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É IL TEMPO DI APPELLARLA: “REGIONE STORICA DIFFUSA DEGLI ARBËR”

Posted on 21 gennaio 2023 by admin

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NAPOLI (a cura dello Storico Atanasio Pizzi Basile) – La geografia suddivide i territori del globo terrestre in, Regioni Politiche, Storiche e Ambientali, esse rispettivamente definiscono:

– gli ambiti politici, economici e culturali simili, condivisi da una ben identificato popolo;

– i legami storici di popoli che migrano per la tutela i propri valori identitari, diffusamente disposti nei parallelismi ritrovati;

– i sistemi ambientali di uno specifico luogo, non replicabile o ripetibile altrove.

Parlare di regioni politiche circoscritte, o localmente ambienti naturali, non è l’argomento di cui si vuole in questa breve diplomatica trattare, ma il rispetto, volto nell’appellare, non “Regione Storica ” o identificato popolo, privato del suo territorio, ma Allegoria”, senza regione, in tutte le divagazioni storiche e  nelle analisi grammaticali “diffuse”, in terminazione di “ia”.

Certo che per ogni azione la mira dovrebbe puntare nell’atto di valorizzare le cose del popolo in esame di tutela, non affidarsi a un semplice e isolato sostantivo, verbo o aggettivo, con la terminazione in “ia”, perché così, non sarà mai sforzo sufficiente per valorizzare cultura, luoghi e uomini.

A tal fine si può affermare che non è così che si dà forza, a secoli di storia in sacrifici, per giungere a nobili e duraturi risultati.

Ogni qual volta, che è stato chiesto espressamente memoria, di tele terminazione alfabeta, le molteplici garanzie, dai saggi non sono convenute e una tessitura comune, chiara o comprensibile, se non romanze estratte da altre culture.

Ragion per la quale, prima che lo storico incontro tra i presidenti Italiano e Albanese, avvenisse nel Cortile Adrianeo, è stata inviata ampia missiva al Presidente, che poi nel mitico incontro si è espresso, come qui segue: “gli Arbër sono esempio di accoglienza e integrazione mediterranea e vanno tutelati”.

In ragione di questa elevata affermazione, e rileggendo le direttive legislativo del 26 marzo 2008, n. 63, per il quale l’indirizzo fondamentale di tutela, non deve esse inteso come “mero divieto alla non discriminazione dei minori”, bensì, “sollecito ad acquisire atteggiamenti e misure positive per il prodursi della più solida continuità culturale”.

In ragione del fatto che per principio, gli Arbër, sono sempre stati rispettosi della legittimità, che pretende che i confini etnici non siano violati dalla politica e, in particolare, che i confini etnici all’interno di un determinato Stato … non separino i detentori del potere di tutti i cittadini.

In ragione di ciò si conferma l’urgenza, di promuovere studi multidisciplinari, secondo cui, una identità culturale, non può terminare con l’essere identificati come lingua altra, ignorando i meriti delle attività, ad essi attribuite, in campo sociale, culturale, in consuetudine, credenza, il genio locale oltre al rispetto dell’ambiente naturale e le leggi di quel territorio nazionale, giacché, luogo diffuso di “esempio in modello identitario”.

La Regione storica diffusa degli Arbër, rappresenta un fenomeno mediterraneo che non ha eguali, essa si riverbera identicamente nel corso dei millenni, sempre in egual misura, facilitata dal suo codice antico e per questo conservato nei detti termini diffusi.

Un popolo capace di confrontarsi con le genti indigene di ogni luogo con la fratellanza, la conoscenza, per evidenziare in prima analisi, il voler vivere in pace operosa e il rispetto del luogo di accoglienza, buone intenzioni finalizzate al rispristino delle cose perdute o in pericolo, di quel luogo buono.

Greci, poi Romani nel tempo delle capitali di Oriente e Occidente, i Veneziani e tutti i popoli e le dinastie che hanno dominato il vecchio continente, hanno sempre riconosciuto a questo popolo, le caparbie intenzioni di tutela di uno specifico territorio, sulla base del leale confronto tra uomo e natura.

