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TUTELA, SALVAGUARDIA E VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO ETNO ANTROPOLOGICO.

Posted on 12 dicembre 2013 by admin

QUALE TUTELA SALVAGUARDIANAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Ritengo che ottimizzare il titolo suddetto, basterebbe aggiungere la sostenibilità ambientale e materica, per realizzare il quadro di un’isola, in cui gli elementi del costruito e del non costruito seguono un percorso storico affine alle tradizioni e il gioco è fatto.

Ambiti conservati e valorizzati, secondo i dettami del buon restauro consentirebbero di possedere in maniera chiara e indelebile il percorso del patrimonio linguistica-consuetudinaria dell’etnia distribuito in maniera morigerata sul territorio.

Progetti messi in atto su basi certe e storicamente verificate, inseriti negli ambiti identificabili della minoranza, avrebbero potuto e dovuto rendere gli agglomerati, quelle isole felici che oggi si millanta di aver realizzato.

Purtroppo l’inadeguatezza politica, formatasi in questi anfratti collinari, l’incapacità di usare le tecnologie e la poca formazione storica dei tecnici, che hanno operato in questi ambiti, ha trasformato la sostenibilità di questi gioielli di architettura minore in cumuli e spianate architettoniche al pari dei presidi commerciali, con la differenza sostanziale del ritorno economico, che per i minoritari è un miraggio.

Invece di valorizzare e incoraggiare il turismo attraverso la diversità linguistica, storica e il modello consuetudinario, si volge lo sguardo verso politiche razziali o di edilizia fallimentare, senza tenere in conto l’economia sociale, il fine indispensabile cui giungere attraverso il rilancio delle tante eccellenze irresponsabilmente dissociate negli ambiti della regione minoritaria.

Oggi chi si reca in questi ambiti, alternativa dei paesi indigeni, quali e quante cose potrebbero attrarre la sua attenzione per indurlo a fermarsi? Personalmente ritengo che siano pari allo zero.

Nulla appare perché valorizzato o messo in evidenza con garbo, quello che apparteneva una volta a tutta la comunità ed era visibile, adesso è prerogativa di pochi, questi ultimi, avvolti dalla nebbia dell’ignoranza e del personalismo, si adoperano ad accumulare, conservare e fare propria ogni cosa, senza rendersi conto che estrapolare dai contesti ogni manufatto perde sia il senso che il valore.

Negli ultimi decenni l’abitudine di depauperare gl’irripetibili anfratti, associato al danno provocato dalle opere pubbliche che invece di sopperire a questa manchevolezza, ha ulteriormente degradato gli ambiti, ha fatto in modo che la soglia della devastazione sia stata esageratamente superata.

Un detto tipico della dice: tek merr e nëng vë nëng quëndron faregjë; dove prendi e non metti non rimarrà più niente, oggi siamo arrivati a questo dato di fatto.

Purtroppo ormai da troppo tempo si prende senza depositare mai nulla di concreto che possa ritenersi in linea con la storia, le abitudini e il vivere dei minori, la tendenza è di attingere distruggere, senza ripristinare gli antichissimi dettami secondo una logica storica comprovata.

Niente è legato coerentemente a un filo di storia, unico riferimento certo sono solo le annotazioni dei viaggiatori che dal settecento in poi hanno visitato in lungo e in largo questi borghi del sud; illustri, nobili e signori, tutti attratti dalle vicende storiche, venivano a documentare e rilevare le caratteristiche autoctone di questi ambiti che furono anche i luoghi natii di famosi letterati e scienziati dell’epoca.

Oggi non è più concepibile né ci possiamo permettere a inventare arcipelaghi minoritari, per poi sprecare le risorse affidandosi a inappropriati tecnici; magari bravi ad arredare la casa della signora Cuccurullo, tirare le somme di un computo metrico o tracciare le linee irrigue di un orto.

Non servono queste competenze se poi delle vicende minoritarie, attenendoci a quanto esposto, non lasciano alcun dubbio sulla inadeguatezza nello svolgere i temi di progetto giacché culturalmente impreparati.

Non si possono confondere le gjitonie con piazze collocate in altri ambiti, né ritenere che “la riqualificazione, caratteristica d’ambito va recuperata” o immaginare che la difesa del patrimonio storico sartoriale, incautamente e imprudentemente accumulato in locali inadatti, si possa attuare progettando banalissime vetrine, il cui utilizzo, a breve sarà quello di essere adoperate quali contenitori per portare tutto in discarica.

Progetti che si accaniscono infilzando anonimi corpi illuminanti su quella che un tempo era la strada più antica del centro minore, cui per l’inadeguatezza culturale, dei preposti, è stato sostituito incautamente il toponimo, (il personale auspicio è quello che al più presto sia ripristinato).

Ritenere che gli spazi d’ambito detti Gjitonie, si presentano di forma irregolare e andrebbero regolarizzate è una forzatura storica a cui è giunto il tempo di dare un freno, già in occasione della tragedia che interessò un intero paese fu messa in atto tale vergognosa linea di attuazione progettuale che definire demenziale è dire poco, continuare a fare uso di questo linguaggio mettendo in opera lo stesso principio sarebbe come commettere un crimine.

Il mio augurio è quello che a lavori iniziati sia richiesta una variante in corso d’opera e possano essere invitati a partecipare nel gruppo di lavoro chi è in grado di illuminare i bui progetti sino a oggi attuati, evitando con la prassi di correzione, di rendere ancor più povera quella regione, che tutti affermano, a parole, di voler proteggere, ma che i fatti raccontano ben altro.

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