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LA GRANDE FABBRICA DEI PAESI ARBËRESHË

Posted on 19 agosto 2014 by admin

LA GRANDE FABBRICANAPOLI (di Atanasio Pizzi) – Le stratificazioni nei paesi Italo Albanesi rispettano i limiti degli insediamenti originari perché i perimetri sono da secoli, pressoché gli stessi. Ad oggi le alterazioni  all’interno dei centri storici, non hanno intaccato le caratteristiche architettoniche e l’impianto urbanistico originario. I palazzi padronali, per ciò, divengono espressione dell’operosità dei minori; essi vanno letti, prima di tutto, attraverso le restituzioni grafiche, degli elevati e delle planimetrie delle antiche insule, dove il volume edilizio, maggiore, contiene e avvolge i precedenti, che rappresentano la traccia del percorso evolutivo degli arbëri. Riscontri oggettivi, analisi e confronti dei modelli edilizi, consentono di tracciare il percorso edificatorio intrapreso dai gruppi familiari allargati, nei territori del meridione. Il primo volume edilizio storico, la Kaliva, realizzato nella sua configurazione primordiale con legno, rami intrecciati e fango, fu rinnovato dopo gli atti di sottomissione, con materiali più duraturi a iniziare dal 15**-.., preservando le originarie metodologie di aggregazione, dettate dai legami consolidati della famiglia allargata; quest’ultima, nello stesso periodo inizia un lento processo di scissione in quanto l’assegnazione dei terreni, che sino ad allora avveniva in maniera frammentaria e puntiforme, dal 15** segue una metodologia dettata da nuovi assetti economici e sociali. In linea con le rinnovate disposizioni oltre l’utilizzo dei materiali più idonei a edificare, si marca in maniera indelebile il territori definendo univocamente le insule che da ora in avanti chiameremo; agglomerati policentrici costruiti; essi inglobano spazi adibiti a orto con Kalive a un livello, (nel territorio dal 14**, le abitazioni che avevano pressoché le caratteristiche di tuguri, si come  erano realizzate con materiali deperibili, non lasciarono certezza sulla originaria sistemazione pervenutaci solo come località). Dopo aver avuto liberta di costruire le prime case in pietra e arena, gli albanesi, a seguito delle emanazioni regie del 156**, furono costretti a delimitare gli agglomerati urbani con mura di cinta. La necessità di risparmiare materiali e la difficoltà di reperirli  spinse gli esuli a  utilizzare uno dei paramenti murari delle loro abitazioni a tale scopo, chiaramente per  quelle abitazioni innalzate nei confini del costruito urbano. L’altezza del paramento per la funzione di cinta muraria consentiva di avere dei vantaggi, in quanto così facendo si otteneva un volume maggiore della Kaliva stessa. Il paramento murario posto a confine, assunse quindi la funzione di colmo della copertura, in questo modo la maggiore altezza all’interno dell’abitazione, nella parte più interna consentiva di predisporre un rudimentale ammezzato, aumentando, di fatto, il calpestabile all’interno del nuovo volume edilizio. Esistono ancora evidenti tracce di quanto descritto prima, in molti paesi albanofoni, leggere oggi il perimetro è molto difficile, ma in alcuni casi, dove la memoria storica è ancora lucida e priva di personalismi, si possono facilmente identificare i frammenti murari, o le abitazioni predisposte allo scopo, per tracciare quella linea di confino imposto dalla regia disposizione. I terremoti, le carestie, la peste, misero a dura prova le genti minoritarie nel XVII secolo e non consentirono di adempiere in maniera completa all’imposizione regia, per cui le cinte murarie furono costruite in maniera frammentaria senza aver mai assolto la funzione di confino. Nella disanima dei processi evolutivi dei palazzi storici, questo intervallo dura sino alla fine del XVII secolo e rappresenta una tappa importante nella definizione del volume edilizio di rappresentanza. Il danno prodotto dagli eventi naturali, offriva la possibilità ai superstiti di acquisire i moduli confinanti e avviare quel processo di aggregazione che ha dato origine alle case delle famiglie più abbienti, individuabile come: secondo volume edilizio storico. Questi ultimi sono caratterizzati da una cortina che può essere lineare o articolata, caratteristica che dipende dal luogo in cui l’originario gruppo familiare s’insediò. La residenza, cambia anche la sua disposizione interna che si articola nel modo seguente: a piano terra, aggrega due o più moduli adibiti a zona giorno, depositi e la stalla, il primo di questi è munito di soppalco, che diviene la zona notte, il cui utilizzo è garantito da una scala a pioli asportabile. La nascita del regno dei Borbone e le successive leggi emanate dal sovrano, consentono la formazione di classi emergenti e per questi ultimi, la possibilità economica di realizzare abitazioni più rappresentative; esse si suddividono predisponendo a piano terra depositi, magazzini e la cucina, mentre il primo livello è adibito a luogo di rappresentanza e zona notte, l’intero complesso che ora ha un livello vero e proprio distaccato dal terreno, sormontato dalla lamia di copertura da cui e isolata dal sottotetto Kanicari.. Per avere una regola ancora più definita architettonica e urbanistica bisogna attendere la fine del XVIII secolo quando le nuove leggi ridimensionano i privilegi degli ecclesiasti, le direttive di carattere sociale, infrastrutturali e strutturali a seguito del terremoto del 17**, ci restituiscono nuovi scenari all’interno degli agglomerati urbani. Alle abitazioni sono associati i profferli, per consentire il frazionamento dei volumi di proprietà, in oltre nuovi moduli (Katoi) sono acquisiti dai proprietari limitrofi disegnando la messa in atto di quelle proprietà che poi saranno inglobate negli involucri identificati come padronali. L’abitazione delle famiglie abbienti ha bisogno di assumere sempre più valore rappresentativo, si sviluppa in verticale, appaiono i primi rinforzi in mattoni e ogni tipo di apertura è sormontata da architravature in mattoni che assieme a quella in legno garantiscono più solidità al paramento murario.  Una caratteristica fondamentale che valorizza il volume di nuova acquisizione, diviene la porta di rappresentanza, realizzato interamente in mattoni, compresa la soglia su cui si elevano i piedritti, sormontati da un arco a tutto sesto, in oltre le abitazioni poste in posizione strategica, sono arricchite dai  miniati, che danno al manufatto un valore aggiunto di rappresentanzaLe murature che identificano la proprietà acquisiscono le tipiche rotondità negli angoli esterni per ricordare e confermare dell’antica pertinenza territoriale. E’ in questo intervallo storico che l’elemento caratterizzante di ogni abitazione, escluse quelle meno abbienti relegate nei Katoi, diviene il profferlo; una gradinata che conduce sul ballatoio, dove è posto l’ingresso dell’abitazione, che ora è al primo livello mentre a piano terra sono allocate la cantina e la stalla, collegati con la residenza dalla vecchia scala a pioli dall’interno attraverso Gadaràtin. Il profferlo diviene l’elemento caratterizzante nelle Rùhat, e gli Sheshi, i materiali con cui sono realizzati divengono l’espressione economica di ogni famiglia, pietre calcaree per la messa in opera dei gradini e la pavimentazione del passetto, a servizio dell’ingresso, sono quanto di meglio si possa predisporre per confermare la solidità economica. A fine secolo la rivoluzione del ‘99 ferma la crescita e per vedere nuove espressioni edilizie bisogna attendere gli effetti delle leggi emanate dal governo napoleonico  il 18**, che giunsero in maniera diffusa sul territorio solo dopo il 18**, e consentirono la messa in atto delle grandi fabbriche nobiliari; ma questa è un altro capitolo.

P.S.

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