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CRITERI PER FARE UN MUSEO DEL COSTUME ARBËREŞË Trutë satë bëmi ghe Zògnàrtë i vèshjuratë arbëreşë

Posted on 02 agosto 2025 by admin

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NAPOLI (di Atanasio Pizzi Architetto Basile) – Un museo del costume, per essere solido, rilevante e culturalmente significativo, deve articolarsi secondo protocollo specifico.

Esso deve seguire un itinerario in grado di accumunare ogni elemento che è parte essenziale, secondo un percorso fatto di sezioni culturali, scientifiche, di trame statiche, esplicative e nel contempo comunicare l’interezza del messaggio che contiene.

Lo scopo prioritario a cui ambire, partono dalle radici storico-culturale, di uno specifico luogo, studiato e analizzato, attraverso la documentazione di una macro area secondo le epoche i bisogni e le necessità di appartenenza del tempo in cui vennero allestiti.

Il museo deve contenere gli elementi utili per tracciare il percorso evolutivo della vestizione, attraverso consuetudini in continuo parallelismo con la storia e le epoche, evidenziando il contesto, sociale, politico e culturale in cui la vestizione richiesta per rappresentanza di genere.

Un costume pensato per la vestizione della donna dovrebbe contenere, in sé, la memoria e la forma dei suoi passaggi essenziali: la ragazza prolifica, promessa di vita e possibilità, ancora inconsapevole del peso e della bellezza del tempo; la sposa, figura di transizione, che si consegna a un nuovo inizio portando con sé un abito di attese; poi la madre, corpo che genera e si offre, centro di legami invisibili ma tenaci. Seguono il lutto, presenza nera e silenziosa che avvolge, segna e trasforma, e infine il lutto incerto, sospeso tra l’assenza e l’attesa, tra ciò che è stato e ciò che non si può ancora nominare. In un solo costume, ogni strato dovrebbe potersi sovrapporre o svelare, come in un rito di passaggio continuo, dove il corpo della donna racconta, con la sua sola presenza, il ciclo della vita e della perdita.

Sulla base del dato che i costumi sono espressione delle identità di specifiche macro aree consolidate, il museo deve valorizzare le diversità di luogo in relazione alla storia, comprese le cose che legano classi etniche, sociali e genere.

In oltre deve contenere il fondamento scientifico e conservativo, secondo cui i manufatti devono essere rigidamente originali.

Tutto questo per estrarre certezze per quanti si applicheranno a studiarli dal punto di vista tessile, tecnico e stilistico, in aderenza con le consuetudini, per tracciare la sfera ideale dove contenere il messaggio completo.

Quel messaggio che ogni volta che viene indossato dentro la casa, fuori la soglia e sino alla chiesa, traccia un percorso di funzione specifica di tutela e consuetudine locale.

Ragion per la quale ogni elemento che qui viene esposto deve prevedere una specifica conservazione preventiva, affinché non smarrisca alcuna piega, forma o pinto di unione specifica.

I tessuti sono materiali delicati, per questo è necessario avere spazi climatizzati, tecniche di conservazione avanzate e un piano per la gestione del deterioramento, ma soprattutto, l’intero volume specie della parte espositiva, deve essere in pressione, con l’immissione di aria filtrata, un sistema di finestre e porte a tenuta stagna e di emergenza direzionata.

Il fine rende indispensabile separare dove ogni ambiente, controllato da telecamere e sensori di pressione o fuoco eventuale.

Il fine mira a rendere durevoli le cose esposte e, non sottoposte alle variazioni termiche, alla luce solare oltre alle polveri all’interno del volume, queste ultime non devono e non possono volatilizzarsi per depositarsi e fare danno.

In oltre ogni elemento deve essere catalogato con rigore e inventariato con dati precisi: datazione, provenienza, materiale, tecnica di realizzazione, stato di conservazione, ecc.

Gli elementi che fanno vestizione e decoro contengono tutti un messaggio chiare e indissolubile, da ciò chi le indossa deve avere consapevolezza dei gesti e delle posture che assume, per questo l’esposizione museale fatta da titolati e con criterio, deve essere in grado di rendere chiari i valori di esposizione in essi contenuti, tuttavia di sovente anzi molte volte e quasi sempre, sono scambiati per mero folclore che vela la vergogna.

Va comunque applicato un protocollo di fondamento museologico, che segua criteri di esposizione in linea con un progetto curatoriale coerente, che può essere cronologico, tematico, geografico o stilistico.

L’accesso e l’inclusività deve dare agio ai contenuti resi essere accessibili a tutto il pubblico compresi anche i non specialisti, con strumenti idonei per persone con disabilità e materiali multilingua.

L’insieme deve prevedere spazi funzionali in forma espositiva, laboratori, depositi adeguati, archivi, biblioteca, e una sezione didattica.

Il tutto per avere e promuovere un fondamento educativo e comunicativo; il ruolo primario di un museo deve avere il fine di raccontare le storie dei costumi e delle persone che li indossavano.

Il tutto deve essere un luogo di riverbero da cui delineare attività didattiche come: laboratori per scuole, workshop di sartoria, conferenze su moda e società, eventi tematici tipicamente locali.

Oggi con l’Uso della tecnologia, la realtà cognitiva aumentata, ricostruzioni 3D, visite virtuali e supporti multimediali possono arricchire l’esperienza del visitatore.

Da ciò non da meno resta il fondamento etico e partecipativo, avendo come fine l’esporre con garbo e dedizione i costumi di popolazioni indigene, specie di minoranze, dove è importante evitare esotismi o stereotipi.

