abbiano subito le vicissitudini del tempo e degli eventi tellurici, che hanno penalizzato tutti gli edifici della provincia citeriore, conservava i suoi tratti distributivi, strutturali e materici, inalterati sino all’inizio di questo secolo.

L’edificio è composto dal piano terra, un primo e la copertura, l’elevato altimetricamente misura pressappoco sette metri alla gronda ed è così distribuito: a piano terra i magazzini e le cantine; al primo livello è allocata l’abitazione che per le caratteristiche geomorfologiche del fronte naturale in calcare su cui e incastonato, dispone il piano alla quota di campagna nella parte rivolta a sud.

Il prospetto principale esposto a nord, si presentava con una sequenza di porte gemellate a finestre, fortemente modificate.

L’accoppiamento dei due infissi conferma l’esistenza dell’originario modulo abitativo Cati o Kaljvej, aggregati in questo rione secondo la disposizione lineare.

Tra il seicento e il settecento gli antichi moduli a piano terra, furono adeguati secondo le tipologie correnti, in altre parole, costruire un nuovo piano sulle murature di piano terra, ottenendo così il piano superiore abitabile, quest’ultimo per essere temperato aveva aperture modeste e l’intero volume era sovrastata da uno spazio tecnico canizàri (Kanicari) a cui erano apposte delle apertura di circa 50 x 30 cm. di forma quadrangolare posizionati nell’estensione muraria che va dall’architrave delle finestre e la base del cornicione aggettante del tetto.

Al primo livello le finestre degli ambienti residenziali erano contraddistinte da una cornice di intonaco pigmentato più chiaro, al di sopra delle quali erano collocate le aperture per la ventilazione del sottotetto; per coronare lo sviluppo altimetrico dell’intero prospetto era disposto un cornicione realizzato con doppio ordine aggettante di coppi murati, da cui partiva la lamina di coppi della copertura verso il colmo dell’edificio.

Gli infissi di fattura diversa distinguevano la distribuzione interna, stanze da letto con gli scuri e la cucina con vetrate poco più grandi.

L’antico asse viario nel corso dei secoli è stato inglobato nella trama edilizia del rione, in corrispondenza del palazzo è diventato disponibilità di esclusiva dei Bugliari.

La necessità di interrompere l’antico percorso nasce da fatto che il lavinaio principale del paese, non faceva apparire dignitosa dell’abitazione.

Al fine di fornire al palazzo un’area  di pertinenza fu elevata una murazione a confine della proprietà, lungo la direzione del lavinaio che nei fatti rese la strada di esclusiva dei nobili di sopra, schermando definitivamente quel nero corso d’acqua .

A seguito della legge n. 130 del 2 agosto 1806 che dismetteva i privilegi dei Principi e la conseguente acquisizione delle terre da parte dei cittadini, le disponibilità economiche dei Bugliari migliorarono.

Il manufatto cresce di pari passo con le vicende sofiote, assumendo anche la funzione di abbaco edilizio albanofono in quanto la configurazione rimane immutata e leggibile per diversi secoli, ma a seguito dei molteplici “ammodernamenti di ponente” ; oggi rimane solamente il luogo delle vicende storiche svolte, transitate e scritte durante la partecipazione di Santa Sofia d’Epiro, alla causa dell’unità d’Italia.

Il paese comunque conserva altri due riferimenti edilizi, che rimangono i luoghi che detengono i trascorsi della storia, i patimenti e le evoluzioni architettoniche diffuse, non solo degli albanofoni, ma di tutta la valle del Crati.

Quando nel 1792 a Mons. Francesco Bugliari gli fu affidato la reggenza del Collegio Corsini, questi instaurò un filo diretto con il suo parente e compaesano Pasquale Baffi, affinché l’istituzione clericale e laica non andasse dismessa, come lentamente stava avvenendo prima del suo avvento nella sua sede originaria di san Benedetto Ullano, per questo ritenne che si potesse giungere a un grande progetto di rinascita culturale se l’istituto assumeva un’autonomia economica e territoriale più dignitosa, in cui coltivare modelli di pensiero politico e sociale, in linea con i tempi anche per il martoriato territorio della Calabria Citeriore.

Pasquale Baffi a Napoli era conosciuto e rispettato per l’alto valore culturale in tutti gli ambienti, politico sociali che contano nella capitale partenopea, per questo quanto rese noto che la Calabria citeriore rimaneva un ‘sola senza un riferimento culturale forte, riuscì a inserire il plesso tra i presidi per la divulgazione del nuovo pensiero di rinnovamento.

Quante riflessioni e pensieri propositivi ha ispirato il vescovo nei periodi di calura trovava refrigerio all’ombra delle acacie che adombrava il percorso di quell’antica strada di costa.

Quante lettere sono state ricevute o inviate nella consapevolezza di essere in un posto sicuro, da cui non sarebbe trapelato nulla e tutte le strategie di rilancio culturale oltre alle misure sarebbero andate a buon fine.

Palazzo Bugliaro è stato la culla strategica per il “rilancio culturale durevole d’arberia”, furono preventivati gli aspetti positivi e quelli malevoli come poi avvenne nell’agosto del 1806; per questo sin dal 1792 i vescovi prescelti per il progetto culturale furono due prescelti Bugliari e Bellusci, quest’ultimo non a caso fu inviato a Napoli per prendere consapevolezza di quando doveva prodursi per portare a buon fine il progetto di acculturazione territoriale.

È proprio in questa fase della storia italiana, che l’insula identificata come “le case dei Bugliaro di sopra” entra a pieno titolo come riferimento logistico di quel pensiero che contribuì a unificare l’Italia.

Strategie pianificate e poi realizzate attraverso il filo diretto Napoli, Santa Sofia d’Epiro, immaginare che è stato realizzato senza colpo ferire il trasloco di una istituzione; il Collegio Corsini da San Benedetto Ullano venne collocato a Sant’Adriano senza alcun intralcio burocratico se si esclude la sterile rivolta della annoiata comunità Ullanese, che venne raggirata con la favola di un escursione botanica nella direzione del fiume Crati.

Anche in questo frangente palazzo Bugliari divenne un riferimento storico, vero è che, sia i carri per il trasporto delle suppellettili e gli asini da soma per le persone più anziane, partirono da questa dimora per volontà del dott. V. Bugliari fratello del prelato, è sempre la stessa dimora ad accogliere tutti gli studenti e il corpo docente del plesso, i quali, dopo essersi rifocillati per una notte, poterono proseguire il giorno dopo verso il nuovo insediamento per far crescere i semi della cultura arbëreshë.

Il tempo conserva il valore storico dei manufatti; muri, infissi, solai, pavimenti, intonaci e persino il suo assetto distributivo, per questo gli edifici rappresentano la culla in cui e stata conservata una delle più belle pagine di cui ogni arbëreshë va orgoglioso, e fiero, tuttavia gli uomini con le loro inconsapevolezze manomettono quanto il tempo è riuscito a tramandare, a noi che crediamo in un futuro migliore rimane solo il compito di realizzare la metrica di tutela.

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