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PROSPETTIVE ARENATESI IL NOVEMBRE DE1799 E NON PIÙ MIGLIORATE

Posted on 13 novembre 2022 by admin

ARISTONAPOLI (di Atanasio Pizzi Basile) – Se oggi si dovesse esprimere un parere sulla sostenibilità e la tutela, di cosa solo pochi definiscono Regione storica diffusa Arbër/n, ovvero, il modello di accoglienza e integrazione più solido e duraturo del mediterraneo, nono si commette alcun errore nel constatare il percorso, arenatosi il 1799, anno in cui perì Baffi Pasquale, eccellenza nell’indagare il percorso seguito nella storia dalla minoranza e mai approfondito.

Questo perché l’apparire diffuso, ad oggi, in piattaforme, cose materiali e immateriali rivolte alla platea, dei non eletti, lascia perplessi quanti studiano, confronta, analizzano, i capitoli, gli onciari e ogni sorta di elemento scrittografico di luogo territoriale specifico, diffuso, posto ed esposto in pubblica piazza.

Oltremodo perplessi, lasciano i campanilismi disinformativi di quanti dovrebbero misurare con molta premura/precisione, di luogo, tempi e uomini, perché istituzione, il divulgato/bile, di luoghi cose, persone indicati da terzi.

Non è concepibile che il 2022 si possano esternare principi, concetti e riferimenti storico culturali dei trascorsi della minoranza, senza un minimo di formazione, e parlo della curriculare mescolata con lievito madre, che lascia il tempo che trova, nel mentre fa diventare più appariscenti agli occhi dei comuni astanti.

Non è consentito ad alcuno definire la regione storica in altro modo, ricordarsi solo dell’enunciato di Mattarella in: “Modello di Accoglienza e Integrazione”. [*]

Non è più plausibile, ad oggi e dopo oltre venti anni dalla emanazione della legge 482, mancante dell’art.9, ridurre al mero numero di cinquanta, i paesi elevati dagli Arbër, perché non tutti gli oltre “cento e nove di memoria storica”, parlano la lingua delle antiche regioni dei Balcani, come se l’edificato storico, non riverberasse più le stesse pene e patimenti sino all’integrazione di qualche decennio addietro.

Non si possono diffondere aspetti e cose risalenti al 1799 e mai più approfondite, con dovizia di particolari o con giusta misura interpretativa nel leggere e confrontare ogni cosa, con educazione e scientifica cultura, quella che un tempo rese famoso il luogo dove fu edificata la chiesa a Sofia Madre.

La regione storica diffusa Arbër, “diversamente da “Arberia” che indicherebbe uno stato”, rappresenta un ben identificato territorio come, come l’istituto della geografia insegna; esso  non è politico, non è ambientale, ma luogo di storia vissuta secondo consuetudini e cose importate da terre  paralleli o simili, oltre il fiume Adriatico; un luogo dove non era più permesso/consentito, vivere secondo la propria credenza, lingua e attività sociale, in armonia con l’ambiente naturale sostenibile.

Ad oggi mentre altre culture minoritarie, promuovono e valorizzano l’intero scrigno della propria identità, fatta di lingua, consuetudini, credenza, genio degli uomini di appartenenza, gli altri cercano di abbarbicati in stereotipi che non hanno più ragione di essere, in quanto si mira a tracciare inesistenti ruote in idioma, che terminano per essere intese come malevoli indirizzo di accomodamento.

 “La regione storica diffusa Arber”,  per questo è un cuore pulsante, fatto di ventuno macro aree, esse, si stendono nei territori di Molise, Abruzzo, Puglia, Campania, Lucania, l Calabria e Sicilia.

Sette regioni un tempo il Regno di Napoli che per i patti dell’Ordine del Drago, legavano i principi dell’Epiro Nuova e Vecchia con i regnati Partenopei, un connubio di intenti che legava le rive di tutto l’Adriatico.

Un patto stipulato nel XV secolo e alla morte de condottiero Giorgio Castriota erede di Giovanni, offrì un porto sicuro alla sua consorte Donica Arianiti a Napoli; e come da accordi, anche un canale privilegiato per  la popolazione che non intendeva soccombere alle consuetudini e la credenza Turca, ormai libere di imporre cose in quelle terre.

La disposizione degli esuli, non furono casuali nelle terre del Regno di Napoli, in quanto si disposero secondo !arche” che dovevano rispondere a due direttive fondamentali; ristabilire la vivibilità in territori agresti per renderli produttivi; riconoscenza, rispetto e fedeltà alla corona che li aveva accolti.

Le arche prima di esser rese produttive, divennero prima teatro nomadismo e dopo una parentesi di confronto con le genti indigene, si stabilirono rapporti di convivenza che diventarono schiera comune nelle attività storiche che portarono all’unità d’Italia.

Oggi le cose che più emergono, dopo secoli di storia, sono le improprie vestizioni, campanilismi diffusi e l’urgenza di intervenire come fece la cultura a fine settecento con le famose diplomatiche che analizzavano la storia del Romano Impero.

Vero è che nel XVIII secolo studiosi attenti il più delle volte non trovavano alcun riferimento a fatti, luoghi cose e uomini dell’antica Roma, ma solo narrazione di parte utile a innalzare l’eccellenza di cose e persone fuori dal tempo i luoghi e i fatti.

Oggi dopo i Romani tocca allestire le diplomatiche per gli Arber, certamente sarà più semplice di quelle realizzate per i romani nel XVIII secolo, vista la tecnologia multimediale che corre in nostro aiuto.

Importante è iniziare, chi si vuole prodigare è bene sapere che la platea è ampia, per adesso la scansione è stata avviata su M. Angelo Francesco, la più urgente, in quanto,  produce ingannevoli episodi malevoli, esposti come genuini.

In questo caso le cose emerse sono gravi e particolari, la speranza vorrebbe che il campanilismo si spenga e ogni cosa, sia depositata nei luoghi di pertinenza, e le eventuali effigi in memoria  rimosse, specie se vergogna di marineria emersa in estate sotto il sole in calura di morte.

Un’ultima nota si vuole citare brevemente, per non allungare questa nota: i centri antichi di minoranza Arbër, ovvero il nucleo originario quello fatto dei quattro rioni tipici, non ha bisogno di misure fuori dal tempo.

Sappiatelo tutti senza escludere nessuno, il Centro antico, non ha bisogno di artefici in colore, tegole o infissi per rivitalizzarli, essi già contengono vivi i cinque sensi della nostra identità locale, basta solo far emergere le cose dei momenti di vita vissuta.

Sappiate che forme e sentimenti prendono vita non con segni e invenzioni alloctone affrancate e costruite senza ragione storica su intonaci moderni, giacché, serve avere consapevolezza delle cose e le attività dei nostri avi, i quali hanno sparso tanti germogli lungo le strade le piazze e le porte della nostra identità, conservati nel cuore nella mente e nell’animo di ogni Arber, come consuetudine insegna; a noi oggi solo il compito di farli germogliare.

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  • [339 9048616]

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