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LA SALITA DELLA SAPIENZA (PERLA – I° – GIORGIO KASTRIOTA DI GIOVANNI)

Posted on 05 ottobre 2019 by admin

L’ARBËRESHË GIORGIO CASTRIOTA DI GIOVANNINAPOLI (di Atanasio Pizzi) – 

(Introduzione)

Quando penso alla vostra “Arbëria”; immagino una strada antica, piena di buche, cui le persone che vi abitano prospicienti, si ostinano a riempire (senza titolo in campo di manutenzione stradale) il discontinuo della lamia di scorrimento, innalzandosi ai preposti operatori.

Il fenomeno anomalo nasce per una volontà di apparente altruismo, tuttavia le disarticolate opere di rifacimento, rendono pericolosa la strada che non risponde più allo scopo per cui venne realizzata, oltretutto le mere aggiunte, divengono una trappola, per quanti ignari adoperano la via sicuri che conduca lungo i trascorsi della “Regione Storica Arbëreshë”.

(Perla – I°) 

Correva l’anno 1413, quando uno dei principi d’Albania superiore o del Nord, Giovanni  Castriota uomo forte, prudente e di cristiana fede, dovette capitolare in favore dei turchi, per tutelare il suo regno con capitale Krujë, la vita di sua moglie Voisava Tripalda e dei suoi figli; Reposio, Stanista, Maria, Costantino, Giorgio, Yiela, Angelina, Mamizia e Vlaica.

Le regole cui si attenevano i turchi in questi frangenti di conquista, richiedevano come pegno della vittoria i figli maschi, i prossimi discendenti di quel governariato, rispettivamente: Re­posio, Stanista, Costantino, Giorgio.

Il patto di sottomissione evitava lo sterminio e lasciava indenni quanti vivevano in quelle terre, cosi facendo avrebbero continuato a progredire e valorizzarle, in attesa della discendenza, sottoposta a vigili regole  turche.

Quando ciò avvenne, Giorgio il figlio minore del principe Giovanni, aveva appena nove anni, pur essendo in più piccolo e ultimo nella discendenza, gli osservatori dell’epoca, facevano notare che per la sua stazza fisica ne dimostrasse almeno venti.

Giorgio, e i suoi fratelli appena consegnati, alle attenzioni dei Turchi, pur se avessero dato, questi ultimi, grandi rassicurazioni di libera Religiosa Cristiana, giunti nella corte, furono battezzati e circoncisi secondo i riti della credenza di  Maometto cambiandone sin anche il  nome.

Reposio fu lasciato libero di prendere la via ecclesiale, Stanista e Costantino preferirono la vita di corte, convertendosi al paradisi che offriva la corte turca e Giorgio, appellato Alessandro (Skender) , mostra ottime qualità come lottatore, combattente e stratega, diventando in meno di un decennio, beniamino del sultano, guadagnandosi l’appellativo “beg” (signore), che diventerà Scanderbeg.

Le sue attività per cui eccelleva lo vide protagonista incontrastato, contro i Cristiani, ora in Grecia, ora in Ungheria, comunque sempre ben distante dalle pertinenze di genti di lingua albanofona.

Nonostante l’amore, e il rispetto verso la Cristiana religione, depositato nel suo animo dai genitori, cosi come le consuetudini di radice arbër  suoi ideali, si oppone all’avanzata dei cristiani in oriente, emergendo nelle cronache di conquista dell’epoca.

Porta a buon fine, battaglie a vantaggio dei Turchi, sottomise molte  provincie, sino al compimento dei suoi primi quarant’anni epoca in cui pote tornare libero da quella imposta sottomissione.  

Le sue gesta in tale direzione giungono sino alla fine del 1443, quando si diffuse la notizia che il padre, Giovanni era passato a miglior vita, anche se si ipotizza che ciò fosse avvenuto sempre per cause naturali, all’incirca un anno prima e tenuto nascosto per prolungare l’avvento dei Turchi; tuttavia questi ultimi si presentarono nel maniero di Krujë a riscuotere la discendenza di quel governariato.

Come la consuetudine, della luna calante prevedeva, l’antico patto andava messo in atto e allo scopo fu inviato il Generale turco Sabelia, con un grosso corpo d’armata impossessandosi delle terre di Krujë, certo che l’impresa non avrebbe incontrato alcuna opposizione.

