Categorized | In Evidenza, Storia

ADRIATICA RIBOLLITA di BUGIE ESALTATE e RIVERSE tra ITALIA e ALBANIA “A.R.B.E.R.I.A.”

Posted on 31 marzo 2024 by admin

NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Ad oggi bisogna accertarsi e con parsimonia delle cose che del palco su cui si è partecipi a diffondere cose senza senso storico e, per il solo fine di stupire turisti e comuni viandanti sempre affamati o pronti a digerire ogni cosa commestibile/fumosa, dirsi voglia.

Accertato che sia uso comune riportare teoremi riversati, secondo il tempo e le occasioni che corrono, qui in questo breve, si cerca di fare chiarezza a largo spettro per poi stringere la mira su luoghi, fatti, cose, uomini e in dettaglio illustrarle.

Tracciare un percorso storico e identificare cosa ha reso possibile, nella penisola mediterranea, le forme di accoglienza e integrazione, senza avere consapevolezza della “Regione Etnica Diffusa Kanuniana Accolta e Sostenuta per gli Arbëreşë “denota come siano stati condotti gli studi e i relativi approfondimenti utili ad interpretare contenuti di archivio, biblioteche o notarili atti, relativi ai trascorsi di questa chiacchierata minoranza.

Il tutto, non conduce certamente a risultati con il comunemente divulgato identificativo di radice, secondo cui una porzione della odierna Albania Balcanica, che geograficamente è allocata al centro nord estremo, denominata storicamente Arberia è la patria di quanti vantano radici di cultura Graca che si trova al sud della stessa nazione, e tutti; non hanno mai danzato per aver trionfato in  guerre o fatto stragi.

Nasce così la necessità, di una nuova indagine, secondo cui a migrare dopo la morte dell’eroe Giorgio, il 1468, non furono solo la gente del nord, o del sud, ma da tutta l’antica terra balcanica, ma diffusamente venne lasciata nelle mani di quanti si prestarono ad essere piegati secondo credenza d’oriente.

Poi se si odono le diffuse Vallije allestite in azioni mirate, emerge la necessità di analizzare le cose della nostra storia con più attenzione, racchiuso nel componimento a titolo di questo breve.

Sostantivo acerbo, amaro e forgiato, o addirittura, fumosa opera di comuni viandanti, che presentano pietanze garantite, da precedenti viandanti, per questo genuine, in quanto “benedette”, con rametti di origano intrise nell’ aceto, come fanno “le Jannare”.

Tuttavia, e con pena immensa, in questo breve, si vuole evidenziare, senza affondare nel citato pantano “benedetto”, e mi riferisco a quel trapeso, ormai non più, né Terra e tantomeno luogo o memoria condotta delle tre figlie; Fede, Speranza e Carità, che nel contempo hanno preferito, minareti a campanili.

Qui in questi ambiti stretti e lunghi, che fanno centri antichi, come la natura preferisce, hanno avuto i natali le figure di eccellenza più elevate tra gli Arbëreşë, grazie al presidio scolare monastico denominato “ Arcivescovile”, elevato alla fine del XVI secolo, giacché, luogo ameno soleggiato e difeso dalla natura,  per questo ha dato avvio alle formazione culturale di numerose figure locali su base greca e Latina e diventare eccellenza, quali prelati, rappresentati di cultura e legalità, i quali nel breve tempo di pochi decenni riecheggiarono ben oltre i confini del regno e dell’Italia unita, perché esempi di cultura prima irripetibile.

Una vera scuola che da questi luoghi di Terra che richiama le finezze Alessandrine, ed è qui si vuole accennare anche il nero che si alimentava dei reflui del butto vescovile, per poi diventare vergogna nel decennio francese.

Lo stesso che violando il senso di Terra, se si esclude l’elevato Romanico del XVIII secolo, elevato ancor prima dello scuro natalizio, a seguito del quale, il calvario di questo luogo, non ha avuto soluzioni di continuità, visti i risultati della profonda deriva che pur se nota, fa danno.

Essa inizia il 1799 a Napoli, con l’episodio dell’arresto, la conseguente esecuzione e il su drammatico epilogo di cattiva esecuzione di Pasquale Baffi, a cui segue con la costituzione del vergognoso monte del grano lungo la odierna Via Masci, un elevato costituito in elementi di esclusiva spogliatura tellurica.

Qu sono nate le figure che hanno immaginato aperto e poi chiuso quanto divenne esausto il presidio culturale della terra citeriore, fulcro culturale atto a indicare la via dell’unità, culturale, sociale, politica, religiosa e dei segni, in tutto, un cerchio perfetto descritto da un compasso buono, che senza mai apparire o averne avuto mai merito, ha posto in essere, solo bene per i vicini fraterni.