Cosi come avviene dopo il 1468, il tempo della unica e vera migrazione albanofona, durata sino al 1502, un corridoio di accoglienza per Arbër e Arbën, verso le province del Regno di Napoli.

Un patto progettato, definito e sugellato alla luce dei principi di mutuo soccorso, dei facente parte dell’Ordine del Drago, i quali, prima in favore degli Aragonesi, e poi verso i profughi provenienti dalle terre di oltre adriatico orfani del padre condottiero, allestirono capitoli e arche di preferenza, durati non meno di cinque decenni.

Oggi la minoranza di tema, detiene un potenziale in autotutela relativamente solido, la cui tendenza tende a sminuirlo con provvedimento molto discutibili, in altre parole, con farina di sacchi altrui, terminando di fare come il navigante inesperto con le vele spiegato al vento, senza comprendere come per dare forza alla navigazione e nel mentre il vento termina.

Sono numerosi gli accadimenti e gli avvenimenti che sviliscono la forza identitaria di questo popolo, a cui comunemente sono abbarbicati fatti cose e persone indigene o accadute in altri luoghi, non ultimo e il divulgare promuove e valorizzare l’accoglienza e i percorsi del turismo buono, senza menzionare l’ideatore di questa nuova disciplina della carta stampa del XIX secolo scorso.

Come l’attribuzione al luogo dei cinque sensi degli Arbër, esposta in gogna come mera piazzetta, abbellita da quattro, cinque, forse sei e anche sette porte, (buon peso come si fa al mercato) per terminare il preferire l’indigeno al parente (cosa mai vera ne disposta in nessun loco) poi venne, il mercato a cielo aperto del Criscito per fare pane, senza mai citare il luogo dei cinque sensi o ancor meglio il governo delle donne per fare discendenza e formazione alle nuove generazioni, in altre parole la scuola ancor prima che Greci e Romani ne avessero consapevolezza.

Senza dimenticare l’evento storico passato inosservato, da tutti i cultori e difensori della storia del consuetudinario di minoranza, restati impassibili davanti al genio che costruiva un Katundë nuovo, perché esperto delle terre desertiche prive di Acqua, affermando per questo, (quindi udito e noto a tutti i difensori di cose malevoli), di voler costruire un “nuovo centro antico” in quanto forte in all’allestire  cantiere, in loco meno pericoloso, impastando, centrifugando alchimie in cemento e intrecciando ferri strutturali, “per fare Gjitonie a petalo”.

Il consuetudinario importato dagli Arbër e Arbën, forza indelebile della Regione storica diffusa degli Albanofoni, oggi vive lo stremo delle ultime forze, per questo, occorrono figure di estrazione curriculare, capaci di attingere dal cuore e dalla mente e i cinque sensi, tutto l’inchiostro indispensabile, per diffondere la storia vera, secondo il diktat quanti sono in sintonia con la storia vera.

Per terminare, un piccolo appunto va fatto sul costume tipico Arbër; quello che unisce le cose della casa e della chiesa e fare famiglia, ovvero, il manuale in forma di arte sartoriale, comunemente indossato, per scalciare, ballare e sollevare a mo’ improprio, così tanto da non creare i parametri di educazione minimali, per i quali fu realizzato.

Esso oggi appare come lamento stremo di stoffe ori e merletti, inoperosi delle antiche regine del fuoco, vibrazione di filamenti nelle attività di famiglia, che al giorno d’oggi si traducono, in atti non di valore, ma per soffocare gli stridi di dolore delle famiglie che terminano la missione.

A questo punto urge appellare in raccolta, le eccellenze tutte lasciate a macerare, per sterili campanilismi, il popolo delle cattedre vuote o spazi ameni in attesa di udire certezze; serve alimentare il futuro di verità e certezze, lo stesso intercettato ed espressa dal presidente della Repubblica Italiana, in quel cortile che ha sempre dato lumi solidi alla minoranza, gli stessi disperi del protocollo Arbër, troppe volte depositati in luoghi di buio permanente!

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