Così  avvenne, dato che trovandosi tutte le piazze sprovvedute di truppe e munizioni, i turchi si presentarono a riscuotere  per conto di  Reposio (Caragusio) la  paterna  Corona, anche se  questi era morto già da tempo, comunque con questo inganno unito al terrore delle loro armi, entrarono a  Krujë e presero la gestione delle Città,  affiliate al governariato di Giovanni Castriota.

Quest’atteggiamento, privo di un’idonea valutazione preventiva da parte dei turchi, diverrà pena ai vertici della luna calante, pagata a caro prezzo ben presto con protagonista Giorgio Castriota.

Ciò tuttavia, il sultano per allontanare ogni ripercussione sulle modalità di attribuzione del trono, provvide prima del ritorno di Giorgio a sopprimere i suoi fratelli e  avrebbero  sacrificato anche lui, se non fosse stato per il suo scaltro atteggiamento assunto nell’apprendere gli eventi accaduti .

Giorgio Castriota rimasto solo, ben consapevole a cosa sarebbe andato incontro, nonostante si mostrasse indifferente, preparava la sua “Besa” fingendo di preferire gli onori della Corte Turca.

Il suo modo di porsi compiacente verso il Sultano, anche quando questi spiegava di aver agito per la difesa del suo paterno patrimonio, perché mira dei principi limitrofi, specie durante la sua assenza; a questa tesi largamente diffusa, Giorgio con scaltro atteggiamento, tranquillizzava i turchi ritenendo giusto quanto attuato nel suo interesse.

Oltretutto, non mostrava alcuna perplessità al quadro prospettato dal sultano turco, preparando intanto con minuziosa e regola Kanuniana , “la Besa del sangue versato” in nome dei fratelli; in tutto, agiva con gli stessi mezzi adoperati dai turchi, per ricuperare la Corona e la guida del suo popolo che attendeva con ansia il rientro.

I turchi sino alla dipartita del padre per venticinque anni avevano fatto tutto secondo una metodica perfetta, sottovalutando un dato, ovvero, che pur se di nove anni Giorgio Castriota, (** volgarmente ricordato come Skanderbeg), il giorno della sua consegna per ricatto, all’invasore turco, aveva ben in mente le regole consuetudinarie della “Besa” inscindibilmente impressi nel suo D.N.A.

Il 2 di marzo 1444, nella cattedrale di San Nicola ad Alessio, il Principe Arbër Giorgio Castriota, il minore dei figli di Giovanni, fu proclamato all’unanimità, guida cristiana,   marchiato secondo le consuetudini turche, “Scanderbeg”.

I Principi convenuti in quel 2 Marzo del 1444 furono: la principessa Mamizza Castriota, la sorella di Scanderbeg; Arrianiti Signore della Provincia Canina, Calcondila e Rafaele Valoterano; Teodoro Corona Signore di Belgrado amico particolare di Giovanni Padre di Giorgio Castriota; Paolo Ducagini, il più considerato principe d’arbëria, in oltre erano presenti Nicolò Ducagini, Giorgio Arianiti, Andrea Topia, Pietro Pano, Giorgio Dufmano, Gjergj Balsha, Zaccaria Altisvevo, Stefano Zornovicchio, Scura/Scuro, Vrana Conte e altri di minor nome, quali Stefano Darenio, Paolo Stefio, oltre i deputati della repubblica di Venezia, osservatori e certificatori di quell’incontro.

Quando i convenuti furono dentro il sacro perimetro, Giorgio Castriota, prese la parola e fece un discorso come qui in seguito riportato nel collegamento allegato:

http://www.scescipasionatith.it/discorso-del-principe-giorgio-castriota-rivolto-ai-suoi-pari-cristiani-alessio-2-marzo-1444.

La nuova stagione con vesti cristiane vide il valoroso condottiero esprimersi brillantemente nella missione a difesa della cristianità e gli Arbëreshë, il suo popolo, divenendo riferimento per le regioni cristiane del mediterraneo.

Per continuare e rendere più chiaro questo breve capitolo, va precisato che Giorgio Castriota, Vlad III Tepes, più noto come Dracula, entrambi storicamente ricordati come eroi nazionali nelle rispettive terre d’origine, l’Albania e la Romania, per la difesa del cristianesimo e della patria; erano i discendenti diretti di quanti istituirono il 12 dicembre 1408, l’ Ordine del Drago.

