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L’ARBËRESHË È UN ARBANON CHE SAPEVA NUOTARE

Posted on 27 novembre 2020 by admin

PaestumTaucher

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – La testimonianza di pittura greca è l’emblema di ogni luogo, ogni dove e ogni uomo che vive questa vita; specie per chi studia, non confronta e divulga favole Arbëreshë dal XIII secolo, giacché, la raffigurazione è la  sintesi perfetta da cui si sarebbe dovuto partire.

Il tuffatore, la sfida che l’uomo per sua scelta si appresta ad affrontare da solo senza supporto alcuno, accompagnato dalla sua originaria veste, senza la certezza di cosa troverà dietro quello specchio d’acqua sfiorato dalla luce e privo di increspature che creano ombra.

Si tuffa nudo, senza vesti, costumi o emblemi allegorici, forte solo del suo animo, la sua sapienza ed il suo corpo; con le sole nudità si appresta ad affrontare un nuovo mondo, sicuro di poter presto riemergere e confrontare vecchie con la nuova sensazione.

Così è stato per gli arbëreshë nel XIII e così lo è per tutte quelle persone che non restano fermi ad aspettare che siano gli eventi ad avvolgerli e preferiscono affrontarle lealmente con le proprie forze.

Si dice che chi si tuffa nei mari, per emigrare porti con sé costumi e beni, purtroppo questa vecchia rappresentazione funeraria greca, “radice saggia”, da torto a tutti i comuni pensatori, perché il tuffo verso una nuova era si fa solo con l’anima, la sapienza e il corpo, il resto a venire sarà una dimensione, in cui si confortano le virtù del tuffatore (l’Uomo) con la nuova dimensione ospitante (la Natura).

Il tuffatore si espone convinto del suo gesto, si adopera nell’impresa, sicuro delle sue capacità, uno slancio, una postura per incunearsi senza stravolgere la superficie della nuova era, non ha dubbi mette in gioco se stesso e non teme risvolti malevoli.

Egli va alla ricerca di nuove misure naturali che possano accogliere il suo essere, non per le cose materiali che non porta con se, ma per l’immateriale che non conosce e gli consentirà di migliorare e aggiungere cose nuove, al bene del cuore, della mente e del suo corpo, in tutto del suo genere.

Questa è una parabola perfetta per gli arbëreshë e per quanti comunemente raccontano e diffondono le conseguenze di quel tuffo, augurandoci che almeno sappiano interpretare ciò che vedono e solo quello che è.

Questa immagine oggi diffusamente si può applicare alle mille vicende che si vivono lungo le coste del Mediterraneo, ma questa è una piaga più ampia per questo, la raffigurazione deve essere un monito per tutti.

Per concludere è bene che all’interno della regione storica sia ben chiaro l’evidente stato dell’atleta,   in procinto di iniziare l’esodo; e mentre si libera nell’aria mostra tutto quello che è, non è vestito e non trascina  “bauli con le vesti della sua futura sposa” ne librerie, colme di “alfabetari”  per le discendenze.

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