Attraverso il presidio a cui affidare come primario obiettivo la sua inaugurazione e subito dopo il successivo riconoscimento documentale, serve a stabilire una solida collaborazione con le comunità li presenti, seguendo il fine inclusivo, coinvolgendo artisti, storici locali, portatori di memoria orale e sartorie tradizionali.

Onde evitare acquisizioni inopportune e prive di alcuna etica, specialmente nel caso di costumi cerimoniali o sacri, la certificazione e il catalogo delle provenienze è d’obbligo e improrogabile.

Un Museo del Costume Arbëreşë, deve erigersi con il fine di tutelare, documentare e valorizzare la ricchissima tradizione della vestizione femminile da giovane ragazza sino alla vedovanza certa o incerta e fine vita.

Ogni sezione non deve essere conseguenza e non intreccio libero, specie sei si coinvolgono adolescenti in forma di bambole o manichini viventi, addobbandoli impropriamente sin anche con apparati inopportuni e vergognosi, immaginando che quelle vesti e gli apparati di decoro, siano solo ed esclusivamente folclore da esibire, mostrare inconsapevoli del gesto improprio.

Il museo per avere senso e dare valore alla vestizione si sviluppa o meglio si articola secondo un duplice percorso che non è mera esposizione ma anche secondo una forma didattica che intreccia arte tessile, identità culturale e memoria collettiva, di tutte le consuetudini che riferiscono del percorso che unisce, le attività domestiche della casa e l’altare della chiesa.

La collezione oltre al percorso permanente, deve includere abiti originali e, sin anche riproduzioni, queste ultime capaci di riferire della perdita del valore nel tempo, oltre gli allestiti in oggetti di rifinitura, accessori e oggetti tessili e orafi.

L’insieme delle cose usate nelle varie fasi della vita della donna, dalla giovane età al matrimonio, fino alla maturità e la sua estinzione.

Le sezioni di Adolescente, Donna, Sposa, Madre, Regina della Casa, Vedova Incerta e Vedova, in cui ogni sezione sarà accompagnata da schede esplicative che non intreccino le figure in funzione del tempo, fotografie o ritratti d’epoca, videointerviste alle donne delle comunità e postazioni interattive per la comprensione del significato simbolico della vestizione e del loro uso.

Onde evitare distrazioni visive, al loro fianco non deve essere apposto alcun manifesto o elemento esplicativo se non dei calibrati QR-Code, dove saranno apposte attraverso specifico itinerario multimediale tutti i resoconti storici e del significato del componimento di vestizione

Ogni costume deve essere indossato dalla categoria di vita femminile, e per tutte vale la regola fortemente vietata, di travestire chi è minorenne e, se proprio la misura serve per avere una visione minuta da intercettare meglio è di obbligo allestire bambole o manichini di modeste dimensioni.

Il museo inoltre dovrà prevedere una sezione di ricerca, aperto alla collaborazione con studiosi, etnografi e stilisti, e ospiterà laboratori didattici rivolti a scuole e visitatori per tramandare saperi artigianali come il ricamo, la tessitura e la composizione dell’abito tradizionale.

Un luogo vivo dove l’identità arbëreşë potrà avere continua e raccontarsi attraverso i fili, i colori e le forme di una cultura antica ma ancora viva.

Il Percorso museale, inizia con la vestizione di ragazza come simbolo potenziale e, ancora libera, di una comunità che la forma attraverso usi, consuetudini e credenza.

Questa sezione si articola con l’esposizione di abiti curati, secondo specifici o solidi disciplinari di un idealistico bianco candore.

In questa sezione saranno contenuti ed esposti anche i gioielli della giovinezza, come anche oggetti educativi e domestici e, a memoria di canti e poesie o atti di comportamento sino all’età in cui si diventa donna genitrice.

Poi segue la sezione di spasa con l’abito del matrimonio, celebrazione e sacrificio, a cui si affianca l’essenziale e fondamentale componimento di ori e ricami, simbolo dell’ingresso in un nuovo ruolo.

La donna pilastro della famiglia diventa così anche la regina del focolare domestico, il cuore della casa.

A lei appartiene il focolare, la trasmissione della lingua, la conservazione delle ricette, dei gesti, della memoria da tramandare alle generazioni in crescita.

Secondo questa regola gli Abiti del dignitoso quotidiano, diventano fondamentali oggetti come: per cucinare, telai, cesti, rosari e tradizione del parlato e, mantenere vivo costantemente il “fuoco domestico” come spazio o luogo sacro.

Altro emblema caratteristico sono le vesti che ufficializzano la perdita del marito, la donna entra in uno stato rituale e sociale dove il lutto è visibile, e porta con sé una nuova autorevolezza.

E nel caso del marito scomparso di cui non si ha traccia rientra nel protocollo della Vedova incerta, in perenne attesa senza risposta

Questa figura nasce nel tempo delle guerre, quando molti uomini partivano senza tornare, e le donne rimanevano in un limbo: né mogli, né vedove ufficiali, una condizione esistenziale dolorosa e sospesa, di silenzio e di speranza interrotta.

Il percorso si può concludere con una riflessione, dove ad emergere è la forza delle donne arbëreşë che non è solo racchiuso nella vestizione, ma nella loro resilienza di fronte a ruoli imposti, eventi tragici e silenzi lunghi che durano e vanno oltre il tempo di una vita.

Atanasio Arch, Pizzi                                                                                                            Napoli 2025-08-02

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