Un apparato cavalleresco o lega di mutuo soccorso, nata per contrastare l’espansione dei Turchi, ad opera dall’imperatore del Sacro Romano Impero Sigismondo di Lussemburgo, da Alfonso d’Aragona re di Napoli, Giovanni Castriota e da VladII.

L’ordine del Drago aveva lo scopo di rafforzare la difesa della comunità cattolica dai attacchi dei turchi e comportava alcuni obblighi, incluso il mutuo soccorso e la difesa dei familiari degli affiliati.

Le vicende a cui Giorgio Castriota diede linfa cristiana, iniziarono bel prima la sua nascita e affondano le radici nei territori prospicienti, il bacino adriatico, la famosa battaglia della Piana dei Merli, combattuta il 15 giugno 1389 dall’esercito dell’alleanza balcanica contro l’ottomano, a seguito della pesante dipartita cristiana si convenne di realizzare una coalizione più forte e consistente di quella turca.

Giorgio Castriota prende parte a questa vicenda, in favore dei cristiani, dopo la proclamazione nella cattedrale di del nord d’Albania, rendendosi protagonista in numerose battaglie tra gli anfratti dei Balcani infliggendo numerose umiliazioni all’esercito della luna calante.

Intervenne favore degli Aragonesi contro le armate Angioine, nella battaglia di Troia (oggi provincia di Foggia) in località Terra Strutta, Alla vigilia dell’episodio, gli Orsini di Taranto si rivolgevano al Kastriota invitandolo a non partecipare a questa vicenda, considerato un fatto privato extra cristiano, chiaramente i nobili tarantini, ignari dell’Ordine del Drago che legava i Castriota, si sentirono rispondere che il legame con quel casato era radicato in valori paterni e non religiosi.

Le conseguenti repressioni della battaglia del 1389 diedero seguito al primo stanziamento di profughi albanesi in Italia meridionale attestata su una lapide nella chiesa di S. Caterina a Enna, dove è ricordato un Giacomo Matranga comandante arbër.

Analoghe ragioni indussero Alfonso d’Aragona re di Napoli, in lotta con Renato d’Angiò, a far passare in Italia Demetrio Reres e i figli Giorgio e Basilio e stabilirli in Sicilia.

A questi episodi vanno aggiunte le vicende che videro protagonista Giorgio Castriota in Italia, iniziate nell’agosto del 1460 e durarono circa due anni, anche se altri due viaggi a Napoli e a Roma nel 1464 e nel 1466, ebbero luogo.

La permanenza di Giorgio Castriota nelle terre del regno di Napoli consentì di descrivere “le Arché dell’infinito arbëreshë”, in altre parole, linee strategiche secondo le quali dovevano essere predisposti i Katundi in attesa delle eventuali azioni da intraprendere.

Di Giorgio Kastriota va ricordato il discorso fatto alle truppe preparate a partire per la crociata finanziata dal papa, mai portata a buon fine, per la dipartita misteriosa di quest’ultimo, una febbre anomala, proprio poche ore prima di benedire il condottiero albanese e il suo esercito in partenza da Monte sant’Angelo.

Dopo il 1468, anno della morte dell’eroe Arbanon, restano le gesta irripetibili, la fama e l’impegno di mutuo soccorso dell’Ordine del Drago, che ebbe luogo di essere attuato, accogliendo a Napoli, Andronica Arianiti Commeno, moglie di Giorgio Kastriota i suoi figli e alcuni anni dopo la figlia di Vlad III (il famigerato conte Dracula).

Questo episodio quando ebbero luogo, lasciò perplessi il Papato e i Venezia che non trovavano spiegazioni, sulla base di quali presupposti la capitale partenopea era preferita ad accoglienza la nobile donna, la sua discendenza, il suo seguito e perche alcuni anni dopo la figlia per seguire la figlia minorenne del condottiero rumeno, la Comneno, lascia la residenza reale per trasferirsi in un palazzo nobiliare nei pressi di Santa Chiara.

