NAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Nell’ultimo decennio in maniera inappropriata e in alcuni casi addirittura con modelli elementari e vetusti, le pertinenze albanofone del meridione, sono andate alla ricerca delle dinamiche utili a fornire nuova linfa all’identità dei centri arbëreshë.
Sono state dilapidate risorse, realizzando progetti privi delle idonee referenze storiche, divulgate nozioni errate, realizzati piani di tutela senza distinguere le pertinenze minoritarie da quelle autoctone, messe in luce manifestazioni in cui sono state diffuse nozioni, concetti e avvenimenti utili solamente a sminuire il grande valore della più operosa minoranza del meridione.
È vero che gli errori servono per migliorarsi e affrontare il futuro con esperienze rinnovate, purtroppo in arberia da troppo tempo si attende questo cambio di tendenza, che purtroppo non vede presupposti idonei che diano adito almeno a ben sperare.
Tra poco più di un semestre, in molti Comuni d’arberia, i residenti saranno chiamati a eleggere i nuovi amministratori, opportunità che non va sprecata, né intesa come perno di rivalsa, giacché, in questo modo produrrebbe il veicolarsi di principi ritenuti non condivisibili e dannosi al bene della comunità.
Le premesse sulla scelta dei nuovi amministratori debbano essere affidate non sulla base di ideologie politiche o faide di potere, che ormai da molto tempo logorano la vita dei piccoli centri, ma abbia come primario riferimento il benessere generale condiviso dalla comunità intera, senza prevaricazioni o nepotismi.
Non è più concepibile, a oggi, affidare il rilancio o le scelte di sviluppo degli ambiti urbani della comunità minoritaria legati ancora a principi consuetudinari, religiosi e linguistici ad adepti che dell’arberia ignorano ogni cosa.
Cercare una metodica di promozione dei paesi albanofoni inseguendo stereotipi dismessi perché fallimentari o immaginare di svendere i propri ambiti sperando che questi possano magicamente trasformarsi in opportunità di sviluppo è infantile, oltremodo lascia dubbi che potrebbero essere intesi anche come gravi reati.
L’arberia è come un diamante d’inestimabile valore, depositato all’interno degli anfratti arbëreshë, bisogna solamente saperlo esporre valorizzando le mille sfaccettature.
È chiaro che per fare ciò occorre tanto lavoro condiviso, senza protagonismi o finalità personali, tutti devono aggiungere il proprio apporto senza finalità che mirino esclusivamente al proprio tornaconto.
In poche parole riportare in auge quell’antico modello di famiglia allargata, in cui il capo carismatico del gruppo familiare, oggi individuabile nell’amministrazione, affidava le mansioni in base alle capacità degli elementi della comunità, senza esclusioni o prevaricazioni, ma valutando solamente le sue capacità intrinseche.
Tutti i membri incaricati producevano e fornivano beni, consapevoli di essere una parte fondamentale della filiera economica, responsabili che il loro contributo era fondamentale alla continuazione del sistema economico.
Purtroppo venuti a mancare questi modelli di assegnazione, il protagonismo ha preso il soppravvento e i valori dell’arberia sono stati ridotti al lumicino, gli autori seguendo luccicanti meteore hanno voltato le spalle alla valorizzazione e alla conservazione degli ambiti antropizzati.
L’appuntamento cui gli albanofoni nella prossima tornata sono invitati a eleggere i nuovi rappresentanti è un’occasione da non sottovalutare ne sprecare.
Il legislatore offre ai cittadini l’appuntamento per rinnovarsi e migliorarsi al fine di non restare perennemente chiusi nel buio dell’ambiguità e dei personalismi.
Il periodo storico economico che viviamo è particolarmente delicato, la domanda che bisogna porsi è semplice e nello stesso tempo fondamentale per il domani, giacché, gli albanofoni hanno sottovalutato e sprecato l’opportunità della legge 482 del 99, ai tempi del benessere, quali presupposti di rilancio si possono ottenere adesso che l’economia globale, volge l’attenzione verso altre priorità?
Molti anni addietro uno stanco operatore scolastico, una sera d’autunno del 1973 mi disse: a me rimane poco tempo da vivere, perché ammalato terminale, l’augurio che faccio a te che sei giovane, è quello di non vivere mai il buio della persecuzione cui sono stato sottoposto, solamente perché i miei ideali hanno sostenuto le pari opportunità.
Quelle parole sono ancora attuali, come il ricordo del suo viso ricoperto dalle copiose lacrime che lo solcavano.