La deriva vera è propria ha inizio, con la strage, avuto luogo dal 12 al 18 agosto del XIX, lungo i lavinai di Terra a terminata davanti a un privato granaio, ma con pegno poi pagato, sedici anni dopo, alle spalle dei granai della capitale del regno, per ironica sorte; e da allora sempre con più veemenza si è lasciato spazio e tempo alla libera deriva.

Una vera e propria pandemia culturale che sparge gratuita cattiveria, perché di regia diavolesca, la stessa che vive e vegeta in questi luoghi e se non si corre e passare con urgenza, a rifoggiarla, di questo centro antico, non rimarrà più nulla.

Va sottolineata la parentesi avuta luogo e tempo nel XX secolo, una fiamma di ripresa durata sino alla metà degli anni cinquanta, epoca in cui venne allestita sin anche la Festa dell’estate o meglio l’inizio dell’integrazione, spenta sempre di più dai venti sessantottini, che hanno generato un vortice culturale secondo cui erano battaglie o stragi per il santo patrono: Vallje.

E negli anni ottanta si è dato inizio, con al calpestare la toponomastica, affidandola a ignari viandanti indigeni, iniziando così a produrre e allocare, progetti in elevati, allestendo percorsi pubblici per i quali sono stati cancellati o rimossi: sedili, fontane, varchi, vichi e ogni oggetto vernacolare di Iunctura storica.

Furono così trasformati i luoghi ameni, in parcheggi per autovetture d’occasione o foriere senza stagione e, in alcuni casi cancellare completamente gli antichi e valorosi percorsi da soma, in regola Kanuniana.

Non sono state rispettate scalinate, vichi, orti botanici, aie, sottoportici e tutti i lavinai, i quali senza riguardo, sono stati sotterrati con croci parallele in ferro, a memoria perpendicolare, in favole di inutili percorsi veicolari senza alcun bisogno condiviso, disperdendo il senso generale dell’impianto urbano di “Iunctura storica”, la stessa che fa di questi luoghi “NON BORGHI”.

Cosa dire poi della sovrapposizione o la deposizione per le memorie storiche locali, le quali sono menzionate e ricordate in episodi che ritenere inopportuni è dire poco offensivi se non ironici, in molti casi, ma tutto ciò non è nulla,     se accenniamo come la cultura, qui è stata violata, con episodi secondari o di infantile interpretazione, coinvolgendo sin anche le massime autorità, che distratte partecipano ed elevano i neri calpestando il bianco fatto di pene, sacrifici e principi violati.

E come se non bastasse, sono state sin anche violentate le prospettive storiche, dagli inizi degli anni novanta del secolo scorso, sostituendone il valore materico, che le rendeva uniche, elogiando madri comuni con quelle chiuse nel dolore, completando l’opera ritenendo che un centro antico sia il luogo dove depositare coloriture alloctone di altri paralleli terrestri, per seguire la moda che anche in questi luoghi ameni, solo la globalizzazione poteva ferire e uccide, con incosciente giubilo e senza rimorso della pena inflitta a Clementina.

Adesso inizia l’estate per gli Arbëreşë, con tempi e ritmi in gruppi di genere che innalzano Vallja; a questo punto è il caso di suggerire con il vestitevi in costume, ricordando che quelle vesti sono bandiera e, nel portamento sarebbe il caso di fare gesti garbati e mai inconsulti, specie per la memoria e l’onore di “vostro padre”, come tradizione vuole.

Ricordate che quando cantate, chi vi sta accanto, alterna vocalità di genere, per poi terminate nel canto che unisce voi e gli altri, riverberando in questi ambiti ameni, i valori di fratellanza in terra parallela quella solida ritrovata, naturalmente.

 

P.S. per quanti cercano di fare, dire o enunciare:

  • La Sposa in Pubblico, danza saltella, non fa sollevare le vesti, non fa coda o ruota,  né prima di esser sposa, aver al collo la fascia nera;
  • Bërlòcù, non è ne per bimbe o adolescenti; ma è solo per donne adulte che fanno famiglia, perché maritate;
  • Lavina Jònë; è dove il tempo, l’acqua, vanno per mano e riempiono buche, e fanno strade;
  • Chi non sa e conosce le Vallije, leggesse Serafino Basta dottore di Civita -1835;

Comments are closed.

Advertise Here
Advertise Here

NOI ARBËRESHË




ARBËRESHË E FACEBOOK




ARBËRESHË




error: Content is protected !!