È grazie al mutuo soccorso dell’Ordine del Drago che un gran numero di famiglie Arbanon seguono la moglie di Giorgio Castriota e si sovra dispongono alle “ Arché dell’infinito arbëreshë”, secondo le strategie immaginate dal condottiero.

Una sostanziale differenza distingue l’accoglienza di queste famiglie di profughi:

 i primi segnano il territorio a favore del re per controllare i principi francofoni,

I secondi a seguito della venuta di Andronica Arianiti Comneno, rappresentano un’aretramento del fronte per la difesa della cristianità, le stesse armate che furono del condottiero, si trasferiscono in meridione come il fronte ultimo contro i turchi, che accolgono il messaggio e non osano mai metterlo alla prova.

Questo è confermato anche dall’atteggiamento che nei loro confronti hanno avuto le istituzioni civili e religiose per almeno un secolo, lasciando liberi di agire e predisporre consuetudini tipiche degli arbëreshë, che per diversi decenni sono state accusate di ogni tipo di esternazione.

Avere sul territori del Regno di Napoli oltre cento paesi di estrazione albanofona con le famiglie e le proprie discendenze, in effetti rappresentava una linea di difesa solo arretrata, ma solidamente legata alle antiche consuetudini e alla permeabilità linguistica.

Giorgio Castriota per gli arbëreshë rappresenta, un segmento storico di svolta, in quanto, ha dato modo di poter consolidare senza stravolgimenti particolari il valore che oggi sono proprie della Regione Storica Diffusa Arbëreshë.

Vero è che pur vivendo in periodo di confronto e scontro con le genti indigene gli arbëreshë sono stati lasciati coltivare le proprie consuetudini più intime, se si esclude il ravvedimento del Papa a seguito del Concilio di Trento 1673, che poi viene corretto e recuperato con l’istituzione del Collegio Corsini a San Benedetto Ullano, dando vita al scimmiottamento Latino, Ortodosso, Bizantino, Alessandrino.

Se oggi dovessimo stilare un resoconto di cosa è come le consuetudini linguistiche si riverberano similmente negli ambiti diffusi della regione storica, lo dobbiamo alla caparbietà e l’ostinazione dei regnanti che dal XIII al XIX secolo furono fermamente convinti di possedere oltre cento paesi abitati da famiglie arbëreshë .

I tutori, di una capacità di difesa del territorio, irripetibile, a conferma di ciò corre la storia; la difesa dei regnanti ai tempi di Masaniello; la scelta di istituire la Real Macedone quale difensori primi di Carlo III, gli stessi che sedarono definitivamente 13 Giugno del 1799 le illusorie aspirazioni dei liberi pensatori e l’estremo tentativo dei Borbone, nel 1805, per istituire un efferato esercito da contrapporre alle politiche di Napoleone.

Oggi in Maniera impropria senza alcun riferimento alla storia e i luoghi dove essa ha avuto inizio, vengono allestiti monumenti a ricordo di Giorgio Castriota (** volgarmente ricordato come Skanderbeg), anzi in alcuni casi appellandolo con l’alias di estrazione turca, ovvero con quel nome che gli venne dato per combattere la cristianità che non gli apparteneva.

Oggi in maniera a dir poco allegra, si usa incidere date di nascita e di morte senza alcuna radice di ricerca, tuttavia duole il dato che nessuno dei paesi che ha adottato questa scelta fuori luogo orienta il suo sguardo della statua raffigurante Giorgio Castriota, figlio di Giovanni da Krujë, verso la latitudine e la longitudine dove ha iniziato la Cristiana difesa per restituire la sonante lezione ai turchi, colpevoli di aver vigliaccamente eliminato i suoi fratelli e sottomettere quella regione del nord dell’odierna Albania i legittimi discendenti

Cosa dobbiamo fare oggi per continuare a rendere solida e duratura l’esperienza che poi si è trasformata nel modello di integrazione unica nel suo genere: basterebbe lavorare facendo il mestiere per il quale si è nati e si sa eccellere, e non emulare gli antagonisti dei romani, i quali per demeritarli, le chiamavano “strade” le loro opere, ma disprezzandole semplicemente“rotte”.

 

 

 

**  Giovanni da fiore nel Libro secondo della Calabria illustrata quando parla degli arbëreshë Inquadra Giorgio Castriota definendolo: volgarmente ricordato come Skanderbeg

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