NAPOLI – (di Atanasio Pizzi)
Gli agglomerati arbëreshë oltre che essere testimonianza architettonica raccontano il travagliato periodo storico, politico ed economico che hanno determinato lo sviluppo degli stessi.
A tal proposito penso sia utile esaminare gli avvenimenti e le circostanze che hanno seminato i presupposti all’esodo delle popolazioni albanesi.
Questo ci fa comprendere il ruolo che essi hanno avuto nell’intero contesto meridionale.
Dopo la caduta dell’Impero Romano e le innumerevoli invasioni delle popolazioni barbare, fecero si che disgregassero l’organizzazione territoriale dell’Impero, in particolare nei territori a sud di Roma.
Questo dato di fatto indusse alla formazione di grandi latifondi disordinati e malamente gestiti.
Affidati all’improvvisazione oltre alla mancanza di un organo di potere determinò la totale perdita delle regole su tutto il territorio.
Il Cristianesimo divenuto unico riferimento per la gestione del territorio, consenti l’edificazione di molti monasteri e edifici per il culto.
La disgregazione delle città, fu la causa per la quale si realizzarono insediamenti sparsi sul territorio e il conseguente decentramento demografico delle attività.
Si deve attendere l’anno mille per rivedere nuovamente l’organizzazione territoriale, basata essenzialmente sul agricoltura ed il commercio.
Per le popolazioni divennero le fiere di bestiame e i mercati gli unici punti di contatto, ma il motivo che determinò la localizzazione degli insediamenti fu la necessità della popolazione d’insediarsi in luoghi posti sotto la protezione della chiesa o magari del Signore latifondista: sorsero cosi i casali.
Il sistema stradale che prima percorreva il meridione d’Italia in senso longitudinale lungo le pianure, si arricchì di una rete di percorsi secondari più capillari.
Questi ultimi attraversava i piccoli centri seguendo l’andamento della ideale isoipsa, seguendo quella naturale linea di confine ove le famigerate zanzare, portatrici della malaria, erano meno efficaci.
Le prime notizie sulle migrazioni albanesi in Italia, non riguardano né profughi né esuli ma valorosi ed intrepidi soldati.
Quando il re di Napoli, Alfonso I d’Aragona a partire dal XV secolo, fece venire drappelli di mercenari dall’Albania per contrastare le rivolte dei baroni locali e per sconfiggere lo stesso Renato d’Angiò.
Nel XV secolo la Calabria e la Sicilia, facevano parte del Regno di Napoli, i cui territori erano scenario di rivolte dei feudatari contro il governo angioino; gli albanesi si interposero per fornire i loro servizi militari ora all’una ora all’altra fazione in lotta.
Alfonso d’Aragona ricorse spesso ai servizi di Demetrio Reres; il nobile condottiero albanese, portò con se tre gruppi di soldati, comandati oltre che da lui dai suoi due figli.
L’intervento dell’esercito albanese fu determinante ai fini dall’equilibrio politico di allora, tanto che lo stesso Reres fu nominato governatore della provincia di Reggio e molti suoi uomini, si stabilirono a nord della Calabria Ultra ed in Sicilia, ricevendo come ricompensa territori in donazione.
Fu Giorgio Castriota Skanderbeg, riconosciuto eroe nazionale albanese ad impegnarsi nell’organizzare una spedizione militare per sostenere Ferrante I d’Aragona, re di Napoli.
Il Ferrante per accrescere le proprie difese contro l’esercito angioino, chiese ed ottenne l’aiuto delle eccellenti truppe del principe albanese Skanderbeg.
Nella località compresa tra Greci, Orsara di Puglia e Troia, furono teatro del più duro scontro fra i due eserciti, la dove, gli Aragonesi vinsero grazie alla caparbietà dell’esercito Albanese facendo sì che la loro azione segnasse profondamente gli assetti politico-istituzionali del regno Aragonese.
Fu comunque la morte di Scanderbeg, ad opera dei turchi che determinò un forte esodo dalle loro terre dei profughi albanesi, poiché fortemente perseguitato dai vincitori.
Avendo ricevuto come eredità un canale privilegiato con i regnanti dell’Italia Meridionale, vi furono diverse migrazioni che dopo un primo periodo di travaglio trovarono dimora fissa.
L’arrivo delle popolazioni albanofone nel Mezzogiorno d’Italia e prevalentemente nei territori di Calabria Citra costituisce per la rilevanza del fenomeno, un momento importante nella storia e il riassetto di quel territorio.
I territori fertili che venivano offerti dai Principi e dai Vescovi consentivano di allargare le economie locali e di integrarne delle nuove,
Addomesticati e bonificati i territori con il duro e sapiente lavoro degli albanofoni, crescevano non solo i centri urbani, ma acquisiva più valore l’intera regione meridionale.
La struttura economica portò ad una gestione autarchica degli agglomerati, con l’utilizzazione dei prodotti locai, nasce la necessita di nuove attività legate essenzialmente alle trasformazione dei prodotti agricoli, i mulini, i frantoi, le aie, le fucine, e i camini.
Le innumerevoli sorgenti e clima adeguatamente temperato assicurava alle genti d’Albania la possibilità di assolvere gli impegni assunti nelle capitolazioni con le autorità che gestivano quelle terre.
Abbarbicati sulle alture, incastonati lungo le curve di livello o posti lungo i pendii delle colline: manufatti edilizi, strade strette apparentemente irregolari, formarono delle strutture uniche nel loro genere, sia per i modelli di aggregazione, che per la natura autoctona dei materiali.
Nonostante che agli albanesi fosse stato intimato di edificare cinte murarie, esistono solo pochi episodi che confermano la realizzazione.
Valga come esempio quello della municipalità di S. Sofia, sollecitata dagli ordini regi, con cui si impegnava a rispettare formalmente le leggi.
I singolari volumi edilizi arricchiti dai vuoti costituiti dalle strade, dalle gjitonie e dai giardini, racchiudevano le tappe della loro economica e socializzazione.
La composizione del tessuto urbano era funzione di due elementi fondamentali: l’esposizione solare e l’habitat, che consentivano di svilupparsi in due tipologie di aggregazione: sistemi complesse e sistemi lineari.
Diversamente dagli insediamenti di fondazione greca e romana, che attirava genti a collocarsi nel sistema delle corti patrizie, le popolazioni albanesi vivevano in gruppi familiari legati tra loro dalla semplice promessa “Besa”.
Gli albanofoni s’inseriscono in un sistema politico-economico e urbano recuperando schemi basati sulla molteplicità degli insediamenti collinari e montani tipici del periodo preromano.
Il rapporto con la campagna è diretto poiché la struttura urbana si presenta di forma aperta e le direttrici principali la legano direttamente con il territorio.
I villaggi edificati secondo schemi ben definiti a dimensione e uso esclusivo del gruppo.
Dal luogo ove si svolgeva il mercato si generava una ragnatela di vicoli adagiandosi lungo le curve di livello o inerpicandosi su ripidi costoni, disegnando così l’intero agglomerato urbano.
Singolari nel loro sviluppo, costituiscono un patrimonio antropologico, culturale, architettonico e urbanistico di valore, ma sino ad oggi non letti adeguatamente.
Le attività tipiche per il sostentamento dalle popolazioni albanesi si inserivano nei territori a loro offerti, poiché simili morfologicamente a quelli d’Albania.
Attività che richiedevano notevole sforzo fisico e continui patimenti, la vita dei campi associati alla pastorizia erano portati avanti per mantenere fede ai patti assunti cin il feudatario o del proprietario ecclesiale.
I raccolti dipendevano della stagione e dal tempo, ma comunque si risolvevano sempre e comunque a favore del ceto dominante.
I contatti tra i diversi insediamenti di origine albanese sono stati sempre solidali, invece al cospetto dei latini erano ristretti, essenziali e diffidenti.
Molti dei centri d’Italia meridionale, già esistenti, furono ripopolati dagli arbëreshë che per molti decenni consentivano ai latini di potervi accedere solo un giorno dell’anno solare per onorare gli antichi defunti.
Dall’esame morfologico della città albanese non è marcato l’apporto esercitato dal potere sulla struttura urbana, gli agglomerati erano organizzati seguendo regole scaturite da esigenze pastorali e non aveva tipologie predominanti.
I rioni contengono le Gijtonie, nominative dei gruppi familiari sono autonome le une dalle altre considerate come dei propri stati.
La gerarchia che vige all’interno di esse ha il solo fine di portare benessere e prosperità al gruppo di cui ogni componente assolve con dedizione il proprio compito.
Questa rappresenta la caratteristica più importante dell’urbanistica arbëreshë, detta «Gijtonia», a cui è stato attribuito il significato di vicinato.
La microstruttura urbana è costituita da una porzione di città, classificato di tipo articolato e rappresenta il modello più antico; in tempi più recenti essa si sviluppo a ridosso di assi viari e assume la forma cosi detta lineare.
Questa tendenza di edificare seguendo l’orografia del terreno senza modifiche sostanziali gli albanesi lo attuano cosi come le popolazioni autoctone ed è legata alle limitate possibilità economiche.
Ciò che distingue la gijtonia albanofona da quella autoctona sono i legami e le regole che diversificano i due gruppi.
La caratteristica della circolarità indice di una cultura non alfabetizzata riscontrabile spesso nelle ideologie non è tipica degli albanofoni, essi aggregavano i loro moduli abitativi in funzione dei legami familiari ed è questo che generava la policentricità tipica degli agglomerati arbëreshë.
Il sistema urbano albanese non è monocentrico, le varie gijtonie, producono una miriade d’interessi e rapporti in ciascuna di esse determinando all’interno del tessuto urbano delle vere e proprie aree gravitazionali che razionalmente collegate fra loro creando il singolare assetto planimetrico.
La conformazione stessa dell’abitazione prevedeva l’unica aperture verso lo spiazzo di vita.
L’unità di abitazione tipica presenta le stesse caratteristiche della casa del contadino meridionale, le due abitazioni sono state concepite avendo le stesse esigenze, e costruite utilizzando gli stessi materiali.
L’elemento di novità è costituito da molti elementi che di seguito saranno resi noti.
Le abitazioni, nel terzo periodo si arricchiscono di linee e caratteristiche uniche.
Tipici sono i portali in pietra, i profferii gli angoli degli edifici che caratterizzano le prospettive viarie e il disegno urbano.
La piazza, per gli arbëreshë assume aspetti diversi, essa assolve interessi che si rivolgono ai rapporti con il resto del territorio.
Nella piazza , edifici di culto, le botteghe artigiane e dai servizi di genere comune accolgono i viandanti.
Nei paesi albanofoni, la cultura latina non è ancora riuscita a contaminare gli usi e i costumi sociali all’interno dei paesi.
Si celebrano matrimoni, si realizzano i caratteristici fuochi stagionali all’interno di ogni gjitonia, è ancora vivo il prestito di generi alimentari, la panificazione e nel corso dell’anno solare tradizioni vivono fortemente radicate anche nelle coscienze delle nuove generazioni di queste uniche isole arbëreshë.
Per gli Albanesi la ricerca nella natura e nel paesaggio sono stati elementi utili per la definizione e la realizzazione dei loro centri e l’analisi fornisce un contributo alla evolutive della minoranza.
Continua 